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Diplomazia pontificia, la reazione a Fiducia Supplicans

Il Cardinale Parolin, Segretario di Stato vaticano, non si tira indietro e commenta le reazioni a Fiducia Supplicans. Il presidente argentino invita ufficialmente Papa Francesco

Parolin, Lincei | Il cardinale Parolin il 12 gennaio 2024 all'Accademia dei Lincei | Vatican Media Parolin, Lincei | Il cardinale Parolin il 12 gennaio 2024 all'Accademia dei Lincei | Vatican Media

Bene i fermenti che aiutano a portare alla verità. In maniera diplomatica, senza sbilanciarsi né dare giudizi sulla questione, il Cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato vaticano, ha accettato di rispondere ad una domanda su Fiducia Supplicans, la dichiarazione del Dicastero della Dottrina della Fede che apre a benedizioni “non rituali” per coppie irregolari. È la prima volta che dalla Segreteria di Stato arriva un commento sulla questione.

In attesa di una programmazione, il presidente argentino Javier Millei ha inviato un invito ufficiale a Papa Francesco per visitare il Paese. Il Papa ha detto di voler tornare in Argentina durante l’anno. Si pensava che il viaggio potesse avere luogo in concomitanza con la canonizzazione di Madre Antula, ma questa avverrà, come di consueto, a Roma il prossimo 11 febbraio, ed è già inserita nel calendario del Papa.

Papa Francesco ha anche scritto una lettera a Sua Beatitudine Sviatoslav Shevchuk, capo della Chiesa Greco Cattolica Ucraina, garantendo il suo impegno perché la guerra in Ucraina non si trasformi in un conflitto dimenticato.

                                                           FOCUS DOTTRINA

Fiducia supplicans, la posizione del Cardinale Pietro Parolin

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Non si è tirato indietro alle domande sulla Fiducia Suppplicans, il Cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato vaticano, a margine di un evento alla Pontificia Accademia dei Lincei. Il capo della diplomazia vaticana ha dovuto rispondere anche alle domande sulle prese di posizione di episcopati di tutto il mondo riguardo la dichiarazione del Dicastero della Dottrina della Fede che apre a benedizioni non rituali e pastorali anche a coppie non regolari, cioè divorziati risposati ed omosessuali.

La dichiarazione ha visto una serie di reazioni diverse in tutto il mondo, che vanno dal tiepido al freddo, passando per l’esultanza di alcune aree più progressiste (Germania, Belgio). L’11 gennaio, il Simposio delle Conferenze Episcopali di Africa e Madagascar (SECAM), riunito in plenaria, ha rilasciato una dichiarazione spiegando come anche delle benedizioni non rituali potrebbero essere fonte di scandalo e per questo la Chiesa africana per ora non darà seguito alla possibilità. Ma non sono gli unici ad essersi arrampicati sui distinguo per rispondere al documento della Dottrina della Fede, tra l’altro difeso dal suo estensore, il Cardinale Victor Fernandez, in diverse interviste.

Il Cardinale Parolin non è nuovo a sortite sui temi morali. Aveva definito “una sconfitta per l’umanità” i risultati del referendum che aveva introdotto le nozze omosessuali in Irlanda nel 2015. Il Cardinale non ha mai mancato di mostrare la sua preoccupazione per il percorso sinodale in Germania.

Cosa ha detto il Cardinale commentando i fermenti che sono nati a seguito della Fiducia Supplicans?Se questi fermenti servono a camminare secondo il Vangelo per dare risposte all'oggi, benvenuti anche questi fermenti”.

Il Segretario di Stato vaticano ha notato che il documento “ha suscitato delle reazioni molto forti, questo vuol dire che si è toccato un punto molto delicato, molto sensibile; ci vorranno ulteriori approfondimenti”. Parolin non ha voluto fare valutazioni sul documento, e non ha voluto dire se si trattasse di un errore o meno, ma solo che si è “toccato un punto molto sensibile”.

