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Diplomazia pontificia, la posizione del Papa sulla Terrasanta

Una telefonata tra Papa Francesco e il presidente di Israele Herzog è stata rivelata da un media statunitense. La questione palestinese e quella ucraina negli interventi al multilaterale

Santa Sede, Israele | Le bandiere di Israele e Santa Sede | Archivio Vatican News Santa Sede, Israele | Le bandiere di Israele e Santa Sede | Archivio Vatican News

Proprio all’inizio del conflitto contro Hamas, Papa Francesco avrebbe avuto una conversazione telefonica con il presidente di Israele Isaac Herzog, e i torni non sarebbero stati piuttosto distensivi. Lo ha rivelato il Washington Post in un servizio, non incorrendo ancora in una smentita vaticana.

Molti gli interventi del multilaterale: all’OSCE, la Santa Sede è intervenuta al 30esimo ministeriale, rilanciando uno “spirito di Helsinki” per risolvere le controversie in Europa, mentre ci sono altri interventi su migrazioni e disarmi che hanno il loro peso. Il Papa ha scritto ai politici cristiani della regione andina. Panorama delle sfide europee in un intervento di monsignor Marco Ganci, osservatore della Santa Sede presso il Consiglio d’Europa, alla plenaria del Consiglio delle Conferenze Episcopali di Europa.

                                                    FOCUS PAPA FRANCESCO

Papa Francesco ha ricevuto una telefonata dal presidente Israeliano Herzog?

Papa Francesco avrebbe avuto una telefonata con il presidente israeliano Isaac Herzog il 7 ottobre, mentre Hamas stava lanciando l’attacco terroristico. Di fronte al presidente che descriveva l’orrore cui stavano assistendo, Papa Francesco aveva risposto: “È vietato rispondere al terrore con il terrore”.

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Le stesse parole sono poi riecheggiate nell’appello di Papa Francesco all’Angelus dello scorso 22 ottobre, quando il Papa ha dichiarato che “questa non è guerra. Questo è terrorismo”, senza specificare se si stesse riferendo solo alla situazione in Palestina, o se includesse anche la reazione israeliana.

È stato il Washington Post a rendere conto della telefonata, citando un funzionario israeliano, e sottolineando che il Vaticano non ha smentito la ricostruzione.

Sempre secondo il Washington Post, Herzog avrebbe protestato, ribadendo la posizione secondo cui il governo israeliano stava facendo ciò che era necessario a Gaza per difendere il proprio popolo, mentre il Papa avrebbe replicato che i responsabili dovevano essere ritenuti responsabili, ma non i civili.

La Sala Stampa della Santa Sede ha solamente confermato la telefonata tra il Papa ed Herzog, una telefonata che “come altre avvenute negli stessi giorni, si inserisce nel contesto degli sforzi del Santo Padre volti a contenere la gravità e la portata della situazione di conflitto in Terra Santa”. Un portavoce dell’ufficio del Presidente israeliano ha rifiutato l’opportunità di commentare, dicendo: “Non siamo propensi a fare riferimento a conversazioni private”.

Il Cardinale Parolin sostituisce Papa Francesco a Dubai

È stato il Cardinale Pietro Parolin a rappresentare Papa Francesco a Dubai per il COP28. Era una notizia attesa, confermata l’1 dicembre con una comunicazione ai giornalisti da Matteo Bruni, direttore della Sala Stampa della Santa Sede.

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"Posso confermare – ha dichiarato Bruni - che il Cardinale Segretario di Stato, Pietro Parolin, presiederà la Delegazione della Santa Sede già presente a Dubai in occasione della COP28, per portare, nella giornata di sabato 2 dicembre, il contributo che avrebbe desiderato pronunciare il Santo Padre. Il giorno seguente, domenica 3 dicembre, insieme al Cardinale Prefetto del Dicastero per il Dialogo Interreligioso, Miguel Ángel Ayuso Guixot, il Segretario di Stato parteciperà alla programmata inaugurazione del Faith Pavillion".

Sin dal COP21 di Parigi, summit in occasione del quale Papa Francesco aveva scritto la Laudato Si, la Santa Sede manda una delegazione di Alto Livello guidata dal Segretario di Stato vaticano.

La visita rafforza le relazioni tra Abu Dhabi e Vaticano, già molto forti dopo la visita del Papa nel 2019, la firma della Dichiarazione della Fraternità Umana e quindi la costruzione dell’Abrahamic Center.

