Advertisement

Patriarca Moraglia, San Marco per una "fede che non abbia timore degli idoli"

Patriarca Moraglia | Il Patriarca Moraglia celebra la Messa nella solennità di San Marco, patrono di Venezia, Venezia, 25 aprile 2018 | Twitter @LuigBrugnaro Patriarca Moraglia | Il Patriarca Moraglia celebra la Messa nella solennità di San Marco, patrono di Venezia, Venezia, 25 aprile 2018 | Twitter @LuigBrugnaro

L’Evangelista Marco è generalmente simboleggiato con il leone alato. E il Patriarca di Venezia Francesco Moraglia, al termine dell’omelia per la festa del patrono della città che ne custodisce le spoglie nella Basilica che porta il suo nome, ci tiene a sottolineare, ricordando il mottetto dell’offertorio: “Il leone diventa l’immagine di una fede che non tema di affrontare gli idoli”.

Le spoglie di San Marco arrivarono a Venezia dopo varie peripezie, e la Basilica fu costruita proprio per custodire le spoglie dell’apostolo e dell’Evangelista, da allora patrono di Venezia e di tutte le genti venete.

A questa storia si rifà il Patriarca Moraglia nella sua omelia per la festa del patrono. Apprezza la citazione del Vangelo di Marco nella Gaudete et Exsultate di Papa Francesco, ricorda che “siamo ormai alla vigilia” del Sinodo dei vescovi sui giovani, sottolinea che i giovani “sono terra buona per il seme della parola” come ha dimostrato il recente pellegrinaggio dei cresimandi della diocesi ad Assisi.

Quindi, il Patriarca Moraglia parte da lontano, dal senso dell’Eucarestia, e dalla necessità di celebrarla “mantenendo un vivo legame” con i testimoni della vita di Gesù, tanto che “nei nuovi altari si murarono le reliquie dei martiri”, i primi santi riconosciuti dalla Chiesa, e così successe nella Basilica di San Marco.

Per questo – sottolinea il Patriarca – “l’edificio-chiesa, allora, non è solo uno spazio funzionale per accogliere la comunità ma luogo sacro che entra in rapporto con l’assemblea che celebra la liturgia. Il rischio è cadere in un funzionalismo non più in grado di intendere il linguaggio simbolico e, prima ancora, la dimensione simbolica della realtà; alla fine, è l’incapacità dell’uomo a porsi le domande più vere e profonde che lo riguardano”.

Advertisement

È invece “importantissimo per la comunità cristiana” percepire “ciò che ci circonda nel suo significato simbolico”, perché “il simbolo rimanda a qualcosa che va oltre la materialità, l’efficienza, la produzione, il guadagno e dice la capacità dell’uomo di andare verso una realtà ulteriore e anche verso un ‘Oltre’ che, alla fine, dice chi è l’uomo e la sua capacità di trascendersi”.

Così come è da cogliere il senso del Vangelo dell’Evangelista Marco, che “raccoglie e trasmette la predicazione di Pietro, colui che Gesù scelse per confermare i fratelli nella fede”, facendo un Vangelo “per chi proviene dal paganesimo”, nel quale Marco chiede al lettore “di andar oltre la conoscenza teorica perché non basta leggere o far l’esegesi di un testo; sarebbe addirittura fuorviante leggerlo male e cioè far dire alla Parola quello che uno porta già in sé”.

Per questo, “il Vangelo di Marco è una sorta di guida per catecumeni che, passo dopo passo, vengono accompagnati al fonte battesimale”, una sorta di “manuale che conduce al Battesimo”, secondo un “esodo spirituale che segna, per ogni discepolo, il passaggio dall’esteriorità all’interiorità”.

Il Patriarca Moraglia ricorda che “Marco, nel suo Vangelo, propone quindi il cammino del discepolato; si diventa discepoli entrando nell’interiorità, andando oltre una comprensione dell’evento cristiano che sia solo esteriore - ossia umana, psicologica e sociopolitica - per giungere alla conoscenza interiore di Gesù attraverso un reale ascolto della Parola, entrando nella storia della salvezza, lasciandoci condurre dalla Parola e non conducendola noi”.

E questo – aggiunge il Patriarca – è dato dallo stile di Gesù, che è fatto di parole che “rivelano custodendo il mistero da eventuali sguardi irriverenti o solo curiosi”, lasciando che alla fine “soltanto chi ha lo sguardo del discepolo può leggere in profondità, ossia in prospettiva sapienziale, il mistero di Gesù”.

Marco, insomma, apre un cammino e “prendendoci per mano ci conduce alle parole di Gesù.

More in Italia

Il Patriarca conclude ricordando il mottetto dell’offertorio, che recita: “Quasi leo fortissimus nullum pavens occursum, idola subvertitet gloriam Domini gentibus annuntiavit. Alleluja!“. Che significa: “Fortissimo come un leone senza temere alcuna avversità, rovescia gli idoli e annuncia a tutte le genti la gloria del Signore. Alleluja!”.

“Il leone – chiosa il Patriarca di Venezia, idealmente legando l’immagine al leone marciano - diventa l’immagine di una fede che non teme di affrontare gli idoli, iniziando da quelli del proprio cuore, e che annuncia la gloria e il Signore!”