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Diplomazia pontificia, verso la Mongolia, un nuovo fronte per la pace in Ucraina

Ci si prepara al viaggio apostolico di Papa Francesco in Mongolia, dal 31 agosto al 4 settembre. Quale è lo stato delle relazioni diplomatiche? Un nuovo fronte per la pace in Ucraina

Viaggio del Papa in Mongolia | Papa Francesco e il logo del viaggio in Mongolia in lingua mongola | Chiesa Cattolica in Mongolia Viaggio del Papa in Mongolia | Papa Francesco e il logo del viaggio in Mongolia in lingua mongola | Chiesa Cattolica in Mongolia

La Mongolia è il più grande stato del mondo senza sbocco al mare, e si trova tra due giganti come la Russia e la Cina. È un Paese oggi cruciale a livello geopolitico, osservato speciale dalla Cina anche perché quello che vi si pratica maggioritariamente è il buddhismo tibetano, preoccupato dall’ingombrante vicino russo. È da lì che Papa Francesco potrebbe far partire la nuova offensiva di pace cui pensa, cercando di creare un ponte. Addirittura, si è parlato di un possibile scalo del Papa in Russia per un incontro con il Patriarca Kirill sulla via del ritorno dalla Mongolia.

Intanto, mentre si aspetta il viaggio del Cardinale Zuppi in Cina, l’Ungheria si candida ad essere un mediatore di pace con la visita in Vaticano della presidente Katalin Novák, arrivata direttamente da Kyiv, e dopo aver incontrato già il presidente turco Recep Tayyp Erdogan. Chissà che non si sia creato un asse nuovo, considerando che la presidente ungherese ha il vantaggio di parlare con il Papa direttamente e senza interpreti, dato che conosce lo spagnolo.

                                                           FOCUS MONGOLIA

Mongolia – Santa Sede, ci sarà la firma dell’accordo durante il viaggio del Papa?

Forse si potrebbe anche firmare un accordo tra Mongolia e Santa Sede durante il viaggio di Papa Francesco nel Paese. Sebbene infatti Mongolia e Santa Sede abbiano relazioni diplomatiche dal 1992, non c’è ancora un accordo quadro che regoli la presenza dei cristiani, un piccolo gregge di poco più di 1300 persone che rappresenta l’1,3 per cento della popolazione. L’ultimo censimento nazionale risale al 2020, e i dati dicono che il 52 per cento della popolazione è buddista e il 41 per cento si considera “non religioso”, mentre il 3,2 per cento è musulmano.

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Prima di Papa Francesco, l’arcivescovo Paul Richard Gallagher è stato in Mongolia dal 4 al 6 giugno per celebrare il 30esimo delle relazioni diplomatiche e dare l’avvio ai negoziati un accordo che dia un riconoscimento giuridico ai cattolici di Mongolia.

Il piccolo gregge cattolico è attualmente sotto la giurisdizione di una prelatura apostolica, con quattro parrocchie e diverse missioni.

Nel 2020, Santa Sede e Mongolia avevano stabilito un accordo per intensificare la collaborazione in ambito culturale. A definire i dettagli erano stati L. Purevsuren, ambasciatore della Mongolia presso la Santa Sede e rappresentante permanente alle Nazioni Unite e alle altre organizzazioni internazionali, e l’arcivescovo Paul Richard Gallagher Paul Richard Gallagher, segretario per i Rapporti con gli Stati del Vaticano.

Secondo l’accordo, i ricercatori mongoli avranno il permesso di studiare le fonti relative alla storia patria conservate negli Archivi e nella biblioteca vaticana. L’arcivescovo Gallagher aveva anche dichiarato anche la disponibilità del Vaticano ad insegnare la lingua latina agli studiosi, in modo che possano avere un accesso migliore ai documenti. Ci sarebbe dovuta anche essere un mostra fotografica e una conferenza scientifica presso la Santa Sede, rinviata a causa del COVID, che avrebbe avuto come tema il dialogo interreligioso nel Paese.

Ulaanbator, in fondo, antica capitale imperiale, ha rappresentato uno dei primi esempi di convivenza pacifica tra diverse religioni. I rapporti con i cattolici iniziarono nel 1245, quando il frate francescano Giovanni di Pian del Carpine venne inviato da papa Innocenzo IV come ambasciatore alla corte del Khan.

