La liturgia della Parola di questa domenica ci conduce a contemplare due dimensioni inseparabili del mistero cristiano: la consolazione che sgorga dal cuore di Dio e la missione che nasce da questa consolazione e ci coinvolge come Chiesa.

Nel profeta Isaia, Dio si rivela con un’immagine sorprendente e tenerissima: «Come una madre consola un figlio, così io vi consolerò». Il popolo d’Israele è appena rientrato dall’esilio. È un momento fragile: nulla è come prima, tutto è da ricostruire. La stanchezza, la povertà e la sfiducia rischiano di spegnere la speranza. Ma proprio lì, nel cuore della fatica, Dio interviene non con un giudizio, ma con una parola di cura, di vicinanza, di rinascita. Attraverso immagini delicate e piene di affetto – «sarete allattati, portati in braccio, accarezzati sulle ginocchia» – Isaia annuncia un Dio che non solo consola, ma ricrea, che non solo accompagna, ma si prende cura. È una promessa di intimità e amore gratuito, che prefigura il mistero della Chiesa, nuovo Israele, chiamata a essere grembo di vita, luogo in cui ogni uomo può rinascere alla fede.

Questa consolazione diventa carne in Cristo e si rende presente nel tempo della Chiesa nei sacramenti, e in modo speciale nell’Eucaristia, dove il Signore si dona si interamente a noi per rigenerarci interiormente, per risanare ciò che il peccato ha spezzato, per sostenerci nel cammino quotidiano. È in questa comunione con Dio che nasce anche la nostra vocazione alla missione.

Infatti, la consolazione ricevuta diventa invio. Nel Vangelo, Gesù manda i discepoli a due a due. E’ una scelta ecclesiale: Il discepolo non è mai un solitario, un battitore libero, ma un membro vivo del Corpo di Cristo. Solo nella comunione si può annunciare il Vangelo, perché la verità che portiamo nasce dalla Trinità, che è comunione perfetta di amore. Così la Chiesa – immagine viva della Santissima Trinità – annuncia il Vangelo nella fraternità e attraverso la comunione vissuta. Ai discepoli Gesù chiede spoliazione: «Non portate borsa, né sacca, né sandali». Nessun appoggio umano, nessuna sicurezza terrena. La forza della missione non sta nei mezzi, ma nella Parola e nello Spirito. È Dio che agisce. Per questo la missione non è conquista, non è propaganda, ma una proposta libera, un dono offerto con umiltà e coraggio. Il cuore del messaggio è semplice, ma rivoluzionario: «Il Regno di Dio è vicino». È la notizia che cambia tutto: Dio si è fatto vicino, ha preso carne, ha abitato la nostra storia e continua ad agire attraverso la Chiesa, rendendo feconde anche le realtà più sterili.

C’è, infine, un particolare che non possiamo ignorare: prima ancora di fare, di guarire, di insegnare, i discepoli sono inviati a portare la pace: «In qualunque casa entriate, dite prima: Pace a questa casa!». Non si tratta di una semplice formula di cortesia e neppure l’invito ad evitare conflitti. La pace evangelica nasce dalla riconciliazione tra Dio e l’uomo, ed è da questa sorgente che emerge la vera comunione tra le persone. La pace fiorisce quando la vita è raggiunta da Cristo e Lui torna ad occupare il cuore dell’uomo. Con Lui l’odio è disamato dal perdono, e la misericordia prende il sopravvento sul male. Questa è la nostra vocazione cristiana: essere portatori di Dio nel mondo, testimoni della sua vicinanza, missionari della sua pace. Perché il mondo, attraverso di noi, possa riconoscere che il Regno è vicino, e che Dio è davvero Padre: tenero come una madre, forte come un pastore, fedele come uno sposo.