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Vangelo, coscienza e norme nell'attività del giudice Rosario Livatino

Rosario Livatino  |  | pubblico dominio Rosario Livatino | | pubblico dominio

 

 

Il 21 settembre 1990 mentre si recava in Tribunale, Rosario Livatino, veniva ucciso, in un attentato. Quest'uomo è stato un magistrato, ma più di tutto una persona coerente con quanto il Vangelo insegna e mai obbliga.

Il suo esempio non ha ricalcato nulla di artificiale, ne di posticcio. Ma sa di autenticamente bello e vero. Niente che sa di separazione dal mondo, ma che profuma di lotta giornaliera e di bellezza.

Se leggiamo la sua vita tramite il suo diario scopriamo le sue difficoltà, le sue scelte ed i suoi momenti bui. In queste pagine, scritte per esser lette solo dal loro autore, brilla il senso di una vita che assomiglia a quella di tante persone che, quotidianamente, combattono nei mille rovelli che l'esistere spesso porta. Si sente il peso della solitudine, con la quale spesso era chiamato a confrontarsi. Con le decisioni che, alle volte, erano dure. Queste domande, nella mente e nel cuore del magistrato, avevano una risposta chiara: Dio ed il suo Regno.

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Nel giorno del suo ingresso in magistratura, nella sua agenda, con inchiostro rosso, segna quella data con l'impegno di vivere, tenendo a mente quel giuramento, insieme all'educazione impartita dagli amati genitori.

La legge non è solo il rispetto di alcune regole, ma diviene lo strumento per l'attuazione di una società, non soltanto più giusta ma più conforme agli ideali del Vangelo. Allora ciò che è scritto nei codici può divenire strumento di vita, in quanto è affermazione del diritto di un popolo che si riconosce in quei principi che danno origine allo Stato.

In virtù di quel giuramento, Rosario Livatino sapeva che l'articolo 101 della Costituzione dispone che “La giustizia è amministrata in nome del popolo ed i giudici sono soggetti soltanto alla legge”. Quella legge che tutela la collettività e nella quale il giovane e coraggioso magistrato credeva perchè, fortemente, ancorato alla Parola del Vangelo.

In una conferenza, su tali temi, questo sottolineò che il Vangelo e la norma “sono continuamente in reciproco contatto, quotidianamente sottoposte ad un confronto a volte armonioso, a volte lacerante, ma sempre vitale, sempre indispensabile”.

Società, Stato e norma non sono sinonimi, bensì realtà diversificate unite in un unico fine:il benessere della collettività.

La fede, vissuta con coerenza ed umiltà, ha illuminato i suoi passi anche difronte alle inevitabili sfide di tutti i giorni, come quella di giudicare. Su ciò riteneva solo Dio il Giudice e lui si atteneva a vedere nell'imputato, non solo l'oggetto specifico dell'attenzione di una norma, ma una persona a cui poter dare una possibilità di bene, utilizzando ciò che la legge gli consentiva.

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Con tali ideali svolgeva il suo domani.

Tutte le mattine si fermava, in preghiera, nella chiesa di San Giuseppe, qualche minuto, portando Dio, nel suo lavoro. Per rafforzare ciò, teneva sul suo tavolo, una copia del Vangelo (sottolineata ed appuntata) che spesso consultava, alla luce di un crocifisso.

Cosa avrà detto a Dio? Non lo sappiamo ne lo sapremo mai. Ma il suo esempio ne rivela la risposta.

Nella vita di questo uomo tutto si è svolto nel silenzio più assoluto. Dello scorrere delle sue ore, sapevano poco, anche gli amatissimi genitori che ignoravano i molti gesti di carità come le costanti soste in chiesa.“Di lui si è conosciuto molto, durante la raccolta del materiale per la causa” ha evidenziato il postulatore del giovane magistrato. Tra le tante testimonianze è bello ricordare quella di una signora, guarita da una leucemia, che afferma di aver avuto un'apparizione del magistrato.

Se guardiamo la sua esistenza apprendiamo che, prima della professione nell'Ordine giudiziario, aveva vinto il concorso per la carica di vicedirettore in prova presso l'ufficio del Registro della sua città. Un posto di lavoro ed una posizione che gli avrebbero garantito garantito una bella e soddisfacente carriera. Ma , evidentemente, cercava altro.

La molla che lo spinse a prepararsi per il concorso in magistratura, la troviamo in quelle frase che da piccolo espresse, alla professoressa Ida Abate, scomparsa da poco e biografa del magistrato, con la quale si tenne sempre in stretti rapporti, alla quale disse che suo desiderio era quello di difendere la collettività. Quest'interrogativo ha balzato nel suo cuore molte volte, ed alla fine ha avuto una risposta che sa di amore, santità, oblatività, anche a costo del bene più importante che un uomo possiede come la vita.

L'amore alla famiglia, al crearsi un legame matrimoniale, le sue passioni sono passate in secondo piano perchè davanti a tutto c'era solo Dio e l'altro.

Questo testimone di Cristo manca alla nostra società. E' mancato all'affetto dei suoi cari, ma il suo esempio che sa di bellezza e di coraggio evangelico ancora ci parla di lui.

La Regola benedettina scritta, oltre 400 ani fa da San Benedetto, recita Amori Christi nihil praeponere. E nulla si disegna più, compiutamente, nella vita di questo meraviglioso servo di Dio, che si chiamava Rosario Livatino.

 

 

 

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