Tra il 2017 e il 2018, su richiesta delle autorità mongole, con l’aiuto della Nunziatura Apostolica e dell’Archivio Apostolico Vaticano, sono state consegnate al Museo di Kharkhorin le copie autentiche delle lettere scambiatesi nel 13mo secolo tra papa Innocenzo IV e l’imperatore Güyük Khan.

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                                                           FOCUS UCRAINA

Il significato della visita della presidente di Ungheria a Papa Francesco

Papa Francesco ha chiesto alla presidente ungherese Katalin Novák che il messaggio di pace si diffonda dall’Ungheria all’Europa lacerata dalla guerra. Lo ha detto la presidente, in un post X in cui ha ripercorso i momenti salienti della visita a Papa Francesco.

In un altro post, la presidente ha definito tre temi importanti del suo incontro con il Papa. Il primo è stato la guerra. “Siamo stati d’accordo – ha scritto la presidente – nel lavorare insieme per ottenere una pace sostenibile e a lungo termine il prima possibile. Abbiamo anche discusso su cosa possiamo fare insieme per assicurare che i bambini deportati dall’Ucraina possano tornare a casa”.

Secondo tema, la famiglia. Novák ha scritto che l’Ungheria e la Santa Sede “sono alleati nel difendere i valori della famiglia tradizionale e proteggere i bambini”.

Infine, la presidente ha anche parlato del Papa del suo viaggio in Ungheria ad aprile, cosa che, secondo Novák, chiaramente indica che “la visita papale non è stato un evento occasionale, ma ha un impatto che dura generazioni”.

Si è trattato del terzo incontro della presidente Novak con Papa Francesco, dopo quello dell’agosto 2022 e quello poi in Ungheria ad aprile. La presidente parla con il Papa in spagnolo senza interpreti, e questo dato è stato decisivo per togliere ogni filtro alle loro conversazioni sin da agosto.

La questione della Transcarpazia è centrale per l’Ungheria. L’Ungheria lamenta la situazione difficile degli ungheresi in Transcarpazia, oblast ucraino dove la minoranza magiara è molto consistente.

Proprio dalla Transcarpazia veniva uno dei doni portato dalla presidente a Papa Francesco. Si tratta di una icona che raffigura la Vergine Maria con il Bambino Gesù, realizzata dai padri della comunità ungherese in Transcarpazia proprio perché la presidente lo consegnasse al Papa.

Novák ha portato al Papa le sue impressioni sui risultati della Piattaforma di Crimea, una iniziativa diplomatica dell'Ucraina progettata per riportare la questione della Crimea nell'agenda internazionale e facilitare il ritorno del controllo della Crimea all'Ucraina e ripristinare le relazioni pacifiche e amichevoli Russia-Ucraina.

Alla Crimea Platform, la presidente ungherese ha sottolineato che l’Ungheria si impegna – si legge in un post X - a “supportare tutte le iniziative che puntano ad ottenere la pace. In questo percorso, Budapest, come capitale, è sempre lì per avere un accordo di pace giusto.  Il supporto per la pace dell’Ungheria è manifestato da un numero di programmi di assistenza per l’Ucraina. Senza considerare quanto ci vuole per ripristinare la pace, l’Ungheria continua a offrire supporto umanitario ed educazionale e luoghi di formazione all’Ucraina, e continua a tenere fede a tutti gli obblighi internazionali”.

Il Vertice inaugurale della Piattaforma si è svolto il 23 agosto 2021, alla vigilia del 30º anniversario dell'indipendenza dell'Ucraina. Nel 2021, l’allora Presidente della Repubblica ungherese, János Áder, e poi nel 2022, Péter Sztáray, Segretario di Stato del Ministero degli Affari Esteri e dell’Energia, hanno rappresentato l’Ungheria in quel primo incontro.

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Perché la Santa Sede non usa l’espressione “Stato ucraino”?