Gli Emirati Arabi Uniti avevano stabilito un ministero per la Tolleranza già nel 2016, mentre l’Istituto Internazionale della Tolleranza è stata fondato nel 2017. Nel 2015, il Cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato vaticano, aveva visitato il Paese.

Santa Sede ed Emirati Arabi Uniti hanno stabilito rapporti diplomatici nel 2007, con lo scopo di sviluppare “reciproca amicizia” e di approfondire la “cooperazione internazionale”.

Prima dello stabilimento delle relazioni diplomatiche con la confederazione dei sette emirati, c’erano stati vari contatti tra Santa Sede ed Emirati. Il primo di questi contatti fu la visita non ufficiale dello sceicco Zayed bin Sultan al Nahyan a Giovanni Paolo II negli Anni Ottanta.

Papa Francesco scrive ai politici cristiani della regione andina

Il Papa ha inviato un messaggio a un gruppo di vescovi e laici con responsabilità politiche nella Regione andina bolivariana, che si sono riuniti dal 21 al 24 novembre a Bogotà, in Colombia, nella sede del Consiglio Episcopale Latinoamericano e Caraibico su iniziativa della Pontificia Commissione per l’America Latina.

La regione andina-bolivariana comprende Venezuela, Colombia, Ecuador, Perà e Bolivia. A quanti erano riuniti, Papa Francesco ha detto che c’è “bisogno di persone costruttrici di ponti di fraternità, capaci di introdurre la novità di uno stile samaritano in politica”.

Papa Francesco ha ricordato che la liberazione annunciata da Gesù “non si costruisce con l’estremismo, con il messianismo, con condanne sommarie o insulti. Tanto meno con l’aggressività e l’amarezza”.

Invece, ha aggiunto, “troveremo nuove strade per i nostri popoli solo a partire da cuori disposti a fare l’impossibile per dialogare con rispetto, per imparare dall’altro (anche dall’avversario), per fare della vita politica un esercizio di amicizia sociale, in cui tutti possiamo riconoscerci come fratelli e sorelle”. 

Secondo Papa Francesco, “gli spazi di potere non sono la cosa più importante. Ciò che è decisivo è realizzare processi che umanizzino la nostra convivenza e maturino la nostra coesione sociale costruendo la fraternità”.

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La Chiesa – ha chiosato il Papa – dà “un contributo insostituibile”, perché la sua missione “non è mero attivismo, ma la gioiosa proclamazione della buona novella che annuncia che la più grande amicizia sta nel dare la vita per i propri amici e amare i propri avversari”.
Il Papa ha messo in luce che “l’America Latina è una regione ricca di storia e cultura, con una profonda religiosità e belle esperienze di fraternità. Il nostro modo di essere latinoamericani è una sintesi meticcia che integra e concilia elementi di culture preispaniche e diverse tradizioni europee”. La storia dell’America Latina – ha notato – “mostra le ferite del peccato e anche gli effetti della redenzione” e il “meticciato latinoamericano in alcune parti è etnico e in molte parti della regione, culturale”, essendo così “molto più della somma delle sue parti”.

                                                         FOCUS EUROPA

Il Cardinale Tolentino Mendonça partecipa all’iniziativa sulla libertà religiosa del Parlamento portoghese

Il Cardinale José Tolentino Mendonça, prefetto del Dicastero per la Cultura e l’Educazione della Santa Sede, sarà relatore del convegno “Le religioni come patrimonio dell’umanità” insieme al presidente del Parlamento Augusto Santos Silva. Il convegno si terrà nel Senato portoghese il 13 dicembre, e sarà moderato dall'ex ministro della Giustizia, Francisca van Dunem.

Il convegno inaugurerà la mostra Os Caminhos da Liberdade Religiosa em Portugal , curata dal direttore di 7MARGENS, António Marujo, su invito di Augusto Santos Silva, chiudendo il ciclo di dibattiti promossi dal Parlamento in occasione del ventennio della Legge sulla libertà religiosa, legge 16/2001, del 22 giugno. A causa della pandemia, questa serie di iniziative è stata rinviata a quest’anno e si sono svolti i primi due colloqui, a giugno (su “ Democrazia e libertà religiosa ”) e a settembre, sul tema “ Libertà religiosa e libertà di espressione ”.

La mostra si concentra sugli ultimi 100 anni, ma la prima parte va più indietro, collegando al tema la storia dell'edificio del Parlamento stesso, poiché il Palácio de São Bento era un monastero benedettino. Questa storia è rievocata attraverso una delle campane del vecchio campanile, che poi apre sul percorso della conflittuale separazione della Prima Repubblica, degli anni della dittatura di Salazar e della discriminazione religiosa delle minoranze e della persecuzione di chi contestava la regime in nome della tua fede.

