"Il Cardinale Bea non è solo da ricordare per quello che ha fatto, ma anche per il modo in cui l’ha fatto. In questo senso rimane un modello cui ispirarsi per il dialogo ecumenico e interreligioso, e in modo eminente per il dialogo intra-familiare con l’ebraismo. Nahum Goldmann, Presidente del World Jewish Congress, descrisse Bea con tre espressioni: comprensivo, pieno di bontà umana e coraggioso. Sono tre aspetti essenziali per chi si adopera nella riconciliazione tra gli uomini". Lo ha detto il Papa ricevendo in udienza i partecipanti all’Incontro per commemorare il 50° della scomparsa del Cardinale Agostino Bea, promosso dal Centro “Cardinal Bea” per gli Studi Giudaici in collaborazione con il Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani, il Pontificio Istituto Biblico e il Center for the Study of Christianity dell’Università Ebraica di Gerusalemme.

"Il Cardinale Bea - ha osservato Francesco - era convinto che l’amore e il rispetto sono i principi primi del dialogo. Non c’è verità al di fuori dell’amore, e l’amore si declina in primo luogo come capacità di accogliere, abbracciare, comprendersi. Il secondo aspetto: la bontà e l’umanità, il saper creare vincoli di amicizia, legami fondati sulla fraternità che ci accomuna, in quanto creature di Dio che è Padre e ci desidera fratelli. Comprensione che accetta l’altro, bontà che scopre e crea legami di unità; tutto questo in lui era sostenuto – terzo aspetto – da un temperamento coraggioso. Pur accusato e calunniato, andò avanti, con la perseveranza di chi non rinuncia ad amare. Era realista sul futuro dell’unità: da una parte cosciente delle difficoltà, dall’altra convinto della necessità di rispondere all’accorato desiderio del Signore che i suoi siano una sola cosa".

Il Papa ha poi ricordato gli importanti passi in avanti nel dialogo tra cattolici ed ebrei. "Finora il dialogo ebraico-cristiano si è spesso svolto in un ambito riservato piuttosto agli specialisti. L’approfondimento e la conoscenza specifici sono essenziali, ma non bastano. Accanto a questo sentiero occorre imboccarne un altro, più ampio, quello della diffusione dei frutti, perché il dialogo non rimanga appannaggio di pochi, ma diventi opportunità feconda per molti. L’amicizia e il dialogo fra ebrei e cristiani sono infatti chiamati a oltrepassare le frontiere della comunità scientifica. Sarebbe bello, ad esempio, che nella stessa città rabbini e parroci lavorassero insieme, con le rispettive comunità, al servizio dell’umanità sofferente e promuovendo vie di pace e di dialogo con tutti".