Una riflessione pubblicata su Il Sismografo lo scorso 23 agosto mette in luce come Papa Francesco non abbia mai fatto riferimento, nelle sue oltre 130 allocuzioni pubbliche sull’aggressione su larga scala di Mosca a Kyiv, allo Stato ucraino.

Papa Francesco ha ricordato ancora una volta la guerra all’udienza del 23 agosto, giorno della bandiera nazionale, il secondo che si celebra in guerra, mentre il 24 agosto si celebra la giornata dell’indipendenza.

Il primo cerimoniale di innalzamento della bandiera gialla e blu ucraina ha avuto luogo il 24 luglio 1990 presso il pennone della bandiera comunale di Kyiv. L’adozione del vessillo a bandiera nazionale è arrivata all’inizio del 1992. Il 24 agosto si celebra invece la Dichiarazione di Indipendenza Ucraina dall’Unione Sovietica. Questa avvenne nel 1991 e due anni fa, per il trentennale dell’Indipendenza, l’Ucraina ricevette anche una breve visita del Cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato vaticano.

Il Sismografo nota che la dicitura di Stato ucraino non compare neanche nella dichiarazione congiunta Francesco Kiril del 12 febbraio 2016.

Festa dell’indipendenza ucraina, le parole dell’arcivescovo Maggiore Shevchuk

In occasione della Festa di Indipendenza Ucraina, l’arcivescovo maggiore Sviatoslav Shevchuk, capo della Chiesa Greco Cattolica Ucraina, ha inviato un messaggio ai fedeli, ringraziando prima di tutto Dio “per averci concesso uno Stato libero e sovrano, permettendoci di essere cittadini degni all’interno del nostro stato”.

Si deve riflettere ancora una volta, ha detto Sua Beatitudine, il valore del prezioso dono della libertà, e ha detto che si deve lottare per “conquistare la libertà da ogni male”. Nella giornata dell’indipendenza, il capo della Chiesa Greco Cattolica Ucraina ha voluto dedicare “un pensiero speciale alle intere generazioni di eroi che hanno partecipato alle lotte per la liberazione nazionale del nostro popolo, che nel corso di tempi ed epoche diverse della storia del popolo ucraino, non solo hanno nutrito il sogno di un’Ucraina libera, ma l’hanno anche conquistata versando sudore e sangue nella loro lotta”.

Sua Beatitudine ha anche pregato per “le nostre ragazze e i nostri ragazzi, che difendono l’indipendenza nei campi di battaglia della guerra che la Russia ha portato sulle nostre terre. L’odierna celebrazione di questa festa è resa possibile dal contributo del nostro esercito ucraino, che crea uno spazio di libertà”.

Un pensiero è stato rivolto anche ai concittadini che “si trovano sotto l’occupazione russa”, chiedendo di sostenere “l’esercito ucraino” e di aiutare “tutti coloro che sono stati colpiti d questa guerra”.

Ucraina, il Cardinale Matteo Zuppi sulla pace in Ucraina

Il Cardinale Matteo Zuppi, presidente della Conferenza Episcopale Italiana, ha partecipato ad una sessione del Meeting di Rimini, dove ha parlato di “Fratelli Tutti. Testimonianze di un’amicizia operativa sulle orme di Papa Francesco”.

Il Cardinale è stato scelto da Papa Francesco con suo inviato speciale in quella che lui ha definito in una intervista con Vida Nuevauna offensiva di pace” In quella veste, il Cardinale Zuppi è stato in Ucraina, Russia e Stati Uniti, e si prepara presto anche un suo viaggio in Cina, che il Papa considera uno degli Stati in grado di aiutare nelle iniziative di pace. L’iniziativa del presidente della CEI è soprattutto umanitaria, e si è concentrata su un meccanismo per la restituzione all’Ucraina dei bambini rimasti in territorio russo, “deportati” secondo la dizione ucraina o rifugiati secondo quella russa.

Parlando al Meeting, il Cardinale ha sottolineato che “anche il ritorno di un solo bambino ucraino nella sua casa è un modo per affermare la pace e sconfiggere la logica della violenza”.

