Advertisement

Papa Francesco in Canada: “La fede è sempre trasmessa in lingua materna”

Si chiude la seconda giornata del pellegrinaggio penitenziale del Papa in Canada con un incontro con le popolazioni indigene al Lac St. Anne. Il Papa esalta il lavoro dei missionari, chiede di privilegiare la verità all’istituzione

Papa Francesco, Lago di Sant'Anna | Papa Francesco davanti al Lago di Sant'Anna | Vatican Media / ACI Group Papa Francesco, Lago di Sant'Anna | Papa Francesco davanti al Lago di Sant'Anna | Vatican Media / ACI Group

Il Papa arriva fino alla riva del lago e benedice alla maniera indigena, toccando i punti cardinali. Ed è la chiusura di una due giorni in cui le celebrazioni e gli incontri sono stati pervasi da una simbologia dei nativi americani, dalla croce che si dipana a forma di teepee (la tenda dei nativi americani) nella parrocchia del Sacro Cuore al concetto dell’albero delineato da Papa Francesco nell’incontro di ieri alla parrocchia del Sacro Cuore, per arrivare dunque all’acqua. Questa è segno di purificazione e guarigione, spiega Papa Francesco. Che però aggiunge: questa purificazione e guarigione possono avvenire solo guardando alla Croce di Gesù, solo partendo da quella rivoluzione dell’amore nata con Cristo.

Il secondo giorno in Canada si è chiuso, così, con una richiesta di purificazione, ma anche con l’esaltazione del ruolo delle nonne, nel giorno di Sant’Anna. A Sant’Anna, i nativi americani, specialmente quelli delle First Nations, sono molto devoti. E al pellegrinaggio verso il lago, organizzato dagli Oblati sin dal 1889, partecipano da sempre anche membri delle Prime Nazioni, che già consideravano il lago santo ben prima che fosse ribattezzato dal missionario Thibaut Lac St. Anne.

Così, a fianco e con le tradizioni indigene, la cura della natura, il segno dell’acqua, l’amore per la creazione, gli Oblati hanno creato una opera di evangelizzazione, fatta di gesti, di segni, di vicinanza, e anche dei miracoli che sono cominciati a proliferare nel lago, mentre la devozione di Sant’Anna, la nonna di Gesù, si diffondeva anche nelle comunità indigene, da sempre legate alle kokum, alle nonne.

Papa Francesco la definisce “inculturazione materna” che “ è avvenuta per opera di sant’Anna, unendo la bellezza delle tradizioni indigene e della fede, e plasmandole con la saggezza di una nonna, che è mamma due volte”.

Per il Papa, “anche la Chiesa è donna, è madre”, e infatti “non c’è mai stato un momento nella sua storia in cui la fede non fosse trasmessa in lingua materna, dalle madri e dalle nonne”.

Advertisement

Anzi, Papa Francesco ritiene che “parte dell’eredità dolorosa che stiamo affrontando nasce dall’aver impedito alle nonne indigene di trasmettere la fede nella loro lingua e nella loro cultura”, una perdita che “è una tragedia”, ma che oggi può essere superata, perché “Ora tutti noi, come Chiesa, abbiamo bisogno di guarigione: di essere risanati dalla tentazione di chiuderci in noi stessi, di scegliere la difesa dell’istituzione anziché la ricerca della verità, di preferire il potere mondano al servizio evangelico”.

È il tema del viaggio, è la lettura che il Papa dà a quello che è successo nelle scuole residenziali. Anche se poi la responsabilità dei cattolici è molto attenuata, se si pensa al grande lavoro pastorale che trova espressione proprio a Lac St. Anne.

Un lago, come il lago di Galilea, nota Papa Francesco, dove ha luogo molta della predicazione di Gesù, e che si può definire “un condensato di differenze”, perché “sulle sue rive si incontravano pescatori e pubblicani, centurioni e schiavi, farisei e poveri, uomini e donne delle più variegate provenienze ed estrazioni sociali”.

Quel lago era un “meticciato di diversità”, e divenne “sede di un inaudito annuncio di fraternità”, ovvero di “una rivoluzione senza morti e feriti, quella dell’amore”.

