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Santa Sede all’ONU: “Contro il terrorismo, destinare fondi allo sviluppo”

ONU, Palazzo di Vetro, New York | Sala dell'Assemblea Generale delle Nazioni Unite | Andrea Gagliarducci / ACI Stampa ONU, Palazzo di Vetro, New York | Sala dell'Assemblea Generale delle Nazioni Unite | Andrea Gagliarducci / ACI Stampa

Se vuoi la pace, costruisci sviluppo. Ma soprattutto, rispetta i diritti umani. La ricetta della Santa Sede per la lotta al terrorismo si trova nella Dottrina Sociale della Chiesa, e viene declinato in termini moderni dall’arcivescovo Bernardito Auza, osservatore permanente della Santa Sede alle Nazioni Unite, in occasione del dibattito al Consiglio di Sicurezza dell’ONU sulla pace e sulle radici dei conflitti.

Il dibattito ha avuto luogo il 17 novembre, all’indomani degli attacchi a Parigi, e due giorni dopo l’autobomba che a Beirut ha causato una quarantina di morti. Subito, l’arcivescovo ha espresso “profonda compassione per tutte le vittime degli attacchi avvenuti a Parigi, Beirut e altrove.” E poi ha spiegato che sviluppo, pace, sicurezza e diritti umani “sono strettamente connessi.” Si concentra sugli obiettivi di sviluppo del millennio, nota che “i Paesi in conflitto sono ancora molto lontani dalla realizzazione di tali obiettivi,” anzi “in molti di essi ci sono regressi.”

C’è sviluppo, afferma, solo nel contesto delle società in pace, e dunque “i progetti di sviluppo che potrebbero aiutare a prevenire i conflitti devono avere la priorità e potrebbero diminuire notevolmente le future spese per le operazioni di peacekeeping.”

La proposta è quella di una sorta di riallocazione della risorse, dalle operazione cosiddette di “peace keeping” (che implicano anche delle spese militari) ai progetti di sviluppo, che vanno considerati “come una componente chiave dei suoi obiettivi di pace e di sicurezza.”

L’arcivescovo Auza parla anche del ruolo delle comunità locali e della società civile per prevenire violenza e conflitti, perché la forza di queste comunità “non risiede nelle risorse materiali, né nelle competenze scientifiche o nel potere politico,” ma nella capacità “di promuovere azioni concrete” sul territorio. Ma d’altro canto – sottolinea l’osservatore – “possono essere anche i maggiori ostacoli alla pace se mostrano parzialità o diventano parti del conflitto stesso”.

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