In una intervista concessa a Il Sussidiario, il Cardinale Zuppi ha detto che “tutti quanti vogliono la pace, perché la guerra è terribile. Le ragioni degli uni e degli altri, invece, portano purtroppo a punti di vista molto diversi. Queste diversità non devono far perdere a noi la chiarezza della responsabilità, dell’aggressore e dell’aggredito. Dobbiamo credere che ci sia un modo per arrivare a una pace giusta e sicura non con le armi ma con il dialogo. Questo non è mai una sconfitta e richiede garanzie e responsabilità da parte di tutti”.

Ma perché Dio ha permesso questa guerra?, chiede l’intervistatore.  “Dio ama e quindi ci lascia liberi di fare il bene o il male. E la guerra è sempre frutto di tante complicità, un accumulo di male che diventa una macchina di morte. La vera domanda non è dov’è finito Dio, ma dov’è finito l’uomo! C’è la guerra perché l’uomo ha disobbedito al comandamento di Dio di non uccidere e in maniera diretta o indiretta si è reso complice del male”.

L’arcivescovo di Bologna ha anche affrontato il problema dei nazionalismi, i quali “qualunque essi siano, è che se si collocano in un respiro ampio, universale, prima o poi diventano pericolosi perché contrappongono e dividono”. È una prospettiva che si può evitare “se prevale l’amore per il proprio Paese, che è fondamentale e decisivo per tutti e che dobbiamo aiutarci a difendere. Esso però deve collocarsi nel concerto delle nazioni. Mai dimenticarsi di far parte della famiglia umana, o smettere di pensarsi all’interno di questa.

Il Cardinale Zuppi ha anche criticato l’Unione Europea, che “fa troppo poco. Dovrebbe fare molto di più. Deve cercare in tutti i modi di aiutare le iniziative per la pace, seguendo l’invito di Papa Francesco ad una pace creativa”.

                                                    FOCUS AMBASCIATE

Si congeda l’ambasciatore di Bulgaria presso la Santa Sede

Il 25 agosto, Bogdan Patashev, ambasciatore di Bulgaria presso la Santa Sede dal 2019, ha incontrato Papa Francesco in visita di congedo.

Nella sua carriera, anche una esperienza a Radio Vaticana, e il lavoro con la Conferenza Episcopale Bulgara, prima come incaricato dei media delle relazioni pubbliche dal 2009 al 2017 e poi come segretario generale ad interim e portavoce dal 2017 al 2019.

Il 26 agosto, Patashev ha anche accompagnato da Papa Francesco il Gran Muftì di Sofia Mustafa Hadzhi. Il dialogo interreligioso fu particolarmente evidente durante il viaggio di Papa Francesco in Bulgaria, quando a Sofia il Papa poté percorrere con l’auto il cosiddetto “quadrilatero”, ovvero la zona della capitale dove si trovano, agli angoli di un ideale quadrilatero, la con-cattedrale cattolica di San Giuseppe, la sinagoga, una moschea e una cattedrale ortodossa. L’incontro con il Muftì di Bulgaria è un segno di quella interreligiosità.  

Tra gli ultimi eventi organizzati dall’ambasciatore Patashev, un convegno culturale nell’Antico Refettorio di Trinità dei Monti lo scorso 28 giugno, in occasione dell’ottantesimo anniversario del salvataggio degli Ebrei bulgari destinati alla deportazione durante la Seconda Guerra Mondiale.

Di questo salvataggio c’è ampia documentazione nell’Archivio Apostolico Vaticano e negli archivi Bulgari. Al seminario erano intervenuti padre Bernard Ardura, presidente del Pontificio Comitato di Scienze Storiche, la professoressa Rumyana Christidi dell’Università di Sofia St. Kliment Ohridiski e Johan Icks, direttore dell’Archivio della Seconda Sezione della Segreteria di Stato vaticana.

In quell’occasione, l’ambasciatore Patashev ha rimarcato che “noi bulgari siamo fieri dei nostri antenati che, negli anni tragici, come nel 1943, con l’ausilio di numerosi attori fra coloro che guidavamo la società civile e autorità politiche, e grazie al supporto della Chiesa ortodossa, si mobilitarono in massa per impedire le deportazioni di quanti avevano cittadinanza bulgara”.