Papa Francesco invita ad immaginarsi “al lago con Gesù, mentre Lui si avvicina, si china e con pazienza, compassione e tenerezza, guarisce tanti malati nel corpo e nello spirito”, una guarigione di cui noi stessi abbiamo bisogno.

“Signore – è la preghiera di Papa Francesco - come la gente sulle sponde del mare di Galilea non aveva paura di gridarti i suoi bisogni, così noi stasera veniamo a te, con il dolore che abbiamo dentro. Ti portiamo le nostre aridità e le nostre fatiche, i traumi delle violenze subite dai nostri fratelli e sorelle indigeni”.

More in Vaticano

Continua la preghiera: “In questo luogo benedetto, dove regnano l’armonia e la pace, ti presentiamo le disarmonie delle nostre storie, i terribili effetti della colonizzazione, il dolore incancellabile di tante famiglie, nonni e bambini. Aiutaci a guarire le nostre ferite. Sappiamo che ciò richiede impegno, cura e fatti concreti da parte nostra; ma sappiamo pure che da soli non ce la possiamo fare. Ci affidiamo a Te e all’intercessione della tua madre e della tua nonna”.

C’è anche una Madonna di Guadalupe nel santuario, e Papa Francesco non può non pensare anche alla Madre delle Americhe, la quale “durante il dramma della conquista” fu quella che trasmise “la retta fede agli indigeni, parlando la loro lingua e

vestendo i loro abiti, senza violenze e senza imposizioni. E poco dopo, con l’arrivo della stampa, vennero pubblicate le prime grammatiche e i primi catechismi in lingue indigene”.

Esclama Papa Francesco: “Quanto bene hanno fatto in questo senso i missionari autenticamente evangelizzatori per preservare in tante parti del mondo le lingue e le culture autoctone!”

Secondo Papa Francesco, per risanare la vita delle comunità “non possiamo che partire dai poveri, dai più emarginati”, perché “troppo spesso ci si lascia guidare dagli interessi di pochi che stanno bene”, ma invece “occorre guardare di più alle periferie e porsi in ascolto del grido degli ultimi; saper ascoltare il dolore di quanti, spesso in silenzio, nelle nostre città affollate e spersonalizzate, gridano: ‘Non lasciateci soli!’.”

Lo chiedono gli “anziani che rischiano di morire da soli in casa o abbandonati presso una struttura, o di malati scomodi ai quali, al posto dell’affetto, viene somministrata la morte”, ma anche “ragazzi e ragazze più interrogati che ascoltati, i quali delegano la loro libertà a un telefonino, mentre nelle stesse strade altri loro coetanei vagano persi, anestetizzati da qualche divertimento, in preda a dipendenze che li rendono tristi e insofferenti, incapaci di credere in loro stessi, di amare quello che sono e la bellezza della vita che hanno”.

Insomma, dice il Papa “Non lasciateci soli è il grido di chi vorrebbe un mondo migliore, ma non sa da dove iniziare”. Ma “nelle nostre solitudini e insofferenze Gesù ci spinge a uscire, a dare, ad amare. E allora, mi chiedo: che cosa faccio io per chi ha bisogno di me? Guardando alle popolazioni indigene, pensando alle loro storie e al dolore che hanno subito, che cosa faccio per loro le popolazioni indigene? Ascolto con un po’ di curiosità mondana e mi scandalizzo per quanto accaduto in passato, oppure faccio qualcosa di concreto per loro?”

Papa Francesco sottolinea che a volte serve accompagnare le persone, più che dare subito loro quello che vogliono, perché “è in questo modo che, attraverso il bene che potrà fare agli altri, scoprirà i suoi fiumi di acqua viva, scoprirà il tesoro unico e prezioso che è”.

Papa Francesco conclude esprimendo il desiderio che la Chiesa sia “intrecciata” agli indigeni, come “stretti e uniti sono i fili delle fasce colorate che tanti di voi indossano”. E prega che “il Signore ci aiuti ad andare avanti nel processo di guarigione, verso un avvenire sempre più risanato e rinnovato”.

Oggi Papa Francesco parte per Quebec City, dove ci sarà la parte più istituzionale del viaggio, prima dell’incontro con le popolazioni Inuit nella loro capitale di Iqaluit e il ritorno a Roma.