Nel catalogo sono presenti anche due testi del costituzionalista Jorge Miranda, sul percorso concettuale della libertà religiosa in Portogallo, e di Mota Amaral, già deputato dell'ala liberale alla fine dell'Estado Novo e presidente dell'Assemblea della Repubblica (2002 -2005).

 Il nucleo successivo sono i primi scontri e dibattiti tra il nuovo regime democratico e le confessioni religiose. La possibilità di divorzio per i matrimoni cattolici, siglato nel 1975, l'apertura dell'insegnamento religioso alle confessioni diverse da quella maggioritaria, la contrattazione sui tempi di trasmissione delle confessioni religiose sulla radio e televisione pubblica, sono alcuni degli episodi e dei dibattiti evocati, prima della stesura la nuova legge. Nella mostra sono presenti documenti originali e pezzi che evocano questi dibattiti, insieme a fotografie che si riferiscono ad eventi importanti.

                                                     FOCUS EUROPA

La Corte di Giustizia UE contro i simboli religiosi

Con una sentenza pubblicata lo scorso 28 novembre, il Tribunale di Giustizia dell’Unione Europea ha determinato che l’amministrazione pubblica può decidere di proibire l’uso visibile dei simboli religiosi a tutti i suoi impiegati al fine di stabilire un ambiente “completamente neutro”. Secondo la Corte, una norma di questo tipo non è discriminatoria se si applica in forma “generale e indifferenziata” a tutto il personale e si limita al necessario.

La sentenza nasce a seguito del caso di una impiegata della Municipalità di Ans, in Belgio, che lavora senza essere in contatto con gli utilizzatori del servizio pubblico, ma a cui è stato impedito di portare un velo islamico sul luogo di lavoro.

La Amministrazione municipale ha modificato il suo regolamento di lavoro per chiedere a tutti gli impiegati una “stretta neutralità” che proibisce qualche forma di proselitismo e di utilizzo di segni visibili che possano rivelare le proprie convinzioni ideologiche o religiose, norma che include quei lavoratori che non sono in contatto con il pubblico.

Il cambio della norma è stato considerato dall’impiegata come una violazione della sua libertà religiosa, facendone una vittima di discriminazione, e per questo la donna fatto ricorso alla giustizia belga, da cui si arrivò alla Corte Europea di Giustizia per comprendere se la norma imposta contravveniva al diritto dell’Unione Europea.

Nella sua sentenza, l’Alto Tribunale Europeo ha definito che “la stretta neutralità” può considerarsi “obiettivamente giustificata” per una finalità legittima, anche se è allo stesso modo giustificato che un’altra amministrazione possa decidere diversamente.

In pratica, la sentenza dà carta bianca ai Paesi che stabiliscono codici di abbigliamento secondo convenienza. La sentenza stabilisce una serie di criteri concreti cui riferirsi in tutti i casi. Ci deve essere prima di tutto coerenza: si devono eventualmente proibire tutti i simboli religiosi, e non solo alcuni.

In caso di differenze, si deve dare una spiegazione logica che spieghi il modo di vedere la neutralità del servizio pubblico.

Quindi, il diritto UE nota che la proibizione dei simboli religiosi nei luoghi di lavoro non entra in conflitto con la libertà religiosa individuale “se la normativa pubblica è conforme alla Costituzione e ai suoi valori di neutralità religiosa”.

L’Osservatore a Strasburgo interviene alla plenaria del CCEE

Nel corso dell’assemblea plenaria del Consiglio delle Conferenze Episcopali di Europa, monsignor Marco Ganci, Osservatore Permanente della Santa Sede presso il Consiglio d’Europa, è intervenuto dando una panoramica del lavoro del Consiglio d’Europa.

L’Osservatore ha ricordato che la Charta Oecumenica, il documento di cooperazione tra Chiesa cristiane in Europa di cui si sta discutendo l’aggiornamento, fu firmata proprio a Strasburgo, città

in cui hanno sede sia il Consiglio d’Europa che il Parlamento europeo.

“Credo – ha detto l’Osservatore - che tale scelta non fu un caso o una coincidenza, ma una vera e propria volontà dei leader religiosi dell’epoca per sottolineare la necessità sia di una seria riflessione sulla cara amata Europa che di un comune impegno ecclesiale per la promozione della giustizia e della pace”.

