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Parolin alla Gregoriana: "Educare alla pace" per giungere allo "shalom biblico"

Parolin Gregoriana | Un momento edll'intervento alla Gregoriana del Cardinale Pietro Parolin | Alan Holdren/Aci Group Parolin Gregoriana | Un momento edll'intervento alla Gregoriana del Cardinale Pietro Parolin | Alan Holdren/Aci Group

Conclude con le parole di “un profeta del nostro tempo, il compianto don Tonino Bello, Vescovo di Molfetta” il suo intervento all’Università Gregoriana il Cardinale Pietro Parolin. Ieri pomeriggio il Segretario di Stato ha partecipato alla sessione conclusiva dell’evento per il cinquantesimo anniversario dal documento conciliare “Nostra Aetate”. Diceva il vescovo pugliese nelle parole citate da Parolin: “La pace richiede lotta, sofferenza, tenacia. Esige alti costi di incomprensione e di sacrificio. Rifiuta la tentazione del godimento. Non tollera atteggiamenti sedentari”.

Concetti fatti propri dal Porporato, che ha incentrato il suo discorso proprio su questa necessità dell’azione, partendo da uno sprone che era anche il tema della sua comunicazione: “Educare alla pace”. “Lo faccio – ha detto il Capo della diplomazia vaticana - a partire da un assioma molto semplice, che la Chiesa ha sempre insegnato, insegna ancor oggi e non si stanca di ripetere: la pace è possibile, la pace è doverosa!”.

Questo è “un dovere”: “quindi, s’impone a tutti gli amanti della pace, ed è quello di educare le nuove generazioni a questi ideali, per preparare un’era migliore per l’intera umanità”. Ancora: “L’educazione alla pace è oggi più urgente che mai, perché gli uomini, di fronte alle tragedie che continuano ad affliggere l'umanità, sono tentati di cedere al fatalismo, quasi che la pace sia un ideale irraggiungibile”.

Le parole di Parolin giungono “in un momento di forte preoccupazione per il moltiplicarsi di tensioni e conflitti in diverse aree del mondo”. Allora, ha detto, “è urgente promuovere una riflessione profonda e articolata sul tema dell’educazione alla pace”. E “l’affermazione di un’autentica cultura di pace non può prescindere dalle radici etiche volte all’edificazione di una comunità internazionale attenta alla convivenza tra i popoli e allo sviluppo integrale dell’essere umano”.

Cita i passi biblici il Segretario di Stato, ma anche numerosi interventi pontifici, spazia dalla Pacem in Terris ai tweet di Francesco. E aggiunge: “La costruzione della pace è come un orizzonte sull’oceano che si staglia davanti a noi, ma si ha la sensazione che si allontani sempre. Questo ci chiama a lavorare instancabilmente per raggiungerlo”.

Un lavoro, quello chiesto da Parolin, che ha la metodologia del diplomatico, ma che parte dall’uso di un nuovo linguaggio: “A furia di esprimere tutto in termini di rapporti di forza, di lotte di gruppi e di classi, di amici e nemici, si crea il terreno propizio alle barriere sociali, al disprezzo, persino all'odio e al terrorismo e alla loro apologia velata o aperta”, ha appuntato. “Al contrario – ha aggiunto -, da un cuore dedito al valore della pace derivano la preoccupazione di ascoltare e di capire, il rispetto dell'altro, la dolcezza che è forza vera, la fiducia. Un tale linguaggio conduce sulla via dell'obiettività, della verità e della pace”.

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Per Parolin bisogna ripartire dalla positività, anche nel linguaggio: “la nozione di pace viene generalmente definita in negativo, come assenza di conflitto, come non-guerra”, ha spiegato: “come siamo lontani dalla bellezza dello shalom biblico”, un insieme di “ valori positivi”.

Da qui viene il monito: “Dobbiamo avere il coraggio profetico di andare finalmente oltre il “Si vis pacem, para bellum”. Non è più sufficiente che le Nazioni non si aggrediscano le une con le altre, ma è urgente comprendere che la pace riguarda la condizione in cui vive ogni individuo all’interno del proprio Stato”.

Per costruire la pace, insomma, bisogna tornare all’uomo, perché la “prima sfida dell’educazione alla pace” è “il recupero della centralità dell’umano di fronte a una tendenza prevalentemente tecnica, che afferma il primato dell’efficienza produttiva, svincolando la technê da ogni giudizio morale”.

Poi, “una seconda sfida di ampia portata nell’educazione alla pace è l’attenzione a una formazione su misura” e “un’ulteriore sfida, legata alle precedenti, è il recupero della responsabilità comunitaria dell’educazione. Nella società, come nelle scuole e nelle Università, una feconda rete di cooperazione farà sì che gli insegnanti possano lavorare bene e insieme tra loro, con gli allievi e le loro famiglie”.

“L’impegno educativo delle scuole e dell’Università cattolica per la pace – ha concluso Parolin - è esemplare, soprattutto nei Paesi emergenti. Mi auguro che la stessa via e gli stessi criteri educativi ispirino l’azione dei responsabili delle altre comunità religiose nel mondo per un’educazione umanistica, rispettosa delle libertà fondamentali della persona. Se ciò avverrà, il sogno di una nuova umanità capace di dialogare nell’armonia e nella pace, secondo il disegno dello shalom biblico, non sarà più un’utopia”.