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Processo Palazzo di Londra, ammessi i nuovi capi di imputazione

Serviranno delle precisazioni, ma il Tribunale vaticano ha accettato i nuovi capi di imputazione proposti dal promotore. Non testimonia il fratello di Becciu

Processo Palazzo di Londra | Un momento del processo vaticano sulla gestione dei fondi della Segreteria di Stato | Vatican Media / ACI Group Processo Palazzo di Londra | Un momento del processo vaticano sulla gestione dei fondi della Segreteria di Stato | Vatican Media / ACI Group

Ci sono nuovi casi di imputazione, e due altri cardinali chiamati a testimoniare, nel processo per la gestione dei fondi della Segreteria di Stato vaticana. Le novità sono giunte dalle udienze numero 55 e 56, che si sono tenute 19 e 20 aprile, e che sono servite all’escussione di cinque testimoni, ma anche a rispondere a quella richiesta di aprire nuovi capi di accusa avanzata dal promotore di Giustizia Alessandro Diddi nelle ultime udienze. Di fronte alle difese che chiedevano la nullità, anche perché in alcuni casi i fatti contestati erano non ben determinati, il Tribunale ha invece risposto che sì, alcune accuse vanno meglio precisate, ma che comunque si inseriscono in un filone di maggiore chiarezza riguardo i reati contestati e anche il concorso dei reati, e che dunque la richiesta del Promotore di Giustizia è ammesso.

Ora ci sarà tempo fino al 4 maggio per ulteriori richieste di prova riguardo le nuove contestazioni, mentre già si sa che saranno chiamati a testimoniare due cardinali: Leonardo Sandri, già prefetto della Congregazione delle Chiese Orientali; e il Cardinale Fernando Filoni, Gran Maestro dell’Ordine del Santo Sepolcro. Entrambi sono stati sostituti, dovranno probabilmente testimoniare su uno dei capi di accusa, quello di riciclaggio contestato all’officiale di Segreteria di Stato Tirabassi per la compravendita di monete operata dal padre.

Al di là della nota di “colore” e di attesa che può dare la presenza di due altri cardinali testimoni, mentre uno è persino imputato, il processo sulla gestione dei fondi della Segreteria di Stato sembra diventare sempre più confuso. E questo dopo che l’arcivescovo Edgar Pena Parra, sostituto della Segreteria di Stato, aveva chiarito molti aspetti in una lunga deposizione in aula, dettagliando i problemi e le questioni.

Gli interrogatori delle ultime due udienze sono stati particolarmente tecnici, e vale la pena soffermarsi più sulle questioni di insieme che sul dettaglio degli interrogatori. Interrogatori che non vedranno presentarsi Antonino Becciu, fratello del Cardinale Becciu, il quale ha dichiarato che, essendo parente prossimo di un imputato, non avrebbe dovuto essere convocato.

Il processo, come è noto, ha tre filoni di accusa.

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Il primo verte intorno all’investimento della Segreteria di Stato in un immobile di lusso a Londra, dato prima in gestione al broker Raffaele Mincione, poi al broker Gianluigi Torzi e quindi rilevato completamente dalla stessa Segreteria di Stato dopo aver realizzato che Torzi aveva tenuto per sé le sole 1000 quote dell’immobile con diritto di voto.

Il secondo è la cosiddetta vicenda Sardegna, e riguarda una donazione di 100 mila euro alla Caritas di Ozieri disposto dal Cardinale Angelo Becciu quando questi era sostituto della Segreteria di Stato. Secondo l’accusa, la donazione – fatto, tra l’altro, usuale in Segreteria di Stato, e a totale discrezione dell’ufficio del sostituto – sarebbe stata disposta per favorire la famiglia dello stesso cardinale e in particolare il fratello Antonino Becciu, che era presidente della SPES, il “braccio” della Caritas di Ozieri.

Terzo filone di accusa riguarda invece Cecilia Marogna, la sedicente esperta di intelligence contrattata dalla Segreteria di Stato perché aiutasse in alcune operazioni di liberazioni di ostaggi, come quella di Suor Cecilia Narvaez in Mali, e che avrebbe utilizzato il denaro ricevuto a fini personali.

