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Sradicare la povertà, creare sviluppo: il ruolo delle religioni

Bandiera Nazioni Unite |  | da Pixabay Bandiera Nazioni Unite | | da Pixabay

Perché istituzioni come la Banca Mondiale o le Nazioni Unite guardano alle religioni per meglio portare avanti gli obiettivi di sviluppo sostenibile? Se lo chiede l’arcivescovo Bernardito Auza, osservatore permanente della Santa Sede presso le Nazioni Unite di New York. E risponde: “Oserei supporre che si tratta di un riconoscimento del contributo delle religioni e delle loro organizzazioni alla vita degli individui e della società, in particolare un riconoscimento dell’aiuto che forniscono a quanti tentatno di emanciparsi da varie forme di estrema povertà.”

L’Osservatore permanente ha parlato venerdì 27 marzo alla Consultazione sulla “Rilevanza del dialogo interreligioso e inter-civiltà per gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile post 2015.”  

L’arcivescovo Auza ricorda i dati della Banca Mondiale, che sottolinea come “ancora il mondo non può sradicare l’estrema povertà,” perché “dall’attuale 14,5 per cento di popolazione mondiale che vive in condizioni di estrema povertà, il numero potrebbe essere ridotto al 7 per cento a partire dal 2030.”

Secondo l’Osservatore permanente, il numero può essere ridotto addirittura al 3 per cento con “l’aiuto delle organizzazioni basate sulla fede e su altre organizzazioni civiche,” un “contributo significativo in numeri reali.”

Ma è ovvio che le organizzazioni religiose o basate sulla fase non si “presentano per essere ciò che non sono,” ovvero “non si presentano come entità politiche o economiche,” né un qualcosa di parallelo della Banca Mondiale o delle Nazioni Unite e allo stesso tempo “non identica alle Organizzazioni Non Governative basate sulla fede.”

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La forza delle organizzazioni religiose – sottolinea  l’Osservatore Permanente – “non si bassa sulle risorse materiali o sulla perizia scientifica – che sono comunque molto utili nella lotta per sradicare la povertà estrema – ma nel loro essere forza spirituali e una bussola morale, nel loro essere dei ‘facilitatori’ del riconoscimento e del rispetto della dignità inerente di ciascuna persona umana.”

Sottolinea, l’arcivescovo Auza, che le organizzazioni religiosi puntano al fiorire dell’essere umano integrale, perché “il progresso umano è una parte integrale della visione e della missione” delle agenzie religiose, che sono radicate a livello locale, hanno conoscenza di prima mano delle varie forme di povertà e ineguaglianza, ma soprattutto hanno una credibilità alla base perché “con la loro presenza favoriscono il dialogo tra i gruppi” ma allo stesso tempo sono “connesse a livello universale,” diventando così “difensori effettivi di cause come quella dello sradicamento della povertà estrema e della promozione di società pacifiche e giuste.”

La tesi dell’arcivescovo Auza è che “lo sviluppo può fiorire solo nel contesto di società pacifiche,” e la valutazione degli “Obiettivi di Sviluppo del Millennio” chiaramente dimostra la relazione distratta tra “le nazioni in conflitto sono arrivate molto lontane dalla realizzazione” degli obiettivi, ma sono piuttosto “regredite.”

Per questo, rafforzare “l’azione dei corpi religiosi e la cooperazione fruttuosa tra le religioni è essenziale per formare e consolidare società pacifiche, giuste e inclusive, senza le quali gli obiettivi di sviluppo sostenibile non possono essere raggiunti.”

Ci vuole “pazienza e perseveranza” per costruire società giuste, ma il processo è più veloce quando “le persone sono capaci di trascendere l’egoismo, lo spirito di vendetta e la fobia.”

Aggiunge, l’Arcivesco Auza, che “il dialogo interreligioso è un dialogo della vita nel quale differenti parti hanno il coraggio di incontrare gli altri per come sono,” e per questo è una condizione “necessaria per la pace nel mondo,” conclude, citando Papa Francesco.

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