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Letture, la Perdonanza celestiniana e le pagine di Ignazio Silone sul suo Celestino V

Una occasione per rileggere un libro che ha ancora tanto da dire

La locandina della prima rappresentazione  |  | Wikipedia La locandina della prima rappresentazione | | Wikipedia

Nonostante le pioggia e il tempo ostile, anche quest'anno migliaia di persone sono accorse all'Aquila, per partecipare alle celebrazioni della Perdonanza celestiniana. Una tradizione antichissima, tanto che quella di quest'anno è stata l'edizione numero 725, culminata con l'apertura della Porta Santa della basilica di Collemaggio, e la conseguente possibilità di acquisire l'indulgenza plenaria.

La manifestazione, con le veglie di preghiera, con le celebrazioni eucaristiche, i cortei storici, i concerti, si arricchisce di ulteriori significati, perché dieci anni fa la  città e vasti territori d'Abruzzo e dell'Italia centrale  sono stati devastati dal terremoto. Le ferite sono ancora visibili negli edifici lesionati, nelle macerie ancora accantonate, mentre la ricostruzione va a rilento. E poi ci sono le ferite del cuore, i tanti volti cari  che non ci sono più. Ma la Perdonanza è un momento irrinunciabile,  con una grande  forza di attrazione, di coesione, di forza e di fede.

Tutto è cominciato nel 1294, anno in cui papa Celestino V concesse, la sera della sua incoronazione nella basilica aquilana, l'indulgenza plenaria a chiunque, confessato e comunicato, fosse entrato nella basilica dai vespri del 28 agosto a quelli del 29. L'evento è dunque precursore del Giubileo istituito da papa Bonifacio VIII nel 1300. Nel 2011 la ricorrenza è stata riconosciuta Patrimonio d'Italia per la tradizione ed è stata avanzata la richiesta per il suo inserimento nella lista dei Patrimoni orali e immateriali  dell'umanità patrocinata dall'Unesco.

La figura di Papa Celestino torna in primo piano,  anche se, bisogna sottolinearlo, in Abruzzo questa figura non è mai stata dimenticata, come le sua resenza continuasse ad aleggiare, eterea ma dai contorni netti, in molte parti della regione. E non solo, per la verità. Perché se si ha l'idea felice di fare un giro nel castello di Fumone, in provincia di Frosinone, si potrà fare un'esperienza particolare. Qui infatti fra Pietro Angelerio, detto Pietro da Morrone, che divenne appunto Papa Celestino, consumo' in prigionia gli ultimi suoi giorni terreni. E vedere dove è stato tenuto prigioniero, la sua misera cella, la cappella dove celebrava messa, commuove profondamente. Il castello stesso, poi, è un luogo ricco di misteri e di atmosfere uniche.

Un destino davvero straordinario, quello di Pietro. Nato tra il 1209 e il 1215, figlio di contadini, precoce nella sua vocazione monastica, nel 1241 vive da eremita spostandosi, di grotta in grotta,  tra le montagne del suo amato Abruzzo, interrompendo l'eremitaggio giusto il tempo per fondare una Congregazione di frati,  del ramo dei benedettini, che poi saranno chiamati celestini. E già gode della fama di santità, rispettato e venerato dal popolo, ma anche da gran parte delle gerarchie ecclesiastiche,  compresi i pontefici. Nel 1294 accade una cosa incredibile: dopo un logorante conclave durato oltre due anni, viene eletto papa proprio lui, il sant'uomo eremita Pietro. Lui, uomo già anziano, ascetico,  del tutto estraneo alle logiche curiali e ai giochi di potere che c'erano dietro l'elezione travagliata al soglio pontificio. Compare alla, presenza dei cardinali ancora vestito del suo saio rozzo. Dopo pochi mesi, quattro per la precisione, Celestino V rinuncia al suo mandato; subito dopo viene eletto Bonifacio VIII. E qui comincia il travaglio di Celestino, che viene messo sotto sotto scorta,  per "protezione", tenta la fuga verso Oriente, viene catturato e rinchiuso nella rocca di Fumone  dove muore, il 19 maggio 1296.

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Subito si diffondono voci e accuse, per la sua morte. Che indicavano nel suo successore il mandante di un vero e proprio omicidio. Voci prive di fondamento, ma che dimostrano il clima in cui si svolsero gli avvenimenti tragici degli ultimi anni della sua esistenza. In realtà ancora un capitolo doveva essere scritto. Sotto la spinta del popolo e di alcuni principi e potenti dlel'epoca, il 5 maggio 1313 viene canonizzato da papa Clemente V. Le sue spoglie si trovano proprio nella basilica di Collemaggio all'Aquila.

Una vita tanto straordinaria non poteva non colpire la fantasia e l'attenzione di artisti, scrittori, poeti. Senza contare  il richiamo alla sua storia tornata drammaticamente alla ribalta  nel 2013, quando Benedetto XVI ha annunciato al mondo le proprie dimissioni.

Se Dante nella Divina Commedia "liquida" Celestino con pochi versi, "colui che per viltade fece il gran rifiuto", ponendolo tra gli ignavi, senza neppure citarlo per nome, per cui l'identificazione precisa resta una ricostruzione a posteriori,  altri ne sono rimasti profondamente colpiti.

Ignazio Silone lo ha reso protagonista di "L'avventura di un povero cristiano", opera pubblicata nel 1968, scritta in forma teatrale con una introduzione, chiamiamola così,  in cui l'autore spiega com'è nato il suo interesse per questa figura, le sue ricerche storiche, il "messaggio" che rintraccia nelle vicende terrene di Celestino V. Sono contenute descrizioni bellissime dell'Abruzzo,  della grandezza "nascosta" di questa terra, da sempre luogo di elezione per santi, eremiti, monaci, mistici. Un'opera che all'epoca della sua pubblicazione, e fino a metà degli anni settanta, ebbe molto successo e fu molto amata, ma oggi è quasi completamente caduta nel dimenticatoio.

Al di la' di una visione a tratti ideologizzata e quindi non sempre  limpida, tanto da appesantire l'opera stessa,  questo libro è da leggere e meditare, anche oggi, nonostante l'immersione nel periodo storico in cui Silone l'aveva concepita. Del resto, Silone stesso indica il suo scopo: scrivere di un uomo del 1200 per rivivere l'eterno dilemma del rapporto tra individuo e potere, tra credente e Chiesa come istituzione, in dialogo continuo con il tumultuoso quadro politico degli anni Sessanta e Settanta.

Ma resta vivo, anche grazie ad una scrittura poetica, il ritratto di Pietro, il suo contatto con la natura e con la scelta di adesione radicale del Vangelo, il fascino del suo rifiuto di diventare "uomo di potere" e non tanto guida della Chiesa, il tentativo di essere coerente con se stesso, fino in fondo. 

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Ignazio Silone, L'avventura di un povero cristiano,  Oscar Mondadori, pp.234, euro 13