L’ambasciatore aveva ricordato che “molti ebrei bloccati fra Istanbul e Palestina– non avendo i visti per viaggiare, furono messi in salvo con documenti bulgari che permisero ai nostri connazionali di superare i confini per rientrare in Patria. Si trattò di un’operazione molto delicata, ma grazie a Dio efficiente, e non a caso i numeri registrano che gli ebrei in Bulgaria prima della Seconda Guerra Mondiale non sono diminuiti, ma anzi cresciuti da 48.000 a 50.000 unità”.

Patashev si era anche rammaricato del fatto che “proprio in quegli anni alcuni territori bulgari vennero occupati dalle forze armate naziste e da quelle zone, purtroppo, gli ebrei furono deportati a Treblinka, dove persero la vita. Per quanto ci riguarda, oggi abbiamo aperto le pagine degli Archivi relative a quel periodo storico, con l’augurio che, studiandole con onestà e serietà, ci possano permettere di raggiungere quella ‘verità’ in grado di istruirci, e che possa anche esserci d’ausilio per prendere decisioni importanti in futuro”.

Molto significativo anche l’impegno dell’ambasciatore per fare arrivare ai Musei vaticani un quadro dell’artista bulgaro Ivan Vukadinov, tuttora vivente, che ora è tra i dieci quadri che rappresentano la collezione di arte contemporanea dei Musei vaticani. La collezione è la più giovane dei Musei e ha compiuto cinquanta anni, e il quadro di Vukadinov è tra le dieci acquisizioni recenti più significative incluse in una mostra diffusa nel percorso dei Musei per celebrare questi cinquanta anni.

Il quadro, chiamato Cile, ma conosciuto anche con il nome di In Memoria degli Eroi, ha impressionato gli esperti vaticani durante una mostra di arte bulgara a Roma 1975, richiedendone l’acquisizione. Al tempo, lo Stato bulgaro rifiutò sostenendo che il dipinto costituisse un tesoro nazionale. Solo nel 2022, grazie anche alla mediazione di Patashev, il ministero della Cultura ha deciso di destinare il dipinto ai Musei Vaticani.

Presenta le credenziali l’ambasciatore di Angola presso la Santa Sede

Il 26 agosto, Carlos Alberto Saraiva de Carvalho Fonseca, Ambasciatore di Angola presso la Santa Sede, ha presentato a Papa Francesco le sue lettere credenziali. Classe 1956, sposato con quattro figli, studi a Mosca, a Upssala e a Parigi, ha una carriera diplomatica cominciata nel 1987. Dal 1998 al 2000 è stato consigliere dell’Amabasciata di Francia, dal 2000 al 2017 consigliere diplomatico del Presidente della Repubblica e Segretario del Presidente della Repubblica per gli affari diplomatici e la cooperazione internazionale (2000-2017). Dal 2018 al 2022 è stato ambasciatore di Angola in Portogallo.

                                               FOCUS SEGRETERIA DI STATO

L’arcivescovo Gallagher al quotidiano serbo Politika

Il quotidiano serbo Politika, che ha già intervistato Papa Francesco, ha ospitato la scorsa settimana un colloquio con l’arcivescovo Paul Richard Gallagher, segretario della Santa Sede per i rapporti con gli Stati e le relazioni internazionali. L’intervista si colloca nell’ambito di un dialogo costante tra Serbia e Santa Sede, e anche in vista di un viaggio di Papa Francesco in Kosovo, che lo stesso Papa ha detto come possibile nella recente intervista a Vida Nueva.

Serbia e Santa Sede hanno comunque ottimi rapporti diplomatici, tanto che si era persino pensato ad un viaggio del Papa nel Paese. L’eventualità, tuttavia, non si è mai realizzata. Da parte sua, la Santa Sede non ha ancora riconosciuto l’indipendenza del Kosovo, nonostante poi in questi anni ci siano state visite di Gallagher e Parolin a Pristina, e questo perché l’obiettivo diplomatico è che le parti coinvolte siano stimolate al dialogo e a raggiungere una giusta soluzione che possa portare benefici a tutti, ha detto l’arcivescovo Gallagher.La Santa Sede ha però nominato un delegato apostolico nella persona del nunzio in Slovenia.

