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Processo Palazzo di Londra, l’amarezza della difesa Becciu

Non ammessa la richiesta di fornire le chat e liberare gli omissis di alcune conversazioni della difesa Becciu. Superate le eccezioni, si va avanti con il processo

Giuseppe Pignatone | Il presidente del Tribunale Vaticano Giuseppe Pignatone | Vatican Media Giuseppe Pignatone | Il presidente del Tribunale Vaticano Giuseppe Pignatone | Vatican Media

L’amarezza del Cardinale Angelo Becciu arriva in una dichiarazione spontanea che mette in luce come da una parte ci sia difficoltà, da parte della sua difesa, ad ottenere prove, non avendo il tribunale ammesso la richiesta di “sbloccare” gli omissis delle chat tra Genevieve Ciferri e lo stesso promotore di Giustizia Alessandro Diddi; dall’altro, la presenza di una trama che avrebbe portato, nelle parole del cardinale, “portato a strumentalizzare il Papa”.

Sono parole dure, che arrivano a seguito di una complessa ordinanza di Giuseppe Pignatone, presidente del Tribunale Vaticano, chiamato a rispondere ad eccezioni varie, ma soprattutto alla richiesta, da parte della difesa Becciu, l’intera chat inoltrata al promotore di Giustizia Alessandro Diddi da Genevieve Ciferri, ma anche degli interrogatori di monsignor Perlasca al promotore di Giustizia, anche quellli con omissis.

Il processo

Ma per comprendere tutto serve fare un passo indietro. A partire proprio dal tema del processo, che coinvolge genericamente la gestione dei fondi della Segreteria di Stato vaticana. Un filone riguarda l’investimento, da parte della Segreteria di Stato, sulle quote di un immobile di lusso a Londra, dato in gestione prima al broker Raffaele Mincione, poi a Gianluigi Torzi, e poi riacquistato dalla Segreteria di Stato quando ha compreso di non avere il controllo dell’immobile, rimasto a Torzi che aveva tenuto per sé le uniche azioni con diritto di voto. Il secondo filone riguarda la vicenda Sardegna, con accuse di peculato rivolte al Cardinale Angelo Becciu riguardo il tempo in cui era sostituto della Segreteria di Stato, quando destinò una somma alla Caritas di Ozieri per un progetto della cooperativa SPES – soldi tra l’altro rimasti in pancia alla Caritas perché vincolati alla realizzazione del progetto. E il terzo filone riguarda Cecilia Marogna, la sedicente esperta di intelligence che collaborò con la Segreteria di Stato in alcune circostanze e che avrebbe poi utilizzato le cifre destinate dalla Santa Sede alle missioni per le sue spese personali.

Il (non più?) super testimone

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C’è stato, fino a gennaio, un super testimone, ed era monsignor Alberto Perlasca, a capo dell’amministrazione della Segreteria di Stato per dodici anni. Inizialmente indagato, e poco intenzionato a collaborare, Perlasca aveva poi deciso spontaneamente di farsi interrogare dai magistrati vaticani, in altri tre interrogatori avvenuti senza il suo avvocato, diventando così un testimone chiave dell’accusa.

Fatto sta che dallo scorso gennaio di Perlasca non si parla più. Un po’ perché il processo si stava dedicando ad altri testimoni, cercando di mantenere un ritmo serrato perché sia compiuta la promessa di chiudere tutto entro Natale. E un po’ perché la testimonianza di Perlasca venne inficiata dagli interrogatori a Genevieve Ciferri, sua amica di famiglia, che aveva suggerito a Perlasca la strategia da tenere; e a Francesca Immacolata Chaouqui, già membro della Commissione vaticana per lo studio dell’organizzazione economica amministrativa della Santa Sede (COSEA), e processata e condannata in Vaticano nell’ambito del cosiddetto processo Vatileaks 3. In pratica, era venuto fuori che Chaoqui suggeriva a Ciferri cosa a sua volta suggerire a monsignor Perlasca. Fu proprio Ciferri a contattare il promotore di Giustizia Alessandro Diddi, attraverso messaggi whatsapp con lunghe spiegazioni che sono agli atti.

Ma sono agli atti con vari omissis, che non permettono a volte di comprendere il tono della conversazione. Così come sono agli atti gli interrogatori di Perlasca, il grande accusatore, ma anche quelli con vari omissis.

In particolare, Diddi ha omesso 120 messaggi su 126 di quelli che gli sono stati inviati via whatsapp da Genevieve Ciferri. Secondo i legali (tutte le difese si sono associate all’istanza), ormai è trascorso abbastanza tempo da aver superato il segreto istruttorio, e quei messaggi potrebbero persino chiarire i “punti di discontinuità” tra la testimonianza scritta del 31 agosto 2020 di monsignor Perlasca e la testimonianza dello stesso monsignore il 26 aprile 2020.

La difesa Becciu ha chiesto che gli omissis vengano sbloccati, per poter meglio impostare la difesa. Il promotore di Giustizia afferma che ci sono, su quelle chat, altre indagini in corso, e che dunque non si può rompere il segreto istruttorio. E, nell’ordinanza, il presidente Pignatone ha fatto sapere che non si può contestare questa “insindacabile” dichiarazione del promotore di Giustizia, e si dovrà capire tutto ex post.

Il commento del Cardinale Becciu e dei suoi avvocati

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È qui che si innesta il commento amaro del Cardinale Becciu, che ricorda come “la difesa rimane mortificata, non può esercitare completamente il diritto di difesa se non ha tutto il materiale”. E tra l’altro, aggiunge,  “si è chiesto di far chiarezza su questa vicenda, sulla vicenda di questi tre signori che, loro stessi, hanno detto di aver tramato contro di me. È una trama che hanno fatto. Addirittura questa trama ha portato a strumentalizzare il Papa. Si son serviti del Papa per portare avanti un piano vendicativo nei miei riguardi. Non capisco perché non si faccia chiarezza su questo aspetto”.

E aggiunge il Cardinale che i tre (ovvero Perlasca, Chaouqui, Ciferri) sono “tranquilli, liberi, e io sono da tre anni in questa sofferenza, sotto l’incubo di queste accuse che si stanno rivelando false. Io esprimo la mia amarezza perché non si fa chiarezza su questa vicenda, perché è un’offesa allo stesso Santo Padre”.

Conclude il Cardinale: “Non ci si può servire del Santo Padre per mandare avanti un piano così doloso come la vendetta, cosa che è stata fatta nei miei riguardi. Quindi io continuo a mantenere la mia fiducia nel Tribunale e spero che la verità emerga fino in fondo. Però il non indagare su questa vicenda mi lascia piuttosto perplesso”.

Gli avvocati Fabio Viglione e Maria Concetta Marzo, che difendono il Cardinale, hanno invece fatto sapere che “con l’ordinanza di oggi il Tribunale ha preso atto della valutazione dell’Accusa di non mettere a disposizione dei Giudici e delle difese, per esigenze di segretezza investigativa, l’intera chat inoltrata al Promotore e relativa alle genesi e alla progressione delle dichiarazioni rese da Monsignor Perlasca. Anche per il mancato deposito delle parti omissate degli interrogatori del Monsignore, risalenti a tre anni fa, il Tribunale ha rilevato la scelta del Promotore, ritenendola insindacabile”. 

Gli avvocati sottolineano di prendere atto della decisione, “così come del fatto che la scelta del Promotore ci consegna una prova mutilata che, al contrario, ove esibita integralmente, avrebbe consentito di ricostruire con maggiore dettaglio la macchinazione ai danni del Cardinale, la cui innocenza il processo ha dimostrato”.

