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Russia, “solo oggi, la Chiesa cattolica sta acquistando un volto russo”

Monsignor Diogenes Urquiza | Monsignor Diogenes Urquiza, missionario del Verbo Incarnato, delegato della Conferenza Episcopale Russa alla Plenaria del CCEE a Minsk | Andrea Gagliarducci  / ACI Stampa Monsignor Diogenes Urquiza | Monsignor Diogenes Urquiza, missionario del Verbo Incarnato, delegato della Conferenza Episcopale Russa alla Plenaria del CCEE a Minsk | Andrea Gagliarducci / ACI Stampa

Sono stati superati gli attacchi di proselitismo ai cattolici, dopo la situazione molto difficile succeduta alla decisione di San Giovanni Paolo II di istituire delle diocesi nel territorio russo. E, di certo, il passaggio delle reliquie di San Nicola a Mosca e San Pietroburgo ha fatto molto nel percorso dei rapporti ecumenici tra Chiesa Cattolica e Patriarcato di Mosca, dopo lo storico incontro dell’Havana del 12 febbraio 2016. Ma c’è ancora molto da fare, perché solo ora la Chiesa cattolica di russia ha davvero un volto russo– spiega ad ACI Stampa padre Diogenes Urquiza, missionario del Verbo Incarnato da 30 anni nel Paese e oggi delegato alla plenaria CCEE di Minsk del vescovo Clemens Pickel, della diocesi di San Clemente a Saratov, dallo scorso marzo presidente della Conferenza Episcopale Russa.

Padre Urzuia, cosa significa essere cattolico in Russia?

Le comunità cattoliche in Russia fanno ancora fatica a trovare la loro identità, soprattutto perché sono legate agli stranieri. In Russia c’è una mentalità nazionalista della religione: se provieni dalla Russia, allora sei ortodosso, se sei tartaro, sei musulmano, e discendi da polacchi o tedeschi sei cattolico. E così la Chiesa cattolica era vista come realtà straniera, e un po’ era così.

Cosa è successo poi?

Nel 1991, quando l’Unione Sovietica è crollata e si è cominciata a riorganizzare la Chiesa cattolica, le comunità erano davvero composte da persona che parlavano ancora il tedesco, perché discendenti dei tedeschi invitati nella nazione da Caterina II, che avevano conservato non solo la fede, ma anche la lingua. E lo stesso era successo per i polacchi. Dopo il crollo dell’Unione Sovietica, tuttavia, i tedeschi sono tornati in Germania, tante comunità sono state letteralmente svuotate. Solo ora, passo dopo passo, la Chiesa cattolica sta acquistando un vero volto russo. Perché fino ad ora il russo non è mai ancora stato la lingua unica nelle parrocchie.

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C’è ancora il timore di un proselitismo cattolico?

Quella paura del proselitismo non c’è più, perché i risultati sono sotto gli occhi di tutti. I fedeli della Chiesa ortodossa in genere non passano alla comunità cattolica, i casi del genere sono pochissimi. Quelli che si convertono al cattolicesimo non sono battezzati, e quindi non sono legati né alla Chiesa ortodossa né a quella cattolica. 

Fatto sta che il dialogo ecumenico sembra migliorare sempre, come testimonia la recente traslazione delle reliquie di San Nicola a Mosca e San Pietroburgo…

Il pellegrinaggio delle reliquie di San Nicola è stato molto importante. Ha permesso di avere contatti tra cattolici e ortodossi, ha favorito la conoscenza reciproca. Per fare un esempio, nei miei primi anni in Russia un ortodosso mi chiese se noi cattolici avevamo una venerazione per la Vergine Maria, a testimonianza del fatto che nemmeno si conosce quello in cui crediamo, anche perché le persone hanno subito una certa propaganda riguardo la Chiesa cattolica.

Ci sono stati anche cattolici tra i pellegrini in visita alle reliquie di San Nicola?

I cattolici di Mosca e San Pietroburgo hanno avuto la possibilità di fare una visita. Ma le comunità cattoliche sono molto disperse, lontane l’una dall’altra. La mia parrocchia è a Kazan, da dove viene la famosa icona di Kazan, e le parrocchie distano tra i 300 e i 400 chilometri. La comunità cattolica in Russia è una comunità de facto in diaspora, anche mettere i fedeli a contatto gli uni con gli altri è difficile.

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La Russia è al confine del continente europeo. Che contributo può dare all’Europa?

Queste comunità, anche se piccole, sono molto vive. Sono comunità che in maggioranza sono formate da persone di mezza età e tantissimi giovani, che hanno un grande desiderio di spiritualità, che sono legate a grandi valori come il valore della famiglia. Questo non succede in Europa, dove a partecipare alle Messe domenicali sono soprattutto adulti. Io penso che le piccole comunità cattoliche disperse nella Russia possano portare un po’ di vitalità, e possano rinfocolare anche i questi valori tradizionali. In Russia, ad esempio, non ci sono problemi così forti su propaganda omosessuale e gender.

Che impatto ha sulle persone lo sviluppo dei rapporti tra Patriarcato di Mosca e Santa Sede?

Speriamo che il clima positivo arrivi dappertutto. A volte succede che le aperture avvengano solo a livelli alti, magari persino al livello del Patriarcato ortodosso. Le relazioni tra i parroci cattolici e ortodossi nelle città non sono sempre così aperte. Così, speriamo che questo clima scenda fino al basso, perché è nel basso che si deve veramente sviluppare quel camminare insieme.

Nel basso c’è anche il problema delle parrocchie confiscate e mai restituite, di cui ha parlato anche il Cardinale Parolin durante la sua recente visita in Russia…

È un problema vivo ancora in molte città. C’è una legge di restituzione, ma non sono stati ancora ridati tutti gli edifici confiscati. Siamo contenti, però, per la marcia di avvicinamento che c’è stata.

Cosa deve fare la Chiesa in Russia, oltre il dialogo ecumenico?

Io direi che il primo passo è di dare una identità a queste piccole comunità cattoliche che sono in Russia, perché si sentano parte della Chiesa universale e della società in cui vivono. C’è, però, bisogno di sacerdoti che vadano nei posti più periferici. In questo, le nostre diocesi sono deboli. La maggioranza dei sacerdoti, il 95 per cento, è tra l’altro straniero.

Quanto potrebbe fare la visita del Papa a Mosca? Lo attendete?

Lo aspettiamo dall’inizio. Ma quello della visita del Papa a Mosca è un processo non facile. Non si può pensare che il Papa visitando la Russia venga solo dai cattolici: deve essere anche ricevuto dalla Chiesa ortodossa. E io credo che anche la Chiesa ortodossa sperimenti le sue difficoltà. Dopo l’incontro dell’Havana, ci sono stati tanti preti della Chiesa ortodossa che hanno reagito male. La Chiesa ortodossa ha bisogno di procedere con cautela, per non provocare divisioni interne. Sono pronti a ricevere il Papa, ma ci devono essere le condizioni perché una eventuale visita porti buoni frutti anche per la Chiesa ortodossa.