Il “ministro degli Esteri” vaticano ha ricordato che la Santa Sede intratteneva relazioni diplomatiche con diversi Paesi nell'area balcanica, sin da quando questi emersero dopo la dissoluzione dell’Impero Austro-Ungarico.

L’arcivescovo ha spiegato che “nel novembre 1919 la Santa Sede riconobbe il Regno dei Serbi, Croati e Sloveni e il 2 marzo 1920 inviò il primo Nunzio Apostolico, l'Arcivescovo Francesco Cherubini. Nello stesso anno fu aperta la Nunziatura Apostolica a Belgrado”.

Quest’anno si celebra il centenario della presenza della Nunziatura Apostolica a Belgrado. L’arcivescovo Gallagher ha ricordato che “negli ultimi anni le relazioni diplomatiche tra la Serbia e la Santa Sede si sono costantemente rafforzate, anche grazie al gran numero di visite di alti funzionari, come le visite dei massimi rappresentanti dello Stato Città del Vaticano nel 2005, 2009, 2015 e il 2019".

Inoltre, il Cardinale Parolin ha visitato la Serbia nel 2018, mentre l’allora “ministro degli Esteri” vaticano Dominique Mamberti (oggi cardinale e prefetto della Segnatura Apostolica) era stato a Belgrado nel 2014 per firmare l’accordo sulla cooperazione sull’istruzione superiore.

Gallagher ha anche rimarcato che “nel 2018 il ministro degli Esteri Ivica Dacic ha visitato il Vaticano. Nello stesso anno si sono svolti colloqui bilaterali tra il Segretario Generale del Ministero degli Affari Esteri della Serbia e il Sottosegretario della Sezione per i Rapporti con gli Stati della Santa Sede, il Primo Ministro e il Ministro degli Affari Esteri nel novembre 2021 a Belgrado”.

Nel 2021, anche l’arcivescovo Gallagher è stato in Serbia, dove ha incontrato anche il patriarca ortodosso Porfirije, cui ha detto di essere grato per “l’ottima accoglienza”.

Riguardo alla possibile visita di Papa Francesco in Serbia, Gallagher ha confermato l'esistenza di un invito ufficiale al Santo Padre a visitare la Serbia è arrivato e che Papa Francesco ha espresso il desiderio di effettuare una visita. “Tuttavia – ha aggiunto - sembra che ci sia ancora in Serbia chi pensa che non è ancora giunto il momento per una simile visita. Vorrei anche aggiungere l'osservazione che circa il cinque per cento dei cittadini serbi sono cattolici e penso che loro, insieme con i loro vescovi, vorrebbero ricevere anche una visita del Santo Padre a casa loro".

Il “ministro degli Esteri” vaticano ha anche rimarcato l’importanza dei Balcani Occidentali, considerando che “la storia dei Paesi balcanici ha dimostrato come sia possibile costruire una società in cui le differenze non siano un peso, ma un vantaggio", e non a caso “il Santo Padre si è recato più volte nei Paesi balcanici, esprimendo la sua vicinanza ai popoli che vi abitano. Inoltre, in qualità di Segretario per i rapporti con gli Stati e con le Organizzazioni internazionali, ho visitato quasi tutte le capitali balcaniche, per dimostrare che questa regione è tra le priorità del pontificato del Santo Padre e per esprimere il sostegno della Santa Sede nel suo cammino verso l'integrazione europea".

Per l’arcivescovo Gallagher è “fondamentale la promozione del dialogo ecumenico e interreligioso”, che ha “un significato speciale per il futuro pacifico dei Balcani, dove per secoli le culture latina, bizantina e islamica si sono incontrate e talvolta si sono scontrate”.

Il tema è stato oggetto anche del Forum Ecumenico Europeo che si è tenuto a Koper (Slovenia) lo scorso giugno e che ha visto anche la partecipazione del Cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato vaticano.

                                                           FOCUS AMERICA LATINA

Nicaragua, l’espulsione dei gesuiti dal Paese

Dopo l’esproprio dell’Università Centro Americana, anche la residenza di Villa Carmen, dove abitavano sei sacerdoti gesuiti responsabili dell’Università, è stata sgomberata dalla polizia, che ha fatto irruzione nella residenza dei gesuiti e li ha obbligati a lasciare gli appartamenti.