Il Segretario di Stato vaticano ha anche notato che c’è sempre stato “il cambiamento nella Chiesa, la Chiesa è aperta e attenta ai segni dei tempi ma deve essere fedele al Vangelo”.

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                                                           FOCUS AMERICA LATINA

Argentina, invito ufficiale a Papa Francesco

Dopo l’invito ufficiale dei vescovi argentini, è arrivato anche quello del presidente Javier Millei, che pure in campagna elettorale si era prodotto in affermazioni molto dure nei confronti di Papa Francesco. Millei, che ha avviato un piano di riforme e di liberalizzazione durissimo che rischia di accrescere il divario sociale, ha comunque dato seguito all’invito dei vescovi, inviando formalmente una lettera al Papa perché visiti la sua patria nel corso di quest’anno, come lo stesso Papa ha detto di aver desiderio di fare.

“Lei sa bene – ha scritto Millei in una lettera datata 8 gennaio e diffusa il 10 gennaio dalla Casa Rosada – che non ha bisogno di inviti per venire nella sua amata Argentina”. Tuttavia, il presidente scrive che “a rischio di dire ciò che non è necessario dire, la invito a visitare la nostra amata Patria, nelle date e luoghi che vorrà proporre, tenendo presente il desiderio generalizzato delle nostre città, province e popoli di poter contare sulla sua presenza per trasmetterLe l’affetto filiale”.

Millei scrive poi che “come presidente della nazione Argentina, ritengo che il suo viaggio trarrà frutti di pacificazione e di fratellanza per tutti gli argentini, ansiosi di superare le nostre divisioni. So che il tempo è ridotto. Ma spero comunque che possa venire, per l’allegria generale di tutto il popolo argentino”.

L’arcivescovo Peña Parra a Panama per i cento anni di relazioni diplomatiche

Nel suo discorso di inizio anno al Corpo diplomatico lo scorso 8 gennaio, Papa Francesco ha ricordato anche il centenario delle relazioni diplomatiche tra Santa Sede e Panama. Anche per celebrare questo anniversario, l’arcivescovo Edgar Peña Parra, sostituto della Segreteria di Stato vaticana, è stato a Panama dove lo scorso 6 gennaio ha presieduto messa in occasione della Giornata di Preghiera per la Pace e la Giustizia. La Messa è stata celebrata nella Cattedrale di Santa Maria La Antigua a Panama.

Nella sua omelia, il sostituto della Segreteria di Stato vaticana ha messo in luce che la pace non è solamente “una conquista umana”, ma anche “un dono che viene dall’alto”, e ha ricordato che la promozione della giustizia e della pace è nello stesso cuore dell’evento cristiano.

Il sostituto della Segreteria di Stato ha anche fatto una visita di cortesia al presidente di Panama Laurentino Cortizo. Panama e Santa Sede hanno relazioni diplomatiche dal 1923.

                                                           FOCUS UCRAINA

Ucraina, conversazione telefonica tra il Cardinale Parolin e Andry Yermak

Andriy Yermak, capo dell’ufficio del presidente ucraino Volodymir Zelensky, ha avuto lo scorso 8 gennaio una telefonata con il Cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato della Santa Sede. Yermak si è congratulato con il capo della diplomazia vaticana per l’Ordine di Merito di II classe da lui ricevuto, una delle più alte onorificenze dello Stato ucraino conferita al porporato dal presidente Volodymir Zelensky.

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Una decorazione, ha detto Yermak, che “conferma il suo personale contributo significativo alla sovranità e integrità territoriale ucraina”.

La due parti – fa sapere l’ufficio della presidenza ucraina – hanno discusso le conseguenze degli ultimi attacchi missilistici sulle aree ucraine popolate portate avanti dall’aggressore. In particolare, si è parlato degli attacchi del 29 dicembre, che sono arrivati a toccare Lviv, nella zona occidentale del Paese, hub di aiuti umanitari ma generalmente lontano dalle zone di guerra, e poi quelli successivi del 2 gennaio e dell’8 gennaio.