Monsignor Ganci ha poi notato che “il nostro Continente è lacerato e martirizzato dalla barbara aggressione in Ucraina, e afflitto anche dai conflitti nelle altre cosiddette zone “grigie” che interessano in modo diretto i Paesi membri del Consiglio d’Europa e il CCEE: Armenia-Azerbaigian, Georgia-Russia, Serbia-Kosovo, Turchia-Cipro”. Per questo ha proposto di organizzare un evento in occasione della futura firma dell’aggiornamento della Charta proprio a Strasburgo.

L’Osservatore ha poi notato che “la Santa Sede contribuisce attivamente alle molte tematiche trattate dalle istituzioni del Consiglio d’Europa tra cui la promozione e la protezione dei diritti alla vita, alla pace, alla libertà di coscienza e di religione, all’educazione, al rispetto della vita privata e familiare, alla salute, alla lotta contro povertà, esclusione e discriminazione, all’accoglienza dei migranti e rifugiati, al dialogo interculturale e interreligioso, e infine, ai temi di grande attualità come il terrorismo, l’intelligenza artificiale e la tutela dell’ambiente”.

Monsignor Ganci ha ricordato che il capitolo III dell’attuale Charta Oecumenica ha come tema “La nostra comune responsabilità in Europa”, e le linee guida coincidono con le attività del Consiglio d’Europa. “Le Chiese – ha detto - sono chiamate a contribuire a plasmare l’Europa, insieme, non da sole, avendo come unico obiettivo quello di promuovere una riconciliazione a livello europeo”.

Il dialogo tra le culture e religioni “appare quanto mai fondamentale” di fronte alla necessità di “combattere le crescenti divisione sempre più presenti”, e questa potrebbe essere una strada e un segno di speranza per ritrovare quella pace in Europa, a cui ci eravamo troppo bene abituati o assuefatti”.

Il Consiglio d’Europa celebra il suo 75esimo anniversario il prossimo anno, il Cardinale Pietro Parolin, intervenendo al quarto Vertice dei Capi di Stato e di Governo, che si è tenuto a Reykjavík, il 16 e 17 maggio 2023, ha ricordato che il "Consiglio d’Europa “is a peace project”, fondato e voluto, dopo la Seconda Guerra mondiale, per ricostruire l’Europa in uno spirito di mutuo servizio e per garantire la necessità di una convivenza pacifica tra i popoli di questo Continente”.

Lo stesso cardinale ha esortato a non tradire lo spirito dei Padri fondatori, e a pensare a “sforzi creativi di pace” per riuscire a sancire una pace definitiva e giusta in Ucraina e nelle altre zone grigie in Europa.

Monsignor Ganci ha sottolineato è “quanto mai appropriato rivalutare l’imprescindibile dialogo interreligioso, oltre che essenziale e fondamentale promuovere e far rispettare anche il diritto alla libertà religiosa, senza la quale ogni nostra attività e azione è preclusa e rimane inefficace”.

Il Consiglio d’Europa, ha poi aggiunto, è impegnato per una “azione coordinata nel contrasto al cambiamento climatico e la protezione dell’ambiente, anche attraverso lo studio di fattibilità di nuovi strumenti giuridici – considerando il vuoto legislativo finora esistente – per collegare in modo vincolante la protezione dell’ambiente ai diritti umani, e specialmente al diritto alla vita”. “La salvaguardia del creato – ha detto - è una sfida che riguarda tutti quanti, nessuno escluso e va affrontata in maniera sinodale, ecumenica, tutti insieme, uniti”.

Il monsignore ha poi delineato la necessità di “un rinnovato impegno ecumenico a livello europeo”, perché “viviamo in un mondo in cui tutto viene messo in discussione, dichiarato nullo ogni principio del diritto naturale, ogni comandamento, ogni ordine, ogni istruzione, ogni mandato. Si sta costruendo una società dove tutto è relativo, fluido e soggettivo, dove moltissimi si stanno convincendo che tutto oggi vada riscritto, in nome di nuovi diritti a discapito della stessa dignità dell’uomo, con la sola volontà di abolire le differenze che nascono dalla verità e dalla natura umana, conducendoci così nel grande buio spirituale e morale”.

L’auspicio di monsignor Ganci è che l’aggiornamento della Charta Oecumenica ribadisca “quel cammino di fede, che è stato già ricordato dai Presidenti delle Chiese europee nel ventesimo anniversario del Documento in parola, in cui ogni cristiano può ‘riaffermare insieme e in spirito di unità l’impegno a testimoniare Cristo nostro Salvatore e la sua promessa di una vita trasformata nella potenza dello Spirito Santo’.”

