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Papa Francesco e i gesuiti di Ungheria, quali i temi dell’incontro?

La trascrizione ufficiale dei novanta minuti di colloquio arriverà nei prossimi giorni su Civiltà Cattolica, come di consueto. Alcune anticipazioni

Papa Francesco in Ungheria | Papa Francesco nell'incontro con i membri della Compagni di Gesù, Nunziatura Apostolica di Budapest, 29 aprile 2023 | Vatican Media / ACI Group Papa Francesco in Ungheria | Papa Francesco nell'incontro con i membri della Compagni di Gesù, Nunziatura Apostolica di Budapest, 29 aprile 2023 | Vatican Media / ACI Group

Tornando dal viaggio in Ungheria, Papa Francesco ha ricordato di aver incontrato le comunità di ungheresi in America Latina già nel suo periodo in Cile, durante gli anni Sessanta. E, in effetti, tra i 32 gesuiti che lo hanno incontrato nella nunziatura apostolica lo scorso 29 aprile, c’era anche uno che era stato in Cile, che oggi ha 97 anni e che ha condiviso con il Papa molte memorie comuni. Ma a Budapest c’era anche un altro gesuita ungherese che è morto lo scorso 14 febbraio 2021 e che ha incrociato la strada di Papa Francesco in Argentina: padre Franz Jalics. E sembra sia stato anche di lui che si è parlato nella conversazione del Papa con i suoi confratelli.

Il testo completo della conversazione sarà pubblicato, come di consueto, su Civiltà Cattolica, e sarà dunque quello il punto di riferimento. ACI Stampa è in grado però di ricostruire un po’ dell’incontro. Questo sarebbe durato una ora e mezza, dunque mezzora in più dell’ora preventivata, e che ha affrontato diversi temi. Tra l’altro, i gesuiti di Ungheria avevano lanciato la campagna “Dillo al Papa”, raccogliendo tutte le domande che le persone avrebbero voluto fare al Papa. Ne era venuta fuori una lista di 150 domande, in parte discusse negli eventi pubblici, in parte confluite proprio nella discussione con i gesuiti.

Quali, dunque, i temi di conversazione? È stato chiesto al Papa come superare la crisi delle vocazioni, come essere giovani preti oggi, come andare incontro ai sacerdoti, e si è discusso anche della situazione della cristianità in Europa.

Il Papa è stato come al solito disponibile, quasi ri-energizzato dall’incontro che aveva avuto nel pomeriggio con gli 11 mila giovani alla Laszlo Papp Arena. Anzi, c’era un giovane, tra quelli che gli hanno posto le domande in quel pomeriggio, che proveniva proprio dalle scuole dei gesuiti, e Papa Francesco lo aveva tenuto in mente.

Ma era stata tutta una giornata “gesuita”, se si pensa che è anche un gesuita che si occupava dei migranti e dei rifugiati che hanno incontrato il Papa nella mattina del 29 aprile nella chiesa di Santa Elisabetta.

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Se le indiscrezioni verranno confermate dal resoconto di Civiltà Cattolica, la questione di padre Jalics avrebbe avuto comunque un posto importante nella conversazione. Insieme all’altro gesuita Orlando Yorio erano stati rapiti e torturati dal regime militare in Argentina, nelle cui mani rimasero per cinque mesi.

Era il maggio 1976, e in quel tempo Jorge Mario Bergoglio era provinciale dei gesuiti di Argentina. Bergoglio si adoperò anche per la liberazione dei due confratelli, ma fu detto che era stato lui stesso a denunciarli al regime di Videla. Una questione, questa, che fu smentita dallo stesso Padre Jalics, con un comunicato ufficiale diffuso sul sito della provincia tedesca dei Gesuiti, dato che lui si stabiliva a Monaco, e che diceva seccamente: “Orlando Yorio e io non siamo stati denunciati da Bergoglio”.

Tra l’altro, Papa Francesco incontrò lo stesso Jalics il 5 ottobre 2013. Yorio, che invece non era nemmeno più rientrato nei gesuiti, era morto nel 2000, senza mai cambiare il suo punto di vista sull’operato di Bergoglio.

Facile pensare che la questione sia stata posta dai gesuiti di Ungheria a Papa Francesco, considerando che Jalics era ungherese e che è morto a Budapest. I gesuiti volevano anche dare l’opportunità al Papa di raccontare il modo in cui ha visto le cose.

In fondo, lo stesso Papa Francesco era stato interrogato negli Anni Settanta, era andato personalmente in prigione per chiedere la liberazione dei confratelli, e aveva incontrato padre Jalics non solo quando era già Papa, ma anche in una altra occasione.