Yermak ha dichiarato che “la Russia continua a distruggere infrastrutture civile e case degli ucraini. Nonostante queste sfide, continuiamo a lavorare e combattere. Il nostro morale è molto forte e crediamo nella nostra vittoria”.

Yermak e il Cardinale Parolin hanno discusso anche il coinvolgimento vaticano nell’implementazione degli aspetti umanitari della Formula di Pace Ucraina – l’ultimo incontro sulla formula di pace ha avuto luogo a Malta, ed ha visto la partecipazione della Santa Sede con un videomessaggio del Cardinale Pietro Parolin ma anche con la presenza costante del nunzio a Malta, l’arcivescovo Savio Hon.

In particolare, la Santa Sede è coinvolta nell’iniziativa “Bring Kids Back UA” (Riportare i bambini in Ucraina), come si è visto nelle missioni del Cardinale Matteo Zuppi (anche lui decorato dal governo Zelensky) in Ucraina, Russia, Stati Uniti e Cina. A seguito delle missioni, si è stabilito un protocollo di scambio di liste di bambini, anche se il conto è drammaticamente diverso se visto da parte russa (dove non si parla di deportazione) e da parte ucraina.

Il prossimo incontro della Formula di Pace ucraina si terrà a Davos, e ci dovrebbe essere anche lì un partecipante della Santa Sede.

Papa Francesco scrive a Sua Beatitudine Shevchuk

Dopo gli attacchi russi contro Leopoli nei giorni immediatamente successivi al Natale, l’arcivescovo maggiore Sviatoslav Shevchuk, capo della Chiesa Greco Cattolica Ucraina, aveva preso carta e penna e aveva scritto a Papa Francesco, per chiedere che la guerra in Ucraina non diventasse una “guerra dimenticata”.

Papa Francesco ha risposto con una lettera lo scorso 3 gennaio. Papa Francesco ha ringraziato delle informazioni riguardo “il massiccio attacco missilistico” sferrato nel territorio ucraino e sottolinea di “di condividere gli stessi sentimenti di sdegno e di dolore da Lei provati di fronte a tali operazioni belliche che, avendo colpito la popolazione civile e le infrastrutture vitali dell'intero Paese, sono ignobili, inaccettabili e non possono essere giustificate in nessun modo”.

Il Papa si è detto dispiaciuto che “in un contesto internazionale sempre più drammatico, quella in Ucraina rischi di diventare una guerra ‘dimenticata’,” e ha affermato che è un dovere “non permettere che cada il silenzio”, e “non semplicemente per tenere vivo l'orrore di fronte a fatti cosi tragici, ma soprattutto per impegnare tutti quelli che hanno responsabilità e la comunità internazionale nella ricerca di soluzioni pacifiche”.

Papa Francesco ha ricordato che non ha mai perso occasione di porre l’attenzione sulla guerra in Ucraina, e ha affermato che continuerà “a farlo, lanciando vibranti appelli affinché cessi in Ucraina il fragore delle armi e si avviino percorsi di giusta pace”.

Ucraina, le confessioni cristiane condannano l’ideologia del “Mondo russo”

I capi delle confessioni cristiane di Ucraina, a partire da Sua Beatitudine Sviatoslav Shevchuk, capo e padre della Chiesa Greco Cattolica Ucraina, e dal metropolita Epifanio, capo della Chiesa Ortodossa Ucraina, si sono uniti in una dichiarazione congiunta con la quale condannano l’ideologia del “mondo russo” nata e promossa in seno al Patriarcato di Mosca, supportano la richiesta di valutare la responsabilità morale o di altro tipo dello stesso patriarcato, ed esprimono gratitudine agli Stati e ai popoli che sostengono l’Ucraina nella sua lotta all’indipendenza dall’imperialismo russo.