In questo modo – ha aggiunto – “la Carta ecumenica, intesa non come accordo ma conversione a Cristo e alla Sua piena Verità, potrebbe così, in un certo modo, riaffermare che è diritto dell’uomo – parlando appunto di diritti – conoscere la vera sorgente della salvezza che è Cristo Gesù; è suo diritto essere confortato con la grazia e la verità di Cristo Signore; è suo diritto raggiungere la vera salvezza nel tempo e nell’eternità; ma che anche è diritto dell’uomo nascere da una vera famiglia e non da uteri in affitto o madri surrogate; ed è suo diritto conoscere, amare, vivere con il proprio padre e la propria madre; e tanti altri diritti che ne seguono e che si potrebbero elencare. Calpestare uno solo di questi diritti è non amare l’uomo”.

Ha concluso l’Osservatore: “L’impegno concreto delle nostre Chiese sarà proprio quello di servire ed evangelizzare questa umanità che cambia e si evolve rapidamente. Siamo chiamati tutti a dare speranza a questo mondo, ognuno con la propria missione e responsabilità che ricopre nella società e nella Chiesa”.

Il significato della visita del presidente di Cipro a Papa Francesco

La visita del presidente di Cipro Niko Christodoulides a Papa Francesco ha avuto anche un peso simbolico, ha detto il portavoce del governo Kostantinos Letymbiotis, perché “il primo incontro del nuovo presidente con il capo della Chiesa Cattolica si è tenuto in occasione del cinquantesimo anniversario dello stabilimento delle relazioni diplomatiche tra Cipro e Santa Sede”.

Tra i temi in discussione nella visita, che ha avuto anche, come di consueto, un bilaterale in Segreteria di Stato con il Cardinale Pietro Parolin, gli accordi tra Cipro e Santa Sede su salute, educazione e cooperazione culturale. Ma si è parlato anche degli sforzi di riaprire i dialoghi su Cipro, cercando di risolvere la questione cipriota che vede l’isola tagliata in due, con la parte Nord occupata dalla minoranza turca che ha dato vita ad una Repubblica riconosciuta solo dalla Turchia. Il presidente ha parlato anche della distruzione della eredità culturale e religiosa del Nord, inclusi i monumenti cattolici. Si è parlato anche della iniziativa umanitaria di Nicosia per Gaza.

                                                 FOCUS AMERICA LATINA

Il presidente uscente argentino Fernandez non andrà in Vaticano

Non ci sarà nella prossima settimana la visita di congedo del presidente uscente di Argentina Alberto Fernandez a Papa Francesco. L’incontro sarà riprogrammato dopo il 10 dicembre, per permettere a Fernandez di dedicarsi in particolare alla transizione verso la nuova presidenza Milei.

La visita di Fernandez sarà così uno degli ultimi atti del presidente Fernandez.

Papa Francesco ha avuto una conversazione telefonica con Milei la scorsa settimana. Il Papa ha chiamato il nuovo presidente per congratularsi della sua elezione.

                                                 FOCUS MULTILATERALE

Santa Sede alle Nazioni Unite, sulla proibizione delle armi nucleari

Il 28 novembre, l’arcivescovo Gabriele Caccia, Osservatore Permanente della Santa Sede presso le Nazioni Unite, ha partecipato al secondo incontro degli Stati Parti del Trattato sulla Proibizione delle Armi Nucleari.

L’arcivescovo Caccia ha messo in luce nel suo intervento le catastrofiche conseguenze umanitarie e ambientali delle armi nucleari, e ha chiesto di sviluppare una “etica del disarmo” L’unica che potrebbe permettere di assolvere alle richieste del trattato.

L’arcivescovo Caccia ha chiesto per una pace basata sulla fraternità e la solidarietà, piuttosto che su un negativo concetto di sicurezza basato sulla deterrenza.

L’arcivescovo Caccia ha anche sottolineato che il trattato ha anche alcuni obblighi positivi, fornendo un mezzo essenziale di assicurare che le comunità colpite dall’uso e dai test delle armi nucleari possano ritornare nel percorso dello sviluppo integrale.

Santa Sede a Ginevra, contro le mine anti uomo

Il 24 novembre, l’arcivescovo Ettore Balestrero, Osservatore Permanente della Santa Sede presso le Nazioni Unite e altre organizzazioni internazionali a Ginevra, ha partecipato al 21esimo incontro degli Stati Parte delle Convenzione sulle Mine Anti-Uomo.

Nel suo intervento, l’arcivescovo Balestrero ha sottolineato che “le mine antiuomo e i dispositivi esplosivi che vengono attivati dalle vittime continuano ad essere usati da alcuni Stati e gruppi armati, provocando un tragico numero di vittime, inclusi molti bambini”.

