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Diplomazia pontificia, due anni di guerra in Ucraina

La Chiesa Greco Cattolica Ucraina prende una posizione sulla diplomazia pontificia nel caso del conflitto ucraino. Nuove nomine in Segreteria di Stato. I bilaterali alla Conferenza di Monaco

Papa Francesco, Chiesa Greco Cattolica Ucraina | Papa Francesco con il Sinodo della Chiesa Greco Cattolica Ucraina lo scorso settembre | Vatican Media  / ACI Group Papa Francesco, Chiesa Greco Cattolica Ucraina | Papa Francesco con il Sinodo della Chiesa Greco Cattolica Ucraina lo scorso settembre | Vatican Media / ACI Group

In questi anni, non erano mancati i rilievi critici sulle posizioni di Papa Francesco e le attività della Santa Sede riguardo al conflitto in Ucraina. Dall’Ucraina, soprattutto, il Papa era accusato di essere più vicino all’aggressore russo che non all’Ucraina, nonostante gli appelli costanti per la pace, e questo perché il Papa era stato, come primo atto dall’inizio del conflitto, all’ambasciata russa presso la Santa Sede ma non in quella ucraina; perché aveva trattato in maniera un po’ “leggera” la questione della morte di Darya Dugina, figlia dell’ideologi di Putin Dugin, aveva addirittura parlato della Grande Madre Russia in un incontro con online con i giovani russi dell’arcidiocesi della Gran Madre di Dio di Mosca.

C’era stata una nota della Chiesa Greco Cattolica Ucraina, ma anche, nel novembre 2022, una lettera del Papa alla popolazione ucraina in guerra, e l’incontro chiarificatore durante il Sinodo della Chiesa Greco Cattolica Ucraina lo scorso settembre.

Momenti di tensione, in cui la stessa Chiesa che era in Ucraina veniva accusata dalla popolazione che si trovava in guerra di appoggiare le posizioni “filorusse” del Papa.

In occasione del secondo anniversario dell’inizio dell’aggressione su larga scala della Russia contro l’Ucraina, tuttavia, una lettera del Sinodo della Chiesa Greco Cattolica Ucraina difende la posizione della Santa Sede e cerca di spiegarla alla popolazione, nella volontà di non negare l’orrore di una guerra che sta dilaniando il Paese e allo stesso tempo guardare con speranza cristiana al futuro, con la richiesta anche di cominciare a trovare una nuova “dottrina sociale” sulla guerra – un tentativo, in fondo, che ha compiuto l’arcivescovo maggiore della Chiesa Greco Cattolica Ucraina Sviatoslav Shevchuk durante i suo messaggi quotidiani che per oltre un anno sono arrivati a tutti i fedeli.

Altre notizie della settimana: l’arcivescovo Paul Richard Gallagher, segretario vaticano per i Rapporti con gli Stati, ha partecipato alla Conferenza di Monaco sulla sicurezza, dove ha avuto diversi bilaterali. Il Papa nomina nuovi membri della Commissione per le Relazioni con gli Stati della Segreteria di Stato.

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                                                           FOCUS UCRAINA

La diplomazia della Santa Sede vista dal Sinodo della Chiesa Greco Cattolica Ucraina

È un messaggio di 21 pagine, diviso in sette sezioni, denso di riferimenti alla dottrina e ai padri della Chiesa, quello che il Sinodo della Chiesa Greco Cattolica Ucraina ha indirizzato ai suoi fedeli in occasione del secondo anniversario dell’inizio dell’aggressione su larga scala della Russia nei confronti dell’Ucraina.

Nel messaggio, firmato lo scorso 14 febbraio, i vescovi della Chiesa Greco Cattolica Ucraina si addentrano nelle cause profonde della guerra, a partire dall’annientamento dell’identità ucraina sin dalle prime invasioni della Moscovia, e provano a spiegarne gli intenti genocidi, definendo quello di Putin come un “nuovo colonialismo”. Si tratta di un totalitarismo di tipo nuovo, dicono i vescovi, simile a quello dei secoli precedenti, eppure più pervicace e duro proprio perché non ha una sua ideologia definita, ma gioca sulle pieghe della storia e della mistificazione storica.

È un messaggio che parla della risposta non violenta cristiana, e la apprezza, ma allo stesso tempo che mette in luce le necessità della legittima difesa di un popolo, quello ucraino, che si trova da dieci anni di situazione di conflitto, dall’annessione della Crimea nel 2014.