La dichiarazione è stata firmata lo scorso 10 gennaio, e rappresenta l’ennesima richiesta di andare a fondo nella comprensione e la condanna dell’ideologia del “mondo russo”, che rappresenta la piattaforma concettuale sulla quale si basa e viene giustificata l’aggrssione su larga scala della Russia contro l’Ucraina.

Nella dichiarazione, i leader cristiani ucraini fanno risalire la guerra già alle prime aggressioni del 2014, e conteggiano centinaia di migliaia di morti inclusi 520 bambini.

I capi delle confessioni cristiane notano che l’ideologia sciovinista del “mondo russo” si attua sotto una forma di dittatura conosciuta come “rascismo”. L’ideologia del “mondo russo” “contiene la negazione del diritto della nazione ucraina all’autodeterminazione, allo sviluppo sovrano, al proprio stato, alla lingua, alla storia, all’identità culturale e alla libertà di religione e, in definitiva, alla sua esistenza”, e questo si nota dal fatto che sia i vertici del governo russo che il Patriarcato di Mosca e altre strutture religiose legate al governo nonché “i media di propaganda” sostengono da anni che “gli ucraini non esistono come popolo e che la nazione ucraina è stata creata artificialmente”.

I leader cristiani ucraini mettono in luce che il Patriarcato di Mosca ha propagandato l’ideologia del mondo russo, venendo meno ai “fondamenti della fede cristiana in quanto tale”, perché “incitare all'inimicizia e condurre una guerra basata sull'ideologia del ‘mondo russo’ viola i principi cristiani e contraddice le norme spirituali che la Chiesa dovrebbe incarnare. Questa ideologia oggi è una sfida alla predicazione del Vangelo nel mondo moderno e distrugge la credibilità della testimonianza cristiana, indipendentemente dalla denominazione”.

Denunciano, i capi religiosi cristiani ucraini, che gli slogan “protezione della lingua russa”, “denazificazione” e “desatanizzazione” dell’Ucraina non solo incarnano l’ideologia del mondo russo, ma servono anche come giustificazione per omicidi di residenti filo - ucraini nelle zone temporaneamente occupate.

“Missili, droni e mezzi di artiglieria russi – notano i religiosi - ogni giorno uccidono gli ucraini e distruggono monumenti storici e culturali, in particolare quelli legati all’identità e al patrimonio spirituale ucraino. In particolare, ad oggi si calcolano oltre 600 edifici religiosi distrutti o danneggiati. Gli occupanti saccheggiano e distruggono musei, archivi, teatri e biblioteche ucraine, introducendo l'ideologia del ‘mondo russo’ nel campo religioso, culturale, educativo, politico e in altri campi”.

I leader cristiani dell’Ucraina notano che per questo l’invasione dell’Ucraina è una minaccia “per le tradizioni cristiane”, ma anche per le altre confessioni religiose, laddove la Chiesa ortodossa russa insieme ad una serie di unioni protestanti “non mostrano alcun desiderio di unità cristiana e di pace, bensì approvano e incoraggiano l’astio e l'odio verso il popolo ucraino e l'intero mondo libero”.

                                                           FOCUS AFRICA

Camerun, il nunzio Bettencourt inizia la sua missione

Arrivato in Camerun qualche tempo fa, l’arcivescovo Josè Avelino Bettencourt, nunzio apostolico, ha presentato le sue lettere credenziali al presidente Paul Biya lo scorso 29 dicembre. Il 25 dicembre, aveva celebrato la Messa di Natale nella cattedrale di Notre-Dame des Victoires di Yaoundé.

Alla presentazione delle lettere credenziali, erano presenti Ferdinand Ngoh Ngoh, ministro di Stato e segretario generale della Presidenza della Repubblica, e Lejeun Mbella Mbella, ministro degli Affari Esteri.

Nella prime settimane di permanenza in Camerun, l’arcivescovo Bettencourt ha compiuto varie visite di carattere pastorale e istituzionale.

                                                           FOCUS MEDIO ORIENTE

Iraq, il Cardinale Sako stabilisce una unità di crisi contro l’esodo dei cristiani iracheni

Il Cardinale Rafael Sako, patriarca dei Caldei, ha lanciato la scorsa settimana un allarme sulla continua emigrazione dei cristiani, i quali sono sempre più “marginali” nel Paese e non hanno risposte dal governo. Il testo del cardinale Sako è stato pubblicato sul sito del Patriarcato Caldeo, e diffusa in traduzione italiana da Asia News.

Il patriarca, che ha lasciato la sede di Baghdad e si trova a Erbil per protesta contro una legge del governo che cambiava una norma e metteva a rischio le proprietà della Chiesa caldea. Il Cardinale Sako nota che a lasciare l’Iraq sono spesso “i settori più istruiti” della popolazione, i quali lasciano non solo per ragioni economiche, ma anche a causa delle divisioni delle Chiese.

Il Cardinale Sako ha chiesto di avviare una “unità di crisi”, di fronte ad una nazione dove “non vi è strategia, sicurezza o stabilità economica”, e dove vi è una “duplice” applicazione dei concetti di democrazia, libertà, costituzione, diritto e cittadinanza da parte di chi dovrebbe essere al servizio del Paese e dei suoi abitanti, cosa che ha indebolito le istituzioni, fatto peggiorare i servizi e permesso di svilupparsi ad una “diffusa corruzione” e ad una “crescente disoccupazione”.

Il Cardinale ha anche denunciato che la politica di emarginazione dei cristiani è parte di un tentativo “deliberato” di cancellare il patrimonio cristiano dalla terra di Iraq. Il Patriarca poi ha ricordato che negli ultimi 20 anni oltre un milione di cristiani (su un totale di meno di 1,5 milioni) sono fuggiti, mentre solo nelle ultime settimane “oltre 100 famiglie hanno lasciato Qaraqosh e sono emigrate”, mentre i partiti cristiani “sono divisi e alla perenne ricerca di potere e denaro”, mentre i cristiani all’estero “non sono riusciti a creare una lobby” per sostenere chi è rimasto a causa “del loro fanatismo”.

Il Cardinale punta il dito anche contro le profonde divisioni che ci sono all’interno della Chiesa, e chiede unità dei partiti e delle Chiese cristiane, perché “senza unità, il Paese sarà svuotato della sua componente indigena”.

                                                           FOCUS AMBASCIATORI

Il discorso del decano del Corpo diplomatico

Come tradizione, l’incontro di Papa Francesco con i membri del corpo diplomatico è iniziato con un discorso di indirizzo del decano degli ambasciatori accreditati presso la Santa Sede. Si tratta dell’ambasciatore di Cipro Georges Poulides, che rappresenta Nicosia in Vaticano dal 2003 ed è l’unico ambasciatore in carica che ha presentato le credenziali a Giovanni Paolo II.  

Nel suo intervento, Poulides ha ringraziato il Papa perché “ci suggerisce in modo incessante vie e azioni per risolvere i tanti problemi del mondo contemporaneo e ci avverte con lungimiranza delle sfide del domani di fronte alle quali dovremmo iniziare ad attrezzarci”, e ha ricordato che il Papa, prima di altri “ha sentito soffiare i venti delle tempeste odierne e la loro portata globale. Potenziali sfide che nel tempo si sono concretizzate in reali crisi umanitarie, climatiche, economiche, belliche, che richiedono risposte comuni e multilaterali come da Lei suggerito in moltissime occasioni”.

Poulides ha poi sottolineato che “il mondo globale in cui viviamo oggi ci impone riflessioni comuni e ci invita a credere nuovamente nei valori della diplomazia multilaterale”, considerando che “tematiche presenti come la crisi climatica e questioni del futuro imminente come l’utilizzo dell’intelligenza artificiale richiedono approcci comuni e di unità, poiché le conseguenze saranno globali”.

L’ambasciatore ha anche ripercorso i momenti diplomatici salienti dell’anno appena passato, ricordando l’impegno del Papa per la cura del creato con la pubblicazione dell’esortazione Laudate Deum e la richiesta di armonia tra le religioni lanciato durante il viaggio in Mongolia, nonché la visione della “diplomazia dell’uomo per l’uomo” lanciata dal Papa a Kinshasa durante il viaggio in Repubblica Democratica del Congo e Sud Sudan del febbraio 2023.

Ma, ha detto Poulides, “in questo viaggio ideale, ripercorrendo le orme da Lei impresse sulle terre del nostro pianeta e sui campi spirituali delle nostre anime, ci è fatto obbligo di ricordare quanti perdono la vita nelle migrazioni, in fuga da guerre e conflitti, allontanandosi da terre aride e centri urbani senza prospettiva e quanti di loro, purtroppo, trovano la morte nel Mediterraneo”.

                                               FOCUS SEGRETERIA DI STATO

Il Cardinale Parolin parla di Santa Sede e scenari per la pace

Lo scorso 12 gennaio, il Cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato vaticano, ha parlato alla Conferenza “La Santa Sede e gli scenari per la pace” presso l’Accademia dei Lincei.

Nel suo discorso, il Cardinale Parolin ha ricordato che oggi è “ritornato preponderante il conflitto tra l’imporsi dei conflitti e i desideri di pace”.

Ma in che modo la Santa Sede concorre agli sforzi mondiali per avviare o stabilizzare processi di pace? È una attenzione che “va oltre il solo annuncio del messaggio cristiano”, ha la volontà di “salvaguardare anche quei valori fondativi che, parte delle diverse esperienze culturali e religiose, operano nei rapporti tra le Nazioni”.

Il capo della diplomazia vaticana ha notato che “se valori e diplomazia sono tra loro interconnessi, una lettura della prassi mostra che tempi e situazioni non sempre sono tra loro interdipendenti”, tanto che capita di osservare l’azione diplomatica perseguire “finalità certamente positiva”, sena però interrogarsi “su quali valori fondare processi o delineare soluzioni”.

Il Cardinale Parolin nota che “la fase storica che stiamo vivendo domanda una governance degli assetti internazionali che sia sinonimo di sicurezza e coesistenza pacifica, di rispetto della dignità umana e dei diritti conseguenti, e ancora veicolo di uno sviluppo solidale realmente umano”.

La Santa Sede – nota il Segretario di Stato vaticano – “nell’azione diplomatica si unisce agli intenti che maturano nel contesto internazionale per raggiungere quell’ordine tra le persone, i popoli e le nazioni che è una delle garanzie per la pacifica coesistenza”, adoperandosi perché si strutturi “una ordinata convivenza mondiale”, cosciente “che si tratta di un ordine applicato ad una realtà, quella umana, nella quale si manifestano cambiamenti e sviluppi sempre nuovi”.

Il Cardinale Parolin si sofferma poi sull’azione diplomatica della Santa Sede, che “è organizzata secondo le regole della diplomazia permanente”, ed è “un servizio alla famiglia umana, con un atteggiamento dettato dalla piena coscienza di poter concorrere a un futuro di stabilità e sicurezza per i popoli e gli Stati, nella loro storia e identità”.

Il Cardinale Parolin descrive una rete “complessa nelle attività e ben strutturata, che al centro ha il riferimento unico nella Segreteria di Stato con le sue tre Sezioni, quella per gli affari generali, quella per i rapporti con gli Stati e le Organizzazioni internazionali e quella per il personale diplomatico”, mentre “sul terreno la figura centrale è il Rappresentante Pontificio sul quale ricade la responsabilità di rapporti instaurati con le diverse componenti delle Chiese locali o quelli realizzati con i Governi, gli apparati statali, gli organi propri e i membri delle Organizzazioni intergovernative”.

Il Cardinale nota che la Santa Sede ha dei solidi intenti basati sulla spiritualità, e questo “dà alla Santa Sede la piena coscienza di non esercitare un potere, né di cercare privilegi di sorta”.

Soffermandosi sul termine pace, il Cardinale Parolin afferma che “nel linguaggio della diplomazia risulta, invece, un traguardo complesso, declinato in una molteplicità di aspetti riassunti dal paradigma della pacifica coesistenza tra i membri della Comunità internazionale”, e dunque la pace è “allo stesso tempo un metodo per la diplomazia e un traguardo al cui raggiungimento essa collabora, favorendo le modalità di rapporti, il reciproco rispetto e la collaborazione tra i protagonisti della vita internazionale”.

L’impostazione della Santa Sede “consente di pensare, e forse ripensare in ragione dei conflitti attualmente in atto, al vero significato da attribuire alla relazione e al suo significato nella politica internazionale”, perché “per la Santa Sede, le soluzioni individuate o percorse, accanto al dato tecnico, debbono essere necessariamente comprendere autentici e precisi limiti che non possono giustificare posizioni di forza, né violare il principio di leale cooperazione”, che “costituiscono fattori determinanti perché le soluzioni adottate si possano realizzare e avere continuità, pure a fronte di mutamenti o di nuovi rischi che subentrano nella quotidianità delle relazioni internazionali”.

D’altro canto, l’assenza di limiti “costituisce un punto di forte criticità nella conduzione di un conflitto in cui si violano le norme del diritto internazionale umanitario, come pure nelle forme di autodifesa previste dall’Art. 51 della Carta delle Nazioni Unite”, e le conseguenze più evidenti “sono l’estensione territoriale dei conflitti e l’attuazione di processi di isolamento e di cancellazione delle identità di popoli e di comunità”.

Il Cardinale Parolin nota che la Santa Sede coglie e sottolinea la “complessa realtà dei cambiamenti”, e “pensando ai conflitti, sono non solo un esempio, ma una precisa linea politico-diplomatica la mancata adesione di diversi attori agli impegni internazionali per il non uso di armi con effetti di distruzione di massa o per la messa al bando della loro produzione”.

Preoccupa di ogni cosa “la denuncia degli impegni già sottoscritti”, che mostra come “siano mutate – o addirittura si siano perse – visioni eticamente ispirate, principi morali e concezioni anche religiose che fondano le regole giuridiche”.

Ci sono poi nuove sfide, come quella dell’intelligenza artificiale, che “interroga la diplomazia relativamente all’uso di tecnologie sofisticate nei conflitti”. Il Cardinale Parolin afferma che “alla diplomazia, quale espressione dell’agire politico, è richiesto di dare risposte o suggerire azioni, ma ben ancorate all’oggi del mondo e della storia”.

Parolin rimarca che “la crisi dei valori tradizionalmente condivisi, domanda di operare delle scelte con coscienza e conoscenza da parte del diplomatico chiamato a prospettare soluzioni, a fornire idee ma in piena sintonia con i dati reali”. Ricorda poi che la Santa Sede ha una “ampia” prospettiva da coprire e deve necessariamente curare “l’analisi delle situazioni che riguardano Paesi e territori”.

“Per la diplomazia pontificia – afferma il Segretario di Stato - il dovere di non escludere, ma di includere è garanzia per ricucire i più tenui segni di buona volontà delle parti in conflitto così da avviare una pacificazione”.

L’approccio resta “realistico”, naturalmente deputato ad evitare le tensioni, e questo “confonde quegli interlocutori intenti solo a circoscrivere le soluzioni nel perimetro di interessi particolari”.

Ed è anche a causa del realismo che spinge “persone ed autorità di diversa fede religiosa, come pure quanti non credono, a guardare alla Santa Sede sorretti dalla volontà di un maggiore dialogo, di una più fluida comprensione tra posizioni contrapposte a tutto vantaggio del bene comune della famiglia umana e delle sue diverse componenti. Lo si sperimenta nei contesti internazionali quando la pace passa attraverso la difesa di diritti fondamentali, e in particolare quello alla libertà di religione, e le posizioni della Santa Sede sono espresse non in funzione dei cattolici o dei cristiani, ma di ogni credente”.