La Santa Sede ha osservato “l’indiscriminata diffusione di mine anti-uomo in Ucraina”, sottolineando che si tratta di “un tragico esempio di come questi strumenti di morte stanno anche impedendo la diffusione di aiuto umanitario e mettendo in pericolo le attività agricole, ponendo una minaccia costante alla popolazione civile”.

L’arcivescovo Balestrero ha notato che l’uso di queste armi “include un approccio pericoloso e artificiale alla sicurezza”, che descrive tutti come un nemico. La risposta più efficace al problema delle mine antiuomo non può essere costituita dalle armi, piuttosto “da mediazione e riconciliazione”, perché “ogni persona cerca la pace”, ma “la vera pace e la sicurezza non possono mai essere basate sulla paura, che tende a minare la pace sul lungo periodo, anche in assenza di conflitto”.

I conflitti – ha aggiunto il nunzio – sfigurano i legami tra i popoli e tra gli Stati”, mentre sono i civili quelli a portare il peso della sofferenza. Per questo, la Santa Sede chiede “a tutti gli Stati che non lo hanno ancora fatto di aderire alla convenzione e nel frattempo di cessare la produzione e l’uso di mine”.

La Santa Sede sottolinea anche “rispettare le scadenze concordate” dalla convenzione significa “più che superare le obbligazioni legali”, ma è piuttosto “un modo di onorare la loro dignità”, e dunque vanno le scadenze vanno rispettate con “rinnovata urgenza e perseveranza, attraverso sincera cooperazione e solidarietà”, e la distruzione degli stoccaggi di mine anti uomo deve andare insieme all’assistenza alle vittime, in un approccio realmente olistico e preventivo”.

La Santa Sede ha omaggiato quanti hanno lavorato nel disinnesco delle mine e sono morti o sono rimasti feriti a causa del loro lavoro, che è “una risposta concreta alla nostra chiamata universale ad essere operatori di pace”.

L’arcivescovo Balestrero sottolinea che l’attenzione speciale per le vittime è di “grandissima importanza”, e deve continuare anche dopo la distruzione di tutti gli stoccaggi perché “un mondo senza mine antiuomo non è un mondo senza vittime”..

La persona umana va sempre messa al centro “assicurando una forma integrale di assistnza che tenga in considerazione i multipli bisogni delle vittime”. Tra i primi firmatari della legge, la Santa Sede è “fortemente convinta che nel mondo globalizzato di oggi dovremmo investire in strumenti di vita e pace, piuttosto che in strumenti di more e sofferenza indiscriminata e necessaria”.

La Santa Sede a Ginevra, alla Organizzazione Internazionale delle Migrazioni

Il 29 novembre, l’arcivescovo Ettore Balestrero ha preso la parola alla 114esima sessione del Consiglio della Organizzazione Internazionale delle Migrazioni, una delle organizzazioni internazionali cui la Santa Sede aderisce come Stato membro.

Prendendo le mosse dal Rapporto Mondiale delle Migrazioni che mostra come nel 2020 ci siano state almeno 281 milioni di persone che vivono in una nazione diversa dalla loro nazione di nascita, l’arcivescovo Balestrero ha notato che “guerre, persecuzioni, povertà e cambiamento climatico” sono “alcune delle cause principali delle migrazioni forzate di oggi”, considerando che a partire dal 2022 “nuove crisi, come la guerra in Ucraina e i disastri naturali nel Corno d’Africa” hanno causato sfollamenti di massa”.

La Santa Sede sottolinea che “c’è bisogno di fare ogni sforzo per fermare la corsa alle armi, il colonialismo economico, la razzia delle risorse di altre nazioni e la devastazione della casa comune”. Sempre più persone, infatti, sono “forzate a prendere rotte migratorie, rischiando le loro vite e a volte persino morendo e perdendo membri della famiglia”.

L’arcivescovo Balestrero ha chiesto di non arrendersi alla “cultura dell’indifferenza, che porta solo a più sofferenza umana e disperazione nella ricerca di agende politiche”.

La Santa Sede “incoraggia un dialogo più strutturato tra gli Stati da cui migranti partono, quelli in cui partono e quelli in cui si stabiliscono”, dialogo che potrebbe svilupparsi sulle questioni dell’espansione di canali migratori regolari e sicuri, un migliore coordinamento per operazioni di ricerca e salvataggio che salvi vite, e una riunificazione famigliare sicura e giusta”.

