Come sempre Papa Francesco non tradisce le attese e a bordo del volo che lo ha riportato a Roma dal viaggio apostolico in Lituania, Lettonia ed Estonia affronta - oltre ai temi del viaggio stesso - anche quelli di più stretta attualità, a cominciare dall’accordo provvisorio tra Repubblica Popolare Cinese e Santa Sede sulla nomina dei vescovi. 

“Questo - ha spiegato il Papa - è un processo da anni. Un dialogo tra la commissione vaticana e la commissione cinese per sistemare la nomina dei vescovi. L’equipe vaticana ha lavorato tanto. Quando si fa un accordo di pace o un negoziato, ambedue le parti perdono qualcosa. Questa è la legge. Ambedue le parti… e si va avanti, questo è andato avanti due passi avanti e uno indietro, due avanti e uno indietro, mesi sono passati senza parlarci… E i vescovi che erano in difficoltà sono studiati caso per caso e nel caso dei vescovi sono alla fine arrivati i dossier di ciascuno sulla mia scrivania e sono stato io il responsabile di firmare il caso dei vescovi. Poi il caso dell’accordo è tornato, le bozze sulla mia scrivania, si parlava, davo le mie idee, gli altri discutevano e andavano avanti… io penso alla Resistenza, ai cattolici che hanno sofferto: loro soffriranno, sempre in un accordo c’è sofferenza, la loro è una grande fede, e loro scrivono, fanno arrivare i messaggi che quello che la Santa Sede che Pietro dice è quello che dice Gesù. Se la fede martiriale di questa gente oggi va avanti, sono dei grandi! L’accordo l’ho firmato io. Almeno, le lettere plenipotenziarie per firmare quell’accordo che io avevo firmato. Io sono il responsabile. Gli altri che ho nominato in tutto hanno lavorato per più di dieci anni. Non è una improvvisazione, ma è un cammino. Un vero cammino.  Un aneddoto semplice e un dato storico. Quando è stato quel famoso comunicato di un ex nunzio apostolico gli episcopati del mondo mi hanno scritto, dicendo chiaramente che si sentivano vicini, che pregavano per me…i fedeli cinesi hanno scritto e la firma di questo scritto era del vescovo, diciamo così della Chiesa tradizionale cattolica e del vescovo della Chiesa Patriottica, insieme tutti e due e fedeli tutti e due. Per me è stato un segnale di Dio”. Francesco, comunque, alla fine precisa che questo “è un dialogo su eventuali candidati, ma nomina Roma, nomina il Papa e preghiamo per le sofferenze di alcuni che non capiscono o che hanno alle spalle tanti anni di clandestinità”. 

Ripercorrendo il senso della memoria delle sofferenze patite per le persecuzioni naziste e sovietiche dai popoli di Lituania, Lettonia ed Estonia, il Papa propone un parallelo con l’attualità. “La stessa crudeltà oggi si trova in tanti posti di detenzione. Oggi si trova in tanti carceri, anche sovrappopolazione di un carcere è un modo di tortura, di non vivere con dignità. Un carcere oggi che è sistemato senza dare al detenuto la uscita della speranza già è una tortura. Poi abbiamo visto sulla televisione le crudeltà dei terroristi dell’ISIS, quel pilota giordano bruciato vivo, quelli cristiani copti sgozzati nella spiaggia di Libia, e tante altre. Oggi la crudeltà non è finita. In tutto il mondo si fa. E questo messaggio io vorrei darlo a voi, come giornalisti. Questo è uno scandalo, un grave scandalo della nostra cultura, della nostra società.  Un’altra cosa che ho visto in questi tre Paesi è l’odio alla religione, qualsiasi sia. L’odio”. 

Non è mancato anche un cenno allo scandalo degli abusi sessuali sui minori. La pedofilia - ha osservato Francesco - “c’è dappertutto, ma nella Chiesa è più scandaloso perché deve portare i bambini a Dio e non distruggere”. Sul rapporto della Pennsylvania “vediamo che i primi 70 anni c’erano tanti preti che sono caduti in questa corruzione, poi in tempi più recenti è diminuito, perché la Chiesa se ne è accorta che doveva lottare in altro modo. In tempi antichi queste cose si coprivano, anche si coprivano a casa, quando lo zio violentava la nipotina, quando il papà violentava i figli, si coprivano perché era una vergogna molto grande… era il modo di pensare dei secoli scorsi o del secolo scorso. C’è un principio che mi aiuta tanto per interpretare della storia: un fatto storico va interpretato con l’ermeneutica dell’epoca in cui è stato questo fatto, non come una ermeneutica di oggi tramandata”.