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Santa Sede alle Nazioni Unite, c’è una opposizione?

Santa Sede Nazioni Unite | L'arcivescovo Bernardito Auza, osservatore permanente della Santa Sede presso le Nazioni Unite, nel suo studio | Andrea Gagliarducci / ACI Stampa Santa Sede Nazioni Unite | L'arcivescovo Bernardito Auza, osservatore permanente della Santa Sede presso le Nazioni Unite, nel suo studio | Andrea Gagliarducci / ACI Stampa

Se il lavoro della Santa Sede nel concerto internazionale è universalmente riconosciuto, c’è stata anche una opposizione alla sua presenza come Stato sovrano nelle organizzazioni internazionali, sfociato a metà anni Novanta nella campagna “See change”. Ma oggi è ancora così? L’arcivescovo Bernardito Auza, osservatore della Santa Sede presso le Nazioni Unite di New York, sostiene che no, non è più così, anche se una certa resistenza ideologica resta.

Quanto è importante la presenza della Santa Sede presso le Nazioni Unite?

C’è una opposizione ideologica negli Stati Uniti che va su e giù. Ci sono nazioni che considerano alcune battaglie della Santa Sede al limite strane, e negli Anni Novanta questa battaglia raggiunse il picco con le conferenze ONU del Cairo e di Pechino su Popolazione e Sviluppo e sulla Donna. C’era tantissimo antagonismo, tanto che ci sono state alcune ONG che hanno proposto che la Santa Sede uscisse dalle Nazioni Unite o ne facesse parte solo come ONG.

Ma oggi questa opposizione è ancora presente?

Nei miei sei anni come Osservatore presso le Nazioni Unite, non ho mai sentito qualcuno dirmi che la Santa Sede non dovesse essere presente. E lo dico al di là dei rapporti protocollari di cortesia. Comprendiamo che con 193 Stati e due Paesi osservatori non si può avere consenso su tutto, e questo è parte delle dinamiche del multilateralismo. Molto dipende dal Papa, perché il Papa è un leader, la sua presenza è apprezzata e utile solleva questioni internazionali cui il pubblico si interessa.

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Tanto apprezzato che alla Santa Sede è stato chiesto di partecipare al voto sul Trattato sulla Proibizione di Armi Nucleari lo scorso agosto…

La Santa Sede è uno Stato riconosciuto, e può firmare o aderire a trattati internazionali. È possibile, grazie a questo riconoscimento, di partecipare alla negoziazione e contribuire a convenzioni e trattati. Quando si negoziano i trattati, partecipiamo come “full members”, siamo inclusi tra le nazioni membro. Non avremmo potuto non partecipare al negoziato sul disarmo nucleare, e il Papa non solo ci ha incoraggiato, ma ci ha appoggiato.

Come si è strutturato il lavoro della Santa Sede nella convenzione per il disarmo?

Il momento moralmente più importante del trattato è stato il messaggio del Papa alla Conferenza Umanitaria di Vienna. Il trattato dovrebbe essere ancora aggiustato, ma possiamo dire – sia da parte nostra, che del Papa, che delle nazioni che hanno votato a favore – che si tratta di un passo nella direzione giusta. Ora ci sarà una conferenza di revisione nel 2020, e sappiamo che le nazioni non compreranno nuove armi da qui ad allora, perché riguarda la loro credibilità. È un passo in direzione del disarmo nucleare, sebbene quanti hanno appoggiato il Trattato sono Stati che non hanno potere nucleare. Ma il testo funziona, sia se si pensa alla proliferazione, sia se si pensa al disarmo. E la Santa Sede non solo ha partecipato attivamente, ma ha firmato e ratificato il trattato.

Migrazioni, pace e disarmo sono i tre temi principali dibattuti dalla Santa Sede?

I nostri temi principali variano. Ci sono temi che sono costantemente alla nostra attenzione: la vita, la famiglia, il matrimonio. Ci sono temi che si muovono, invece, seguendo l’agenda delle Nazioni Unite. Per esempio, abbiamo dedicato molto tempo ai negoziati dell’agenda 2030. Quest’anno, con la discussione sugli accordi globali sulle migrazioni, ci siamo molto focalizzati sul tema delle migrazioni. Ma non è il solo tema. C’è anche il tema del traffico di esseri umani, che abbiamo sviluppato negli incontri al Santa Marta Group.

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Quale è l’impatto della Santa Sede in questi temi?

L’impatto dipende. Le risoluzioni sono dichiarazioni politiche, ma non sono documenti legalmente vincolanti. Così, le nazioni cercano più sponsor possibili, e le buone risoluzioni hanno 40-50 Stati che sponsorizzano.

Ma c’è anche un lato più problematico: è molto facile l’utilizzo di queste risoluzioni come un mezzo per convincere le persone, ci sono così casi di colonizzazione ideologica. Perché, anche se le risoluzioni non sono vincolanti, possono essere usate come veicoli per promuovere una certa agenda. C’è, insomma, un pericolo e una opportunità.