I vescovi spiegano anche il concetto di pace giusta, puntano il dito contro i pacifisti ideologici, che, appunto, mettono da parte ogni giustizia pur di avere la pace, notano che la Russia ha perseguito il suo intento genocida, di ricostituzione dell’Urss e totalitarista nonostante gli avvisi che avevano lanciato.

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È un messaggio da leggere nella sua interezza, che colpisce anche per dei passaggi molto ampi dedicati alla diplomazia della Santa Sede. E, nel mezzo delle critiche, nonostante la situazione difficile, la Chiesa Greco Cattolica Ucraina difende il lavoro della Santa Sede.

“Nel servire la causa della pace e della cooperazione internazionale della Sede Apostolica – nota il testo - è necessario distinguere due tipi di neutralità: diplomatica e morale. Tuttavia, nelle azioni della Santa Sede non vediamo in nessun caso alcuna neutralità morale. Ad esempio, nel caso dell'ingiusta aggressione della Russia contro la nostra Patria, essa distingue chiaramente l'aggressore e la vittima del suo attacco e sostiene sempre colui che è diventato questa vittima: il popolo ucraino”.

Anzi, “la tradizione millenaria del ruolo del Vescovo di Roma come massimo arbitro del mondo cristiano, cioè la posizione ‘super partes’ che si trovano in stato di guerra, ha dato e consente al Vaticano di svolgere un ruolo importante, a volte decisivo, nella risoluzione di una serie di situazioni di conflitto in tutto il mondo, nonché nel facilitare la creazione di canali per lo scambio di prigionieri e il sollievo delle sofferenze della popolazione civile”.

È una mediazione importante, che “non può essere sopravvalutata nemmeno nelle condizioni dell'attuale aggressione della Russia contro l'Ucraina: molte madri e mogli ricordano con gratitudine il ruolo del Santo Padre nella liberazione dei soldati catturati o dei bambini deportati”.

I vescovi greco cattolici ucraini mettono rilievo che “è nostro dovere cristiano e civico proteggere la vita del nostro prossimo, soprattutto dei bambini, delle donne e degli anziani, nel modo più coraggioso e radicale, prendendo in mano le armi, pronti a sacrificare la propria vita per questo”.

Questo perché “nell’etica cristiana, la pace giusta significa molto più della semplice vittoria sull’aggressione”.

Importante anche il paragrafo sulla pace giusta e dell’impegno che le Chiese devono avere nel perseguirla. Il sinodo nota che “per raggiungere una pace giusta in Ucraina, le Chiese cristiane, le organizzazioni internazionali e le istituzioni politiche dovrebbero sforzarsi a condurre una retorica estremamente chiara di condanna dell’aggressione militare e degli atti di genocidio della Russia contro l’Ucraina, nonché realizzare il perseguimento penale dei criminali di guerra. Il male impunito continua a causare ancora più danni”.

In conclusione, i vescovi notano che “l'Ucraina è diventata il centro dei cambiamenti globali e sta affrontando prove terribili oggi. Il male è reale: abbiamo visto il suo volto. Le voci delle persone innocenti uccise e crudelmente torturate, brutalmente violentate e deportate contro la loro volontà gridano alla coscienza del mondo. Gli ucraini non mettono in discussione l'importanza di valutare razionalmente le minacce e di esaminare attentamente le mosse politiche. Tuttavia, è altrettanto importante conservare la capacità di guardare agli eventi attuali attraverso gli occhi delle vittime”.

Il testo denucia il fatto che “la Russia da molti anni utilizza come strumento la cosiddetta guerra ibrida, i cui elementi includono: creazione di dipendenza economica in determinati paesi, guerra dell'informazione attraverso la diffusione di propaganda e fake news, corruzione dei leader delle organizzazioni internazionali e dei politici, minacce e distruzione dei propri cittadini dissidenti che sono riusciti a emigrare in altri paesi, e così via”.

Insomma, “l'obiettivo della Russia è quello di creare minacce e caos, al fine di successivamente annettere i territori di altri paesi o offrire loro il proprio ‘aiuto’ per ottenere il controllo su di essi. Tale politica subdola e distruttiva richiede alla comunità internazionale un riconoscimento rapido delle minacce globali e una chiara valutazione morale da parte della Chiesa”.

Ma il sinodo va oltre. Nota che, “iniziando una guerra ibrida contro l'Ucraina, la Russia ha sfidato, in verità, tutto il mondo civilizzato”, e lo ha sconvolto al punto che “molte persone hanno smesso di distinguere verità e menzogna, e di conseguenza anche bene e male”.