Ma cosa era successo esattamente? Vale la pena lasciare la parola al comunicato che Jalics pubblicò nel 2013, e di cui si ha traccia solo perché fu riportato ampiamente dai siti di informazione. Il comunicato, infatti, non si trova più sul sito, che è stato ristrutturato quando la provincia è diventata la “Provincia del’Europa Centrale” (questo era il link precedente: https://www.jesuiten.org/aktuelles/details/article/erklarung-von-pater-franz-jalics-sj.html).

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“Vivevo – raccontava padre Jalics -  dal 1957 a Buenos Aires, e nel 1974, mosso da intimo desiderio di vivere il Vangelo e di essere attento alla terribile povertà, con il permesso dell'arcivescovo Aramburu e dell'allora padre provinciale Jorge Mario Bergoglio mi sono trasferito con un confratello in una favela, una baraccopoli della città. Da lì abbiamo continuato le nostre attività di insegnamento all'università”.

Padre Jalics aggiunse che “in quella situazione analoga ad una guerra civile la giunta militare ha ucciso in uno, due anni, circa 30mila persone, guerriglieri della sinistra come anche incolpevoli civili. Noi due nella favela non avevamo contatti né con la giunta né con la guerriglia. Per la mancanza di informazioni di allora e per false informazioni fornite appositamente la nostra posizione era stata fraintesa anche nella Chiesa. In quel periodo abbiamo perso il contatto con uno dei nostri collaboratori laici, che si era unito alla guerriglia. Dopo il suo arresto e il suo interrogatorio da parte dei militari della giunta, avvenuto nove mesi più tardi, questi ultimi hanno appreso che aveva collaborato con noi. Per questo siamo stati arrestati, con la supposizione che anche noi avessimo a che fare con la guerriglia”.

Quindi, “dopo un interrogatorio di cinque giorni, l'ufficiale che aveva condotto l'interrogatorio stesso si è congedato con queste parole: 'Padri, voi non avete colpe e mi impegnerò per farvi tornare nei quartieri poveri'. Nonostante quell'impegno restammo incarcerati, per noi inspiegabilmente, per altri cinque mesi, bendati e con le mani legate”.

Padre Jalics poi chiarì di non poter “prendere alcuna posizione riguardo al ruolo di Jorge Mario Bergoglio. Dopo la nostra liberazione ho lasciato l'Argentina. Solo anni dopo abbiamo avuto la possibilità di parlare di quegli avvenimenti con padre Bergoglio, che nel frattempo era stato nominato arcivescovo di Buenos Aires. Dopo quel colloquio abbiamo celebrato insieme una messa pubblica e ci siamo abbracciati solennemente. Sono riconciliato con quegli eventi e per me quella vicenda è conclusa.”. 

In un secondo comunicato, Jalics ribadiva che “Orlando Yorio ed io non fummo denunciati da padre Bergoglio. Come avevo chiarito nella mia precedente spiegazione, fummo incarcerati a causa di una catechista che dapprima lavorava con noi e poi entrò nella guerriglia (a causa di un errore di traduzione nella precedente spiegazione si parlava di un uomo). Per tre quarti di anno non l'abbiamo vista. Due o tre giorni dopo il suo arresto fummo arrestati anche noi”.

Successe poi che “l'ufficiale che mi interrogò controllò i miei documenti. Quando vide che ero nato a Budapest, mi ritenne una spia. Nella provincia dei gesuiti argentini e nei circoli ecclesiali già negli anni precedenti erano state diffuse false informazioni sul fatto che ci saremmo trasferiti nella favela perché anche noi appartenevamo alla guerriglia”. 

Le parole di Jalics misero in qualche modo la parola fine al caso Bergoglio. Tra l’altro, sono molte le testimonianze che sottolineano come quel giovane provinciale dei gesuiti di fosse adoperato in più occasioni per salvare i suoi confratelli. Lo fece con la necessaria prudenza, perché era difficile distinguere i nemici dagli amici. Ma è noto che  Bergoglio si recò di persona da Videla (capo della giunta militare argentina) per chiedere la liberazione di Yorio e Jalics, per i quali, secondo gli atti della giunta militare, era stato richiesto il passaporto.

Quegli atti sono pubblicati in Argentina, e Papa Francesco nel 2016 ha anche manifestato l’intenzione di aprire alla consultazione gli archivi vaticani relativi al tempo della dittatura in Argentina (1976-1983).