In un comunicato ufficiale, la Provincia Centroamericana della Compagnia di Gesù ha “condannato questo oltraggio”, esprimendo “fiducia che il Signore della Storia continui ad accogliere sotto la sua bandiera i gesuiti del Nicaragua”.

Secondo il comunicato dei gesuiti, la polizia è apparsa insieme ai membri della magistratura per applicare lo sfratto, “sostenendo che anche questa casa è proprietà dello Stato del Nicaragua”, ignorando la documentazione presentata dai sacerdoti, i quali hanno mostrato “l’atto di proprietà dell’Università Centro Americana e della Compagnia di Gesù”.

Il governo nicaraguense ha pubblicato venerdì sulla Gazzetta Ufficiale un decreto del Ministero dell'Interno in cui approva la cancellazione della personalità giuridica dell'UCA, concessa il 13 agosto 1960, e ordina la confisca dei suoi beni. I giudici nicaraguensi hanno ordinato di trasferire allo Stato i beni mobili e immobili, così come i conti bancari dell’UCA. L’università è stata accusata dall’Ufficio del procuratore di essere un “centro di terrorismo, organizzando gruppi criminali”.

                                                 FOCUS MEDIO ORIENTE

Libano, la Chiesa e le elezioni presidenziali

Il cardinale Boutros Bechara Rai, patriarca maronita, ha criticato nell’omelia dello scorso 20 agosto l’appello al dialogo di Jean-Yves Le Drian, inviato speciale della Francia in Libano. L’inviato francese ha tentato di sbloccare le elezioni presidenziali, che sono in stallo del 2022, con una lettera inviata ai deputati per chiedere loro di tracciare le priorità del prossimo capo di Stato.

Una modalità che non è piaciuta al Cardinale Rai, il quale ha sottolineato nell’omelia che “si sente parlare in questi giorni di domande e risposte, di incontri e di dialogo”, ma “il dialogo vero ed efficace è il voto nel quadro di una sessione legislativa costituzionale e democratica”.

La successione del generale Aoun non è stata ancora definita dopo dodici sessioni elettorali, perhcé manca il consenso tra i gruppi parlamentari. Da un parte, Hezbollah e il movimento sciita Amal, guidato dal presidente della Camera Nabih Berry, che sostengono la candidatura di Sleiman Frangieh. L’opposizione sostiene Jihad Azour, ex ministro delle finanze e funzionario del Fondo Monetario Internazionale. Il Courant Patriotique Libre, alleato cristiano di Hezbollah, rifiuta invece di sostenere Frangié.

Il Cardinale Rai ha anche criticato Hezbollah e i suoi alleati, i cui deputati si sono ritirati dalle sessioni elettorali dopo ogni primo giorno di votazioni per provocare la mancanza del numero legale. Secondo il cardinale, la sospensione delle votazioni di giugno dopo il primo turno è una “flagrante violazione dell’articolo 49 della Costituzione”, che prevede che "il Presidente della Repubblica è eletto, al primo turno, a scrutinio segreto con la maggioranza dei due terzi (86) della Camera. Nei turni successivi è sufficiente la maggioranza assoluta (65)"

Il Cardinale si chiede se i maestri del blocco delle elezioni presidenziali “sono consapevoli che stanno trasformando il Parlamento in un organo esclusivamente elettorale, e accusano coloro che boicottano le sessioni di non voler eleggere un presidente e di non rispettare l’Accordo di Taif?", o se “sono consapevoli che il governo incaricato di gestire gli affari quotidiani non può nominare o prendere decisioni esecutive che richiedono la presenza e la firma di un capo di Stato?”

Le parole del cardinale arrivano mentre il primo ministro Nagib Mikati, ricevuto dal Papa lo scorso 16 marzo, viene accusato di voler monopolizzare le prerogative politiche presidenziali.

Anche l’arcivescovo metropolita greco-ortodosso di Beirut Elias Audi ha criticato la crisi politica in Libano, chiedendosi "come potrebbero migliorare le cose quando lo Stato è senza presidente, in presenza di un gabinetto dimissionario e di un Parlamento sparso".