“Sotto i nostri occhi – denunciano i vescovi - si sta verificando una terribile sostituzione: ciò che è malvagio si veste con i panni del bene; e ciò che è buono viene marchiato come malefico. In un mondo distorto in questo modo, non sarà possibile né evitare né fermare le guerre”.

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Alla fine, sostiene il Sinodo della Chiesa Greco Cattolica Ucraina, “le dichiarazioni verbali sfocate e il linguaggio politico ambiguo saranno impotenti, e la neutralità diplomatica senza chiari fondamenti e punti di riferimento si trasformerà gradualmente in relativismo morale o addirittura in debolezza, che già oggi impedisce a molti politici nel mondo civilizzato di riconoscere l’aggressione delle truppe russe in Ucraina come genocidio del popolo ucraino, poiché ciò richiederebbe il loro intervento. Attualmente, molti cristiani appartenenti alla generazione postmoderna del mondo occidentale, semplicemente non vedono il genocidio del popolo ucraino e non sentono le grida delle vittime, ma, per non perdere la facciata, continuano a esprimere la propria preoccupazione e profondo turbamento”.

Si può questa situazione critica nel contesto della post-verità e delle fake news solo con una “chiara e inequivocabile proclamazione della verità evangelica”, perché “la voce dell'Eterna Verità evangelica, la sua incarnazione nei rapporti sociali e internazionali, ha una storia unica nella tradizione della Chiesa di Kyiv e nella nostra millenaria tradizione di costruzione dello Stato”.

Il Consiglio Pan-Ucraino delle Chiese fa un appello per i due anni dal conflitto

In occasione del secondo anniversario dell’aggressione su vasta scala della Russia contro l’Ucraina, il Consiglio Panucraino delle Chiese e delle organizzazioni religiose, che rappresenta il 90 per cento delle sigle religiose in Ucraina, ha lanciato un appello attraverso i suoi canali ufficiali.

I rappresentanti delle Chiese ricordano che “la guerra di aggressione che la Russia conduce contro l'Ucraina dal 2014, violando le norme e regolamenti internazionali, ha causato enormi sofferenze al popolo ucraino”, e che “il nemico aveva pianificato di assediare l'Ucraina in poco tempo, aveva previsto di farlo in giorni, settimane, mesi ecc. Al di fuori dei confini dell’Ucraina, molti condividevano la medesima previsione”.

Tuttavia, notano i membri del Consiglio, “c’erano due elementi che non potevano essere previsti: in primo luogo, l'aiuto di Dio all'Ucraina e, in secondo luogo, la resilienza e lo spirito incrollabile del popolo ucraino, che proviene da Dio. L’eroica resistenza delle Forze Armate dell’Ucraina e del popolo ucraino ha permesso di fermare l’aggressore, distruggere i suoi piani e liberare una parte significativa del territorio dell’Ucraina dall’occupazione russa”.

I rappresentanti delle confessioni religiose ucraine si dicono grate ai soldati ucraini, onorano la memoria di “ogni difensore che ha sacrificato la propria vita per l’Ucraina”, esprimono gratitudine “ai partner internazionali, alle Chiese e a tutte le persone di buona volontà che, con parole e azioni concrete, onorano il valore della vita umana e aiutano gli ucraini nel proteggere la libertà e l'indipendenza della Patria dall'invasione russa, oltre che nel mitigare le sofferenze causate dalla guerra”.

Rivolgendosi al popolo ucraino, i membri del Consiglio lo esortano a rimanere coraggioso, a non arrendersi “per via della stanchezza o indignazione delle sfide interne”, non cedendo alla propaganda del nemico.

Indirizzando poi il loro appello al governo ucraino, ai leader politici e alle figure pubbliche, le Chiese che sono in Ucraina chiedono che si “adottino tutte le misure necessarie per consolidare la società, prevenire la discordia interna al paese, contrastare la corruzione, preservare la libertà religiosa dalle manipolazioni  esterna, sostenere le imprese nazionali, tutelare i cittadini ucraini all’estero e creare le condizioni per il loro rientro, implementare le riforme necessarie per il benessere del popolo ucraino e per il raggiungimento della Vittoria”.

Infine, i capi religiosi ucraini esortano “la comunità internazionale, i leader religiosi e politici dei vari paesi di continuare nel loro impegno per proteggere l’Ucraina dall’aggressione russa, per assistere coloro che stanno soffrendo per le conseguenze di questa guerra”, cosa che “include il ritorno in Ucraina dei bambini, dei civili e dei prigionieri di guerra ucraini deportati illegalmente dalla Russia. Infine, esortiamo a continuare l’impegno per promuovere la vittoria e l’instaurazione di una pace giusta e duratura in Ucraina”.