C’è inoltre preoccupazione per la sicurezza e il benessere del “sempre maggiore numero di minori in movimento, molti dei quali sono non accompagnati o separati dalla loro famiglie”, e dunque tutte le politiche e pratiche collegate a queste persone umane “dovrebbero sempre rendere prioritario il loro migliore interesse e la riunificazione famigliare a tutti i livelli”.

La Santa Sede chiede che i migranti siano “riconosciuti e rispettati come essere umani con diritti e dignità” senza considerare se il loro status sia regolare o irregolare”, e che il loro trattamento non dovrebbe essere determinato dalla mancanza di lavoro.

La Santa Sede chiede anche di cambiare il vocabolario con cui ci si riferisce al fenomeno migratorio, perché parlare di “emergenza”, “condivisione del peso”, “ricollocamento” e “invasione” riduce “migranti, rifugiati e richiedenti asilo a mere merci di scambio”.

La Santa Sede ha anche approvato l’impegno dell’OIM sul cambiamento climatico.

La Santa Sede al Ministeriale OSCE di Skopje

Tutti gli occhi del mondo sono stati puntati su Skopje, dove si è tenuto la scorsa settimana il 30esimo Consiglio Ministeriale dell’OSCE. Per la Santa Sede, ha preso la parola monsignor Daniel Pacho, sottosegretario per il settore Multilaterale della Sezione le Relazione con gli Stati e le Organizzazioni Internazionali della Santa Sede.

In un intervento dffuso il 30 novembre, monsignor Pacho ha notato che “l’umanità non ha ancora superato la minaccia della violenza e della devastazione”, considerando che ci si incontra mentre Stati membri e partner nella cooperazione come l’ucraina “vivono in tempi duri  terribili come” in conseguenza di conflitti recenti o che si protraggono da tempo, mostrando concretamente la “terza guerra mondiale a pezzi” di cui parla sempre Papa Francesco.

Vero, concede monsignor Pacho, ci sono molte sfide e le probabilità sembrano essere avverse, ma la Santa Sede riafferma fiducia e confidenza nell’OSCE, considerato “un importante strumento di pace, capace di rafforzare la fiducia tra gli Stati e rispettando e promuovendo i diritti e le libertà del loro popolo”.

Per questo, è “imperativo che l’OSCE utilizzi questa opportunità per dimostrare “la sua vera forza e capacità” durante questi anni che mettono alla prova, perché “l’OSCE è stato concepito, e dovrebbe continuare ad essere, uno strumento per costruire fiducia”, perché “senza un minimo di mutua fiducia è difficile portare rappresentanti di così molti Stati differenti per incontrarci intorno allo stesso tavolo” per discutere “i temi critici di sicurezza e cooperazione”.

Secondo la Santa Sede, l’OSCE è “ben attrezzato per affrontare i conflitti” perché “la sua forza risiede nel suo approccio unico basato su un concetto globale di sicurezza”, che va oltre il realistico approccio Stato centrico.

La Santa Sede origina il suo appoggio all’OSCE dal suo impegno per il Vangelo della pace, e resta pronta a cooperare per “tutte le autorità nazionali e internazionali”, così come con tutti i partiti e i partner per “salvaguardare l’immenso bene universale della pace”.

Soprattutto, tuttavia – ha aggiunto monsignor Pacho, “la pace è il dono che Dio ci ha dato” e dunque “costruire e consolidare la pace è un obbligo morale, una urgente responsabilità che deve essere rafforzata da una cultura di fiducia basata su un dialogo genuino e costruttivo”.

La Santa Sede nota che “dal momento della sua fondazione” l’OSCE ha “abbracciato la regola del consenso come pilastro fondamentale”, ed è una regola che si rifà al principio di “eguale sovranità di tutti gli Stati”, incoraggiando “le negoziazioni al di fuori delle alleanze e dei blocchi”.

Monsignor Pacho sottolinea che “costruire consenso richiede una volontà di ascoltare con cura a tutti gli altri Stati partecipanti, di prendere in considerazione le loro preoccupazioni e di fare compromessi”, cosa che può essere “estenuante ed ardua, e talvolta apparire impossibile”, ma che quando viene raggiunta fa sì che gli Stati vi si impegnino subito “rendendo l’OSCE più forte e resiliente”.

Ricordando il motto del ministeriale scelto dalla presidenza di turno della Macedonia del Nord – Riguarda la Gente – il “viceministro degli Esteri” vaticano sottolinea che “tutte le persone, specialmente i giovani e le generazioni future, meritano un ordine internazionale pacifico basato sull’unità della famiglia umana e fondato su rispetto, cooperazione, solidarietà e compassione”.

