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Peccato e misericordia nel "dopo" cristiano, un colloquio con il cardinale Ruini

Il Cardinale Camillo Ruini  |  | Marco Mancini/ Acistampa Il Cardinale Camillo Ruini | | Marco Mancini/ Acistampa

Il libro “ C’è un dopo? La morte e la speranza” del Cardinale Camillo Ruini affronta il tema della morte in molte culture, religioni e confessioni. A 500 anni dalla Riforma di Lutero non poteva mancare un riferimento anche a questo tema. Aci Stampa ne ha parlato con in cardinale in un colloquio di cui abbiamo pubblicato la prima parte.

Tra le molte citazioni una è significativa a 500 anni dalla Riforma: Lutero. C’è ancora quella paura della morte di cui parla Lutero?

Più che della morte, Lutero ha paura del dopo, in concreto dell’inferno. Come potrò trovare Dio a me propizio? Questa è la sua domanda. E la risposta che dà è profonda teologicamente e umanamente: in sostanza è la risposta di San Paolo, cioè la fede-fiducia in Dio che ci salva gratuitamente in Gesù Cristo, nella croce e risurrezione di Cristo. Questa risposta di Lutero creò molti malintesi e contrasti tra cattolici e protestanti, anche perché Lutero la pose in maniera esclusiva e polemica. Poi quei malintesi si sono in gran parte chiariti, fino alla dichiarazione comune del 1999 sulla giustificazione mediante la fede. Purtroppo però, mentre sul punto centrale del contrasto, se non c'è una totale intesa vi siamo molto vicini, su altri temi si sono create distanze che prima non c'erano. Sia per i cattolici sia per i protestanti la domanda sulla salvezza eterna è diventata purtroppo, di fatto, molto meno centrale di quanto fosse un tempo. Ma non è sparita del tutto. Nel profondo molte persone si chiedono: "qual è il mio destino?"... Confidano nella bontà di Dio ma avvertono i propri fallimenti, la propria inadeguatezza.

Lei vuol dire che il senso del peccato c’è ancora?

E’ molto offuscato, ma non è del tutto sradicato perché fa parte del profondo dell'essere umano, come il senso della dipendenza da Dio. L'uomo infatti è bisogno di salvezza, non ha solo bisogno di salvezza. La parola “paura” riguardo all’aldilà spesso viene intesa in senso psicopatologico, quasi fosse una malattia psichica, dalla quale bisogna liberarsi. Ma il timore di Dio non è una malattia psichica. Anche chi non ha un grande senso del peccato capisce di aver sciupato molte cose nella propria vita, di aver perso numerose occasioni di fare del bene a noi stessi e agli altri.

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Quale deve essere oggi l'annuncio del cristianesimo sulla morte e sul dopo? Non trova che se ne parli troppo poco anche tra i cattolici?

A lungo i temi della vita eterna e dell'inferno erano centralissimi nella predicazione. Poi si è rivalutata la positività della vita presente, sottolineando giustamente che la speranza della vita eterna non ci dispensa dall'impegno nel mondo, ma del “dopo” si è parlato troppo poco. Nelle mie omelie, a Reggio Emilia e poi a Roma, introducevo quasi sempre il tema del nostro eterno destino e constatavo che l'attenzione saliva. Il compito fondamentale della Chiesa è annunciare Cristo risorto e la salvezza che Cristo promette riguarda certamente questa vita, ma anche e soprattutto la salvezza escatologica, come risulta dai Vangeli e da tutto il Nuovo Testamento che, a differenza dall'Antico,  ha un carattere fortemente escatologico: basta guardare alle Beatitudini.

Verso la fine del libro lei torna ad avere un tono più personale e parla della differenza tra la certezza della speranza e la certezza del sapere, è la chiave di lettura che ha il cristiano davanti al “dopo”?

Direi di sì, perché la certezza del sapere è quella che si basa sull’evidenza razionale, ed è difficile raggiungerla sul “dopo”. In particolare, senza la rivelazione cosa sapremmo in concreto del dopo? La certezza della speranza è invece quella che si basa sulla fede, sulla promessa di Dio. E’ una speranza diversa dalle altre, perché non è un desiderio sospeso nel vuoto. E’ la speranza che ha reso e continua a rendere i martiri cristiani capaci di affrontare la morte pur di non rinunciare alla propria fede.

Perché dedica un intero capitolo del libro all'inferno?

E' il capitolo più difficile da scrivere  perché ci mette a confronto con il mistero dell'iniquità. E’ nota l’obiezione: "Se Dio è infinitamente buono, come può permettere che gli uomini vadano all'inferno?". Chi ha dato la più forte testimonianza dell’esistenza dell’inferno è però Gesù stesso, ad esempio nel grande quadro del giudizio finale: “Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla fondazione del mondo, perché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare…” E invece: “Lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli, perché ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare…”. Nello stesso tempo non bisogna dimenticare l'altro aspetto: inferno e paradiso non stanno sullo stesso piano. Infatti la salvezza è il centro del progetto di Dio, la non salvezza non è il progetto di Dio. E’ qualcosa al di fuori della volontà di Dio, che nasce dalla volontà libera delle creature. Il regno di Dio è “Vangelo”, cioè lieto annuncio,  perché è l'annuncio della salvezza: non si tratta di due strade alla pari.

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Nel Vangelo di Giovanni è detto chiaramente che Dio ha mandato il suo Figlio nel mondo non per condannare il mondo, ma per salvare il mondo. Chi però non crede è già condannato perché ha rifiutato di credere. L'inferno è l'ostinazione nel peccato, nel rifiuto di Dio. La misericordia di Dio è però più grande della nostra libertà e conserva sempre l’ultima parola. Non sappiamo se qualche essere umano sia effettivamente dannato. Lo sappiamo invece per il demonio: perciò  l'inferno non è "vuoto",  anche se ovviamente non è un luogo.

Il fatto che si parli poco dell'inferno è conseguenza del fatto che si tende a dimenticare il demonio?

Anche di questo, ma soprattutto del fatto che si tende a dimenticare la libertà dell'uomo. Tutti parlano di libertà, però come libertà da vincoli esterni: ad esempio la libertà di parola e di stampa, o anche la libertà di qualcosa di negativo, come l’aborto. Ma gran parte della cultura attuale, soprattutto scientifica, ritiene che l'uomo non sia interiormente libero. La libertà sarebbe semplicemente l’assenza di una coazione esterna. Ma la vera libertà umana è anche libertà interiore, che si ha quando, posto tutto ciò che si richiede per agire, si può ancora scegliere di agire o di non agire, e di agire in un senso o nell’altro. Se non ci fosse questa liberà non avrebbe senso l’inferno e non avrebbe senso nemmeno la croce di Cristo. Saremmo solo degli animali, più evoluti, ma sostanzialmente non diversi dagli altri animali. Molte mancanze non mettono in gioco tutta la nostra libertà e non meritano una condanna eterna, ma l’uomo è capace di  ben altro, di scelte terribili e raccapriccianti, come vediamo nella vita e nella storia.

Come diceva Giovanni Paolo II: la misericordia come limite al male?

Sì, solo la misericordia di Dio può porre un limite non superabile al male che noi possiamo fare.

Ad oggi davanti a questa cultura contemporanea, complessa e razionalista, come definirebbe in poche parole la speranza cristiana?

La speranza cristiana è la fiducia in Dio, anzitutto, e la convinzione che Dio mi aiuta a superare quelle difficoltà che da solo non potrei mai superare.