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Libertà religiosa, il concreto impegno della Santa Sede. In un evento all’ONU

Nazioni Unite | L'evento sulla libertà religiosa del 28 aprile, Palazzo di Vetro, Nazioni Unite | Holy See Mission Nazioni Unite | L'evento sulla libertà religiosa del 28 aprile, Palazzo di Vetro, Nazioni Unite | Holy See Mission

Libertà religiosa: come difenderla? Il tema è stato rilanciato con forza dell’Osservatore della Santa Sede alle Nazioni Unite, in uno dei cosiddetti “side events” che rappresentano un po’ il cuore della missione di sensibilizzazione della Santa Sede nel concerto internazionale. Così, lo scorso 28 aprile, al Palazzo di Vetro sono stati messi insieme sopravvissuti, avvocati internazionali, esperti, per parlare di “Difendere la Libertà Religiosa e altri diritti umani: Fermare le atrocità di Massa contro i cristiani e altri credenti”.

Il tema è dirimente. C’è una grande discussione se considerare genocidio o meno quello che sta succedendo in Medio Oriente. Da parte politica, il Parlamento Europeo lo ha dichiarato, quello inglese anche, quello francese forse lo farà. D’altro canto, anche in Medio Oriente si dibatte se qualificare il tutto come genocidio di cristiani o se piuttosto allargare lo sguardo, e notare che le atrocità vengono commesse su tutte le minoranze religiose.

L’arcivescovo Bernardito Auza, osservatore della Santa Sede, non prende una posizione sul genocidio, ma semplicemente mette la questione sul tavolo. “Tristemente, nel momento stesso in cui parliamo, la violenza sistematica contro le minorane etniche e religiose in molte parti del mondo continua ad andare avanti. La grandezza e la brutalità di quanto sta accadendo richiede che il mondo si svegli e si impegni”.

Molti gli interventi in tre ore di dibattito. Ufuk Gokcen, ambasciatore che lavora come osservatore permanente dell’Organizzazione della Cooperazione Islamica, ha sottolineato che i leader musulmani stanno lavorando per togliere credito a gruppi terroristici come l’ISIS e Boko Haram che “mettono a rischio l’Islam”, e ha dichiarato che non si tratta di “una guerra tra Islam e Cristiani, ma tra l’umanità e i nemici dell’umanità”, ricordando la dichiarazione di Marrakech in Marocco con cui i leader islamici si sono impegnati a difendere le minoranze.

Carl Anderson, Cavaliere Supremo dei Cavalieri di Colombo, ha descritto la situazione in Medio Oriente come “la più grande crisi umanitaria della Seconda Guerra Mondiale. Nel chiedere l’impegno della comunità internazionale, ha ricordato che i Cavalieri di Colombo hanno raccolto più di 10,5 milioni di dollari di aiuto per i rifugiati nel Medio Oriente, ha chiesto che il Congresso degli Stati Uniti e il Dipartimento di Stato americano riconoscano finalmente il genocidio, ha invitato le Nazioni Unite a giocare un ruolo vitale nel garantire un futuro nella regione che aiuti a preservare il pluralismo proteggendo vittime e rifugiati”.

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Come detto, il Parlamento europeo ha già riconosciuto che le minoranze religiose sono vittime di un sistematico omicidio di massa. Lo si deve anche a Lars Adaktusson, svedese, che ha partecipato all’incontro ribadendo la responsabilità del mondo libero di “proteggere i gruppi vulnerabili perseguitati per il credo religioso”.

Ignacio Arsuaga, leader di CitizenGo, ha invece moderato un “panel” con sopravvissuti e vittime delle violenze. Tra questi, c’erano Carl e Masha Mueller, i genitori di Kayla Mueller, un cooperante statunitense di 26 anni tenuta prigioniera dall’ISIS in Siria per 18 mesi prima di essere uccisa a febbraio 2015.

Padre Douglas Al-Bazi è invece un sacerdote Caldeo di Erbil, In Iraq. È stato catturato e torturato dall’ISIS. Ci ha tenuto a dire che i rifugiati meritano più attenzione, perché “non si tratta di una pacifica migrazione di persone che cercano semplicemente una vita migliore. È una migrazione forzata, in molti casi in maniera anche brutale”.

E che la situazione non sia delle più rosee è stato messo in luce da Suor Maria di Guadalupe, una missionaria argentina in Siria, la quale ha raccontato che “i cristiani vengono uccisi ogni giorno, le donne sono stuprate, i bambini seppelliti vivi di fronte alle loro madri”.

Gli stupri si sono moltiplicati, specialmente nei confronti delle donne cristiane e yazide. L’obiettivo è quello di definire questi stupri come “crimini contro l’umanità”. Una richiesta che è venuta da Samia Sleman, ora quindicenne, che aveva 13 anni quando è stata rapita dall’ISIS ed è rimasta 6 mesi e 12 giorni in prigionia. “Abbiamo visto – ha detto – cose terribili succedere a noi minoranze, specialmente a cristiani e yazidi”.

Intanto, lo scorso 20 aprile, la House of Commons del Parlamento inglese ha approvato una risoluzione che ha invitato il governo inglese ad agire per condannare, denunciare e fermare il genocidio in atto. Nel voto, il governo si è astenuto.

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La risoluzione è particolarmente importante, perché viene un mese dopo che una risoluzione analoga era stata bocciata dalla House of Lords. Ed è arrivata mentre il mondo rimaneva silente di fronte all’ultimo omicidio di massa in Iraq, perpetuato ai danni di 250 donne di Mosul uccise dal sedicente ISIS perché avevano rifiutato di diventare “schiave del sesso” del gruppo terroristico.

Per ora, il Parlamento Europeo, gli Stati Uniti con una dichiarazione del Segretario di Stato John Kerry, e quindi il Regno Unito hanno utilizzato la parola “genocidio” per descrivere quello che sta succedendo in Medio Oriente. Ora potrebbe essere la volta della Francia.