Quindi, monsignor Pacho ha rilanciato l’idea di “un nuovo spirito di Helsinki” che era già stata del cardinale Parolin, il quale aveva visto nel percorso che aveva portato al Trattato di Helsinki un esempio di nuovi percorsi di pace e cooperazione in Europa.

La Santa Sede a New York, disarmo e non proliferazione

L’1 dicembre 2023, la missione della Santa Sede presso le Nazioni Unite ha partecipato al Secondo Incontro degli Stati Parte sul Trattato sulla proibizione delle armi nucleari, e in particolare alla discussione sulle “Complementarietà del Trattato con il disarmo nucleare esistente e il regime di non proliferazione.

Secondo la Santa Sede, il Trattato per la Proibizione delle Armi Nucleari “complementa e progredisce” l’implementazione dell’articolo VI del Trattato di Non Proliferazione Nucleare, che resta “pietra miliare del disarmo e del regime di non proliferazione”. Per quanto riguarda invece il Trattato Globale di Bando dei Test Nucleari, la delegazione della Santa Sede apprezza l’attenzione data ad un potenziale Sistema di Monitoraggio Internazionale che contribuisca all’effettiva implementazione di obblighi positivi sotto il Trattato per la Proibizione delle Armi.

La Santa Sede supporta anche il rapporto dei co-facilitatori, focalizzato soprattutto sulla creazione di zone libere da armi nucleari e che hanno fatto progredire le norme anti-nucleari. Secondo la Santa Sede, ci vuole maggiore impegno tra gli Stati parte del Trattato e il Comitato Scientifico delle Nazioni Unite sugli effetti delle Radiazioni Atomiche.

La Santa Sede a New York, la questione del gender nel trattato sulla proibizione delle armi nucleari

La questione del gender viene introdotta anche in trattati dove sembrerebbe un tema lontano, come è il Trattato sulla Proibizione delle Armi Nucleari. E delle “gender provisions” del Trattato si è discusso l’1 dicembre alle Nazioni Unite di New York.

L’arcivescovo Gabriele Caccia, Osservatore della Santa Sede presso le Nazioni Unite, ha notato che gli effetti delle radiazioni di armi nucleari colpiscono in maniera sproporzionata donne e bambini, e ha posto il problema che le attuali cornici regolamentari sull’esposizione a radiazioni siano inadeguate per proteggere donne, bambini e non nati.

L’arcivescovo Caccia ha chiesto studi ulteriori per comprendere il perché di questa sproporzione.

Tuttavia, la Santa Sede ha fatto anche sapere che i nuovi accordi hanno “elementi problematici che si distaccano dell’approccio originale del trattato, includendo linguaggio non definito sul gender e linguaggio divisivo sulle cure mediche”.

                                                        FOCUS AMBASCIATORI

Presenta le credenziali l’ambasciatore di Slovenia presso la Santa Sede

Il 2 dicembre, Franc But, ambasciatore di Slovenia presso la Santa Sede, ha presentato le sue credenziali a Papa Francesco.

Classe 1962, sposato con due figli, ha una lunga carriera diplomatica alle spalle, con una particolare expertiese sui temi dell’agricoltura e lo sviluppo rurale.

È stato dal 2000 al 2004 e poi Segretario di Stato per gli Affari europei, Ministero dell’Agricoltura, delle Foreste e dell’Alimentazione (2004 – 2006).

Dal 2006 al 2010 ha servito Ambasciatore di Slovenia nella Repubblica Ceca, mentre dal 010 al 2014 è stato Ambasciatore nella Repubblica di Serbia.

Rientrato in patria, ha servito come Consigliere del Ministro per la cooperazione economica e la diplomazia economica, Gabinetto del Ministro, MAE (2014 – 2015) e Capo del Dipartimento per la cooperazione economica bilaterale, MAE (2016 – 2017).

Dal 2017 al 2022 è stato ambasciatore in Germania e dal 2022 al 2023 ha ricoperto l’incarico di Ambassador-at-Large per il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite (da agosto 2022 – settembre 2023).

Nel settembre 2022, ha ricevuto l’incarico di Inviato speciale della Repubblica di Slovenia per la candidatura slovena a un seggio non permanente nel Consiglio di sicurezza dell'ONU per il periodo 2024-2025. Quindi, è stato nominato. Inviato speciale del Ministero degli Affari Esteri ed Europei per l'Africa per la durata del mandato della Slovenia quale membro non permanente del Consiglio di sicurezza dell'ONU (da novembre 2023).