Advertisement

L'impegno dei salesiani in Ucraina con la organizzazione delle Missioni Don Bosco

Ecco perché i salesiani hanno scelto di restare nel paese preparando anche il dopo

I salesiani in Ucraina |  | Ans
I salesiani in Ucraina | | Ans
I salesiani in Ucraina |  | Ans
I salesiani in Ucraina | | Ans

L’impegno delle Missioni Don Bosco’ in Slovacchia, Polonia e a Leopoli è grandissimo. Le case sostenute da ‘Missioni Don Bosco’ in alcune località dell’Ucraina e nei Paesi limitrofi sono state convertite in centri per operare i soccorsi, con l’occhio rivolto al ‘dopo’, quando gli Ucraini potranno tornare a vivere nelle loro città e avranno bisogno di una ‘normalità’.

A don George Menamparampil, coordinatore della risposta salesiana all’emergenze, chiediamo di raccontarci la situazione in Ucraina: “La situazione è terribile, come si può constatare facilmente dai messaggi che ci mandano i salesiani sul posto. I ‘Figli di don Bosco’ sono presenti in tutto il Paese, grandi città e villaggi: a Kiev, Leopoli, Dnipro, Zhytomyr, Odessa, Korostyshiv, Peremyshlany e Bibrka. La popolazione si rifugia nelle cantine e nei sotterranei per paura dei bombardamenti e quanti possono, soprattutto le donne, i bambini e gli anziani, lasciano direttamente il Paese. Le città alla sera sembrano deserte e negli spostamenti s’incontrano facilmente controlli e posti di blocco”.

 In quale modo la Congregazione salesiana aiuta la popolazione?

“La Congregazione sta dando un aiuto a tutto campo. I centri di pastorale giovanile sono diventati centri di primo soccorso per la popolazione colpita; le case, gli oratori e le scuole salesiane hanno aperto le loro porte agli sfollati, che sono migliaia, e li aiutano a trovare rifugi sicuri e cibo, e anche accompagnandoli verso i confini occidentali del Paese. Poi, stiamo inviando molte medicine per il primo soccorso. Grazie a dei trasporti aerei di medicinali e materiali sanitari, arrivati da Malta e dagli Stati Uniti, assicuriamo anche la salute delle persone colpite dalle esplosioni o ammalate, che curiamo finché non stanno abbastanza bene da poter tornare a casa. 

Ma il sostegno non è solo in Ucraina, riguarda anche i Paesi vicini, in primo luogo la Polonia e poi Slovacchia, Moldavia, Repubblica Ceca, Ungheria, Croazia, Italia, Malta, Irlanda… Si tratta di un’operazione che sta richiedendo un alto livello di coordinamento e che vede coinvolte le Ispettorie salesiane, ONG e tante diverse realtà della Famiglia Salesiana di tutta Europa e anche oltre, tutte impegnate per far sì che la macchina dei soccorsi lavori nella maniera più efficace ed efficiente possibile”. 

Advertisement

Come sono accolti i rifugiati?

“Dove vengono accolti i rifugiati, viene assicurato loro tutto il possibile: vitto, alloggio e tutte quelle cose che la gente non ha potuto portare con sé (culle, carrozzine, vestiti, materiali per l’igiene…), e ancora servizi di interpretariato, supporto burocratico-legale, l’inserimento dei bambini e dei giovani nei percorsi educativi e nelle attività dei centri giovanili, l’aiuto agli adulti a trovare lavoro. Senza dimenticare, ovviamente, il supporto morale e spirituale.

Infine, a livello di raccolte di materiali e di fondi, di campagne di sensibilizzazioni, davvero gli aiuti arrivano da tutto il mondo: dall’India, dal Kenya e dall’Africa Meridionale, dall’America Latina, da tutta Europa. E coinvolge tutta la Congregazione, dal Rettor Maggiore dei Salesiani, in prima linea anche in questo frangente, fino alle più piccole presenze e realtà giovanili”.

Per quale motivo la Congregazione salesiana ha scelto di restare in Ucraina?

“I salesiani restano sempre al fianco della popolazione in queste circostanze. Così è stato in Siria durante la guerra, o durante l’epidemia di Ebola in Africa occidentale… Non si abbandona la propria famiglia nel momento della prova. In questo caso, non solo i salesiani ucraini, ma anche i missionari polacchi hanno subito manifestato la loro opzione di restare al fianco della popolazione ucraina per aiutarla in questa tragedia”.

Come è possibile vivere la fede in tempo di guerra?

More in Storie

“La fede è già stata vissuta in tempo di guerra da miliardi di fratelli e sorelle lungo la storia. Se guardiamo ai personaggi della scrittura, o ai salmi, che ne sono quasi l’anima, troviamo costantemente riferimenti a situazioni di lotta, sofferenza. In tante pagine è la guerra in tutta la sua crudeltà a segnare i destini. Eppure, alla fine diciamo: parola di Dio! Le comunità in cui si è formato il Nuovo Testamento sono spesso formate da sparuti gruppi di persone perseguitate, che conoscono bene cosa vuol dire martirio. Ad esse si aggiunge un gran numero di santi lungo i secoli. I martiri sono i più numerosi anche tra i membri della Famiglia Salesiana sulla via degli altari. 

Ma su tutti e su tutto si erge la croce: è un puro atto di violenza estrema contro un innocente. Ma è anche quanto ha cambiato la storia di questo universo più di qualunque impero, ordigno, vittoria o sconfitta militare. 

Come vivere la fede in tempo di guerra non lo si spiega: è e rimane mistero, in cui però si può entrare, trasformando le piaghe in redenzione, la morte in resurrezione. La Pasqua non è un evento che si è concluso 2.000 anni fa: è stato l’inizio di una trasformazione in continuo divenire, di cui ciascuno di noi è partecipe, e che si vive tanto più intensamente quanto più si fa prossima al mistero della croce”.

 

Nella consacrazione al Cuore Immacolato di Maria del mondo, dell’Ucraina e della Russia il papa ha chiesto preghiere per la pace: quanto è importante pregare?

“Pregare per noi è importante come lo è stato per il Figlio di Dio quando sudava sangue nel Getsemani. E’ servito a qualcosa? E’ servito tanto quanto serve la preghiera di chi è sopraffatto dalla violenza e che da essa viene ucciso, come Massimiliano Kolbe, Edith Stein… tanto per citare solo due tra i più noti martiri del nazismo, uccisi ad Auschwitz, meno di 400 km da Leopoli. 

Pregare cambia lo sguardo, e uno sguardo diverso sulla realtà, anche la più assurda, cambia il nostro cuore. Facciamo bene ad implorare la pace perché è il primo passo per operarla, per diventare noi suoi costruttori. 

Ma questo non riduce i confini del mistero più grande di questo universo, dopo il mistero di Dio, che è quello della libertà umana. Mai come oggi possiamo toccare con mano fino a che punto può spingersi nel bene e nel male il cuore libero degli uomini, a cui neanche Dio ha opposto resistenza lasciandosi inchiodare ad un pezzo di legno. 

Un rabbino dell’est Europa aveva chiesto ai suoi allievi qual è l’attimo in cui finisce la notte e inizia il giorno. Dopo tanto discutere, propose lui la risposta: ‘E’ quell’attimo in cui c’è già abbastanza luce da permetterci di riconoscere in qualunque persona nostro fratello, nostra sorella. Finché non ci riusciamo è ancora notte’. Questo è quello che ottiene la preghiera per la pace. Come ci ha ricordato, ancora una volta, il Santo Padre, con la consacrazione dell’Ucraina e della Russia al Cuore Immacolato di Maria”.