Nato un quarto di secolo fa, il Consiglio Pan-Ucraino delle Chiese e delle organizzazioni religiose si è costituito anche come una sorta di Onlus e, dall’inizio del conflitto a bassa intensità nel Donbass e a Luhansk e a seguito dell’annessione della Crimea, è stato in prima linea a portare aiuti alla popolazione colpita. Lo scorso anno, in occassione della Settimana di Preghiera per l’Unità dei Cristiani, i membri del Consiglio sono stati in Vaticano per una serie di incontri istituzionali.

Due anni di guerra in Ucraina, la posizione della COMECE

L’anniversario della guerra in Ucraina è stata ricordata anche dal vescovo Mariano Crociata, presidente della Commissione delle Conferenze Episcopali dell’Unione Europea.

Il vescovo ha notato che “l’insidia più grave in questa fase, e sempre più pericolosa con il passare del tempo, è l’assuefazione, la stanchezza, l’abitudine a una guerra che molti sperano rimanga circoscritta alle regioni in cui si sta svolgendo nell’illusione di poter continuare a stare tranquillo. Questo è il pericolo più immediato, perché quando la sensazione di pericolo si dissolve e finisce l’allarme, allora diventa reale il rischio di non accorgersi di ciò che può capitare”.

Il presidente della COMECE ha sottolineato che “questa guerra mostra che alla fine, pur nell’intreccio di molteplici cause, essa è il risultato della decisione di qualcuno, è una scelta. Dobbiamo confidare che tutti gli attori sulla scena, sia quelli che appaiono alla ribalta sia quelli che stanno dietro le quinte o anche sono distanti da essa, siano raggiunti e toccati da argomenti, ragioni, esigenze, inviti che inducano a porre fine alla guerra”.

Tuttavia, aggiunge, Quale volto debba avere una pace giusta lo abbiamo già detto in tanti, perché non può esserci pace giusta senza rispetto dell’integrità di un Paese sovrano e del diritto internazionale”. Piuttosto, “come essa si debba costruire è questione di tutt’altra portata e difficoltà, che va lasciata ai molti che hanno potere e influenza nei rapporti nazionali e internazionali. Non per questo va però ignorato il potere dell’opinione motivata, della parola appropriata, del dibattito pubblico, dei gesti di solidarietà e delle prese di posizione, non ultimo della preghiera”.

Il vescovo Crociata ha sottolineato che “l’Unione europea fin dall’inizio si è mossa compatta, anche se strada facendo, la compattezza ha mostrato delle crepe. Dobbiamo auspicare che l’iniziativa diplomatica si dispieghi in tutte le direzioni e con tutta l’ampiezza di cui può disporre. Fare la pace, quando non è l’immota pace di morti, richiede una forza maggiore di quella che ci vuole per fare la guerra. Ci vuole una grande determinazione nel perseguire una iniziativa diplomatica per la pace. E la determinazione è proporzionata alla compattezza e all’unità del soggetto che la esprime”.

E conclude: “Questa guerra è una prova per l’Unione europea almeno per due ragioni: per la prova di unità che le chiede e per la minaccia che non molto oscuramente lascia balenare all’orizzonte”.

 

                                               FOCUS SEGRETERIA DI STATO

L’arcivescovo Gallagher alla Conferenza di Monaco: bilaterali con Perù, Andorra, Kurdistan

Non ci sono stati discorsi, questa volta, ma l’occasione per diversi incontri bilaterali. Come ogni anno, la Santa Sede partecipa alla Conferenza di Monaco sulla Sicurezza, rappresentata dall’arcivescovo Paul Richard Gallagher, ministro vaticano per i Rapporti con gli Stati.

La Conferenza si tiene ogni anno a Monaco di Baviera dal 1963, su iniziativa dell’editore tedesco Ewald-Heinrich von Kleist-Schemenzin. Fino al 2008 si chiamava “Conferenza di Monaco sulla politica di sicurezza”. Motto della Conferenza è: “La pace attraverso il dialogo”.

In effetti, il fondatore aveva pensato la conferenza per prevenire in futuro conflitti militari come la Seconda Guerra Mondiale, e per questo riunisce leader ed esperti mondiali in politica di sicurezza.

Durante la Conferenza di quest’anno, l’arcivescovo Gallagher ha avuto un bilaterale con il ministro degli Esteri peruviano Javier González-Olaechea. La cancelleