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Leone XII, la città di Roma e il giubileo del 1825

Un tentativo di riportare fedeli alla Chiesa

Pellegrini in piazza San Pietro per la celebrazione del giubileo. Dal volume di Francesco Bertolini, Storia del Risorgimento Italiano, Milano 1889 |  | Quaderni del Consiglio regionale delle Marche Pellegrini in piazza San Pietro per la celebrazione del giubileo. Dal volume di Francesco Bertolini, Storia del Risorgimento Italiano, Milano 1889 | | Quaderni del Consiglio regionale delle Marche

Quello del 1825 fu l’unico giubileo del secolo. Ed ebbe una preparazione lunga anche se non un grande successo.

Fu proprio il cardinale vicario Annibale Della Genga che poi divenne Papa con il nome di Leone XII, che preparò il terreno per il recupero religioso della città di Roma dopo due occupazioni francesi, quelle del 1798-1799 e del 1808-1814.

Nel volume Si dirà quel che si dirà: si ha da fare il Giubileo” Leone XII, la città di Roma e il giubileo del 1825, del Consiglio regionale delle Marche, Domenico Ricciolo spiega proprio quale fosse la situazione alla vigilia del Giubileo. Della Genga “si rivolse, in particolare, alle generazioni nate nel periodo rivoluzionario e maggiormente influenzate dai valori della cultura moderna”. 

Una delle sue “riforme” in vista dell’anno santo, fu quella delle parrocchie di Roma e la visita apostolica dei luoghi pii. Il progetto era nato per Papa Pio VII 7 con  la riduzione delle parrocchie, la soppressione dei patronati laicali, una migliore e più razionale distribuzione dei territori secondo il numero delle anime. Alla morte di Pio VII e con l’ascesa al soglio i Pietreo , della Genga decise per una costituzione apostolica, la Super universam. 

Vennero soppresse 26 parrocchie secolari e di una decina di quelle regolari, preservate 35 parrocchie esistenti e 9 nuove sedi, più l’istituzione di quelle nei palazzi Laterano, Quirinale e Vaticano e di quella personale di SS. Michele e Sisto a Ripa Grande . E poi fonti battesimali da trasferire o installare, oneri liturgici da redistribuire, confraternite del SS. Sacramento da erigere nelle nuove parrocchie, ristrutturazione delle chiese fatiscenti, sorveglianza dei comportamenti da parte dei parroci furono il centro del documento.

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Il 31 maggio 1824  il Papa indisse la visita apostolica dei luoghi religiosi e nel Concistoro appena celebrato disse che “la città doveva prepararsi all’evento “onde i forestieri ritornino dopo la visita (di Roma nell’anno santo) edificati dalla maestà del culto e dallo splendore de’ sacri tempi” .

La visita si basava su un questionario sullo stato di conservazione degli edifici, sugli altari, sui diritti di patronato, sulle opere d’arte custodite e esposte, sulle sepolture, sulle reliquie, sui confessionali, sulle cappellanie o pii legati, insomma una relazione sullo stato dei fatti. così con la bolla Cum nos nuper del 20 giugno 1824, per invogliare i cattolici a venire a Roma per l’acquisto del perdono, sospese le indulgenze e decise anche delle “missioni nelle piazze”.  Come spiega Rocciolo il Papa “assistette di persona alle missioni a piazza S. Giacomo in Borgo, a piazza Barberini, a piazza di S. Maria in Trastevere, a piazza Colonna, a piazza Navona, a piazza di S. Maria ai Monti”. Furono un successo. “L’economo curato di S. Maria in Trastevere diede un giudizio appassionato sull’esito della missione: “i due nefandi vizi della bestemmia e dell’ubriachezza, che sembravano di aver alzato stabile trono in questo disgraziato rione, sono già a quest’ora se non totalmente estirpati, almeno considerevolmente diminuiti”, le armi proibite furono consegnate e vennero appese davanti alla sacra immagine di Maria, i libri osceni furono bruciati, due concubinati furono “distrutti” e tre matrimoni furono salvati, la pace e la concordia tornarono a regnare nel rione”.

Le premesse erano buone e così si proseguì con esercizi spirituali, durante i quali ci fu obbligo per “i caffettieri e i venditori a tenere chiuse le botteghe, ( il Papa) fece emanare un editto “sul vestir delle donne” e concesse facoltà straordinarie ai confessori. Il 19 dicembre, con un editto a firma del cardinale vicario, preannunciò l’apertura delle porte sante alla vigilia di Natale”.

Il 24 maggio 1824, con la bolla d’indizione Quod hoc ineunte saeculo, letta tre giorni dopo, festa dell’Ascensione, nel portico di S. Pietro in Vaticano ci fu l’annuncio del Giubileo.

Enormi le attese, pochi i pellegrini. Rocciolo riporta alcune cifre: “nell’ospedale della SS. Trinità dei Pellegrini e Convalescenti furono accolte 94.157 persone (62.451 uomini e 31.706 donne) . In tutto vennero circa 375.000 romei, soprattutto dallo Stato pontificio e dal Regno di Napoli”. Certo era il 1825 ma erano cifre basse anche per l’epoca. Un Anno Santo in tono minore che “chiuse un’epoca, nel senso, che fu l’ultimo dell’età moderna o se si preferisce, fu il primo di quella contemporanea. Resta il fatto, che fu l’unico anno di giubileo ordinario del XIX secolo, attraversato o comunque segnato dalle battaglie ideologiche e politiche in cui lo Stato pontificio (e di conseguenza il cattolicesimo) si trovò impegnato” chiosa Rocciolo.

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Leone XII si era affidato alla Chiesa locale. Le confraternite per la custodia delle porte sante ad esempio. Ordinò un giustizia rapidissima per le cause civili e penali che coinvolgevano i pellegrini, richiese al clero e alle congregazioni, decoro, disciplina e un’intensa vita di preghiera. Ma la crisi politica influì anche sulla vita religiosa. Il Papa decise indulgenze straordinarie, accordò indulti di giubileo a numerosi sodalizi, ad esempio a quelli del SS. Crocifisso in S. Marcello, del SS. Sacramento e anime sante del purgatorio in S. Francesco a Monte Mario. 

E, in modo decisamente moderno, “non si rivolse soltanto ai fedeli, ma anche ai “lontani ancora dalla vera Chiesa di Cristo, e dalla via della salute” e li implorò di troncare “ogni laccio di divisione” e di unirsi con la “Madre, e Maestra di tutti la Chiesa, fuori della quale non avvi salute”. Percepì ciò che i tempi stavano per imporre alla Chiesa: l’urgenza di prestare la massima attenzione ai problemi aperti dalla cultura contemporanea” scrive Rocciolo. La sua fu un’opera per “ricondurre nel grembo della Chiesa la parte di Roma ormai distaccata”. Lo fece forse guardando troppo al passato?  La sua fu una “premura del vescovo per il suo popolo, il valore dei suoi auspici di sicurezza e di pace, la sua speranza di un superamento delle divisioni, perché Roma potesse essere davvero il “centro della divina religione di amore” conclude Rocciolo.