La questione degli omissis

La questione degli omissis non è nuova, così come non è un fatto nuovo che le difese facciano notare che c’è una difficoltà ad esercitare il diritto di difesa, che nasce dalla presenza degli omissis, ma anche – come era stato fatto notare ad inizio processo – dal sostanziale cambiamento delle regole del processo avvenuto con quattro rescritti di Papa Francesco mentre le indagini erano in corso.

Da parte sua, il Tribunale ha sempre cercato di sottolineare la totale conformità del processo vaticano ad ogni processo di Stati moderni, rigettando ogni accusa, ma allo stesso tempo mostrando molta volontà di permettere a tutte le parti di difendersi.

Certamente, in queste sessanta udienze, il sistema giudiziario vaticano sembra essere scricchiolato di fronte ad una serie di situazioni che ne hanno mostrato la fragilità. Ma anche la riforma del sistema giudiziario vaticano, arrivata ad appena tre anni dalla riforma che recepiva anche alcune richieste del comitato Moneyval del Consiglio d’Europa, rischia di rendere ancora più fragile il sistema giudiziario vaticano. C’è un aspetto internazionale, in questo processo, che forse viene poco stimato, e che potrebbe vedere la Santa Sede sotto accatto per ciò che avviene proprio nel suo stato. Non una situazione ideale.

Non testimonia don Mario Curzu

Mentre il Tribunale ha dichiarato illegittima l’assenza di don Mario Curzu, direttore della Caritas di Ozieri, che prima aveva deciso di non testimoniare perché oggetto di indagine anche a Sassari, e non sicuro delle tutele che la Santa Sede avrebbe attuato nei suoi confronti. Poi, dopo una ordinanza che ribadiva che il processo vaticano ha tutte le garanzie, non si è presentato alle due udienze successive, e il 25 maggio ha inviato una dichiarazione in cui spiegava di non essersi presentato “per impegni pastorali particolarmente intensi”.

Il presidente del Tribunale, con un’ordinanza, ha trasmesso gli atti all’Ufficio del promotore di Giustizia per procedere contro il sacerdote, per il reato di rifiuto di uffici legalmente dovuti. Ha dichiarato “illegittima” la sua assenza e “pretestuosa” la giustificazione riportata, non essendo “legittimo impedimento”, dopo i precedenti e ripetuti rifiuti a presentarsi.

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C’è da dire che don Curzu non è l’unico a non essersi presentato. La difesa di Enrico Crasso, il broker che ha curato per anni gli investimenti della Segreteria di Stato, ha chiesto che quattro testimoni fossero costretti a testimoniare con rogatoria. In Vaticano, infatti, non andare a testimoniare equivale ad una falsa testimonianza per omissione. Ma in quel caso Pignatone ha fatto sapere che anche lo strumento rogatoriale potrebbe non essere sufficiente, e che comunque quelle testimonianze possono essere acquisite con prove documentali. Scelta legittima, ma che non fa comprendere perché solo il rifiuto di don Curzu sia considerato illegittimo.

La testimonianza del Cardinale Fernando Filoni

Come detto, il processo ha diversi tronconi. In uno di questi tronconi si inserisce anche la vicenda di Fabrizio Tirabassi, officiale della sezione amministrativa della Segreteria di Stato, sul quale sono state formulate nuove accuse anche riguardo le fees che riceveva da UBS, banca con cui la Santa Sede aveva investimenti e alla quale era stato mandato come procuratore della Segreteria di Stato.

È anche per questo che, dopo il cardinale Sandri, è stato sentito il Cardinale Fernando Filoni, che era succeduto a Sandri come sostituto della Segreteria di Stato, rimanendo nell’incarico tra il 2007 e il 2011.

Filoni ha reso testimonianza per appena dieci minuti, confermando di aver conferito a Tirabassi l’incarico di procuratore, e che si aspettava che lo stesso Tirabassi “visto che era nostro impiegato, da noi stipendiato, operasse a favore della Segreteria di Stato”.