Il cardinale Parolin nota che il metodo “nel privilegiare la relazione favorisce il dialogo tra persone appartenenti a diverse etnie, culture, lingue e visioni religiose o etiche, nella convinzione che in questa diversità trova concretezza il futuro di popoli, la stabilità istituzionale degli Stati, e in particolare una concreta condotta di pace”.

Non basta comunque più discutere di strategie e programmi, e “la cooperazione per essere funzionale alla pace deve arricchirsi di componenti sempre nuove e cioè rispondenti ai tempi, comprese quelle che a motivo della loro complessità richiedono analisi approfondite”.

Per il Cardinale, ci sono questioni globali che hanno poi approcci più locali, e pensa “non solo ai conflitti armati, ma alla crisi climatica e ambientale, alla mobilità umana, agli indici di sviluppo e sottosviluppo e alla violazione dei diritti umani, per citare gli ambiti più evidenti che nella nostra era mettono a serio rischio non solo la pace, ma la continuità della vita umana sul pianeta”.

Afferma il Cardinale Parolin: “Di fronte all’immagine dei numerosi conflitti in atto, alle aggressioni e all’uso indiscriminato delle armi, al ricorso alla violenza terroristica all’interno degli Stati o tra gli Stati, il percorso verso la pace è faticoso ed incerto nei risultati, soprattutto in un momento in cui anche la politica internazionale e i suoi leader sembrano restii a lanciare soluzioni. La giustificazione è nella contingenza che viviamo, un’era in cui la dimensione razionale e analitica lascia volentieri il posto all’immagine che spesso è l’unica funzione cognitiva attivata”.

In questa situazione difficile, la Santa Sede “è tra coloro che spingono perché l’azione internazionale esca dalla logica emergenziale. Le pur necessarie soluzioni d’urgenza vanno coniugate con l’idea di sostenibilità attraverso una necessaria programmazione capace di fronteggiare in modo continuativo i problemi e garantire così le esigenze della prevenzione”.

Il capo della diplomazia vaticana guarda agli scenari mondiali. “Un rapido sguardo ai conflitti in atto – dice - dall’Ucraina alla Palestina, al Medio Oriente, al Myanmar, all’Etiopia, al Sudan, allo Yemen mostra un aumento delle vittime della guerra. Con loro cresce l’abitudine a considerare il ricorso alle armi come parte del normale andamento dei rapporti internazionali”.

Il Cardinale osserva poi che “il servizio alla pace, infatti, comporta uno sforzo quotidiano per conoscere le situazioni, interpretarle e far comprendere che la guerra non è più uno strumento lecito dell’azione internazionale. Non è raro vedere i diplomatici assistere impotenti a combattimenti, violenze o attentati, sperimentando quanto sia difficile prevenirli e fermarli”.

In questo “quadro inquietante” “la diplomazia deve riscoprire il suo ruolo di forza preventiva, capace cioè di governare le minacce alla pace e alla sicurezza; di strumento per dare stabilità e futuro al post-conflitto, iniziando dal fare della solidarietà tra persone e popoli l’alternativa alle armi, alla violenza, al terrore”.

Conclude il Segretario di Stato della Santa Sede: “La pace, quella vera, non può confondersi con il tacere delle armi, ma passa attraverso l’agire di quanti con umiltà e competenza si pongono come genuini operatori di pace. Avviare i processi di pace richiede non solo processi negoziali, ma anche di non tralasciare nessuno di quanti sono o possono essere interlocutori”. Per questo, “al diplomatico è richiesta la necessaria competenza per far fronte a problemi la cui origine e le cui soluzioni in concreto richiedono una visione che sia più ampia possibile, anzitutto per non tralasciare le radici anche lontane delle cause di conflitti o quegli elementi e situazioni che consentono di leggere l’attualità e individuare le proposte da avanzare”.