Si tratta, come si vede, di tre filoni di inchiesta molto diversi. Nel corso di queste due ultime udienze, i testimoni hanno riguardato la questione dell’immobile di Londra, con l’eccezione di Luigi Rossi, amico di monsignor Mauro Carlino, segretario del sostituto, che ha testimoniato che lo stesso Carlino fosse con lui a Caserta l’1 maggio 2019, e non a Londra per seguire le trattative.

Terry Keeley, ex contabile del gruppo WRM fondato da Raffaele Mincione, ha spiegato di aver avuto diverse proposte per l’immobile di Londra, e di aver solo considerato quella di Fenton Whelan, che “aveva solidità economica” e aveva fatto una offerta di 275 milioni di sterline.

Quindi Giulio Corrado, anche lui in forza della WRM di Mincione, ha spiegato in che modo il valore dell’immobile di Londra era oscillato di prezzo, quali erano le vie alternative per realizzare un profitto, e in che modo si mantenevano rapporti con la Segreteria di Stato. Corrado ha detto anche di essere stato stupito della decisione della Segreteria di Stato di rilevare il controllo delle quote e trasferirle a Gianluigi Torzi, e ha fatto notare che lo stesso Mincione avesse investito personalmente nelle quote dell’immobile (con circa 25 milioni in tre tranches), a testimonianza della bontà dell’investimento.

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Come si sa, l’immobile andava ristrutturato, ma il planning permission fu accordato solo alla fine del 2015, con oltre 30 condizioni sospensive. La ristrutturazione andava finanziata con un mutuo del fondo Cheyne Capital, che è poi rimasto in pancia anche nel passaggio alle società di Torzi, e che la Santa Sede ha poi estinto per trovarne uno più vantaggioso.

Ma come si stanno definendo le strategie difensive? La difesa di Mincione punta a mostrare che il palazzo di Londra era un investimento molto buono, che la ristrutturazione avrebbe creato grande profitto, che era un affare così buono che lo stesso Mincione ci aveva investito soldi personali. La Segreteria di Stato lamenta una carenza di informazioni negli accordi, che non avrebbe permesso una decisione serena. L’APSA ha prodotto un documento che mostrava come Fenton Whelan non avesse fatto una offerta congrua, e per questo non vi si era dato seguito. Il promotore di Giustizia sta invece cercando di dimostrare che in realtà il broker Mincione aveva agito in maniera illegittima, senza informare adeguatamente il suo committente.

Da qui, le varie discussioni sul NAV (Net Asset Value) dell’immobile, che comunque è stato venduto a 186 milioni di euro, con una perdita consistente da parte della Santa Sede.

Diversa invece la posizione di Antonino Becciu, che si sarebbe dovuto presentare insieme a don Mario Curzu già l’8 marzo. Non ci sono prove di passaggi di denaro nei confronti di Antonino Becciu, ma di fatto il fratello del Cardinale non ha rinunciato a difendersi, ma ha piuttosto mostrato la debolezza dell’ufficio del Promotore, che chiamandolo a deporre non aveva considerato di questo impedimento dovuto ai parenti più prossimi. Lo stesso ha fatto don Mario Curzu, lamentando il fatto che non ci sono garanzie, nel sistema vaticano, per chi è indagato in Italia e si trova anche a testimoniare in un altro processo. Nessuno dei due aveva niente da nascondere, ma con questa mossa hanno messo in luce le falle del sistema. Non sorprende la risposta piccata del presidente del Tribunale Giuseppe Pignatone, che in una ordinanza aveva ribadito l’efficienza e le garanzie del sistema vaticano.

Se il sistema difende se stesso, come ha fatto anche negli anni passati rispondendo ai dettagli dei rapporti MONEYVAL che sottolineavano una mancanza di risposta di fronte ai rapporti di transazioni sospette, è anche vero che il copione cui si è assistito fino ad ora, reso ancora più difficile da quattro rescritti di Papa Francesco, lascia molte perplessità sull’andamento del processo stesso.

Resta che la Segreteria di Stato ha compiuto un investimento, lo ha salvato e poi si è ritrovata costretta a cederlo invece che svilupparlo come avrebbe dovuto e potuto. E la rinuncia al guadagno è il vero mistero di questo processo.