Filoni ha detto di essere a conoscenza della clausola della procura che prevedeva discounts (retrocessioni) come retribuzione dalla banca per gli investimenti che faceva, e non sapeva né in cosa consistessero, né l’ammontare, e che se ne avesse saputo l’alto ammontare avrebbe contestato la cosa.

La difesa di Tirabassi ha fornito la documentazione di altre procure della Segreteria di Stato a soggetti terzi che prevedevano compensi anche rilevanti per colui che veniva nominato procuratore.

Le richieste di Torzi, l’interrogatorio di Mincione

I legali di Torzi hanno chiesto che il loro assistito sia ascoltato a distanza, dagli Emirati Arabi, vista l’impossibilità dello stesso di presentarsi per il mandato di cattura italiano che pende sul suo capo. Richiesta respinta da Pignatone, che ha ricordato come questo mandato di cattura non fosse pendente già la prima volta che è stato chiamato a testimoniare.

È stato di nuovo escusso, poi, il broker Raffaele Mincione. Questi ha negato aver mai offerto vantaggi indebiti a Crasso e Tirabassi e ha detto che anzi dal 2015 i suoi rapporti con Crasso non erano molto buoni.

Mincione ha negato di aver ricevuto sollecitazioni per provvigioni, nemmeno tramite la Aspigam di Ivan Simetovic che, ha spiegato il broker, è un procacciatori di affari che ha operato prima per Mediobanca, proponendo diversi affari proprio in questa sua posizione, incluso l’investimento di 200 milioni.

Mincione ha confermato, dunque, di aver versato 2,1 milioni di euro come comissione a Simetovic per l’affare che ha portato Athena Capital ad acquistare le quote del palazzo di Londra. Simetovic vorrebbe altri 1,9 milioni con un contratto di consulenza il 21 aprile 2015. È noto che l’investimento iniziale poteva essere destinato ad una società petrolifera in Angola, e che poi questo investimento era stato sconsigliato dallo stesso Mincione, che aveva ricevuto poi da monsignor Perlasca l’incarico di reinvestire il denaro. Mincione ha anche detto che di aver saputo solo il 10 maggio nel contratto con Aspigam era previsto che parte delle commissioni andassero a un sub-introducer, e cioè Enrico Crasso. L’email è stata contestata dalla difesa Crasso, che ha chiesto fosse dichiarata inutilizzabile. Pignatone ha convenuto.

Mincione ha anche confermato di aver chiesto al suo collaboratore WRM Capinvest Gianluigi D’Andria, sentito come teste l’11 maggio, di inviare il 19 dicembre 2018 a Gianluigi Torzi, una mail con il rendiconto di tutte le spese sostenute dal Fondo Athena Capital, come le commissioni per l’Aspigam.

Per Mincione, si trattava di “una email difensiva” dalle calunnie che riceveva da Crasso e Perlasca per le sue richieste, e serviva proprio a giustificare le richieste  “vista la forte sfiducia che c’era in Segreteria di Stato” nei suoi confronti.

L’accusa contesta a Mincione di aver anche compensato Crasso per aver convinto Credit Suisse a investire nel fondo Athena, ma Mincione ha notato che Crasso era consulente di Credit Suisse Italia senza ruolo deliberativo.

Al termine dell’interrogatorio, il promotore Diddi ha depositato, come richiesto ad ottobre 2022 dai legali di Becciu, il resoconto di tutti i finanziamenti erogati, tra il 2004 e il 2020 dall’Istituto per le Opere di Religione alla Segreteria di Stato.

I prossimi appuntamenti

Inizierà nel pomeriggio del 18 luglio la presentazione delle richieste dell’accusa al processo in corso in Vaticano sull’utilizzo dei fondi della Segreteria di Stato. Il promotore di Giustizia Alessandro Diddi che ha chiesto sei udienze, fino al 26 luglio. Dal 27 settembre sarà dato spazio ai legali di parte civile e da metà ottobre alle difese degli imputati. La prossima udienza avrà invece luogo il 13 giugno, e potrebbe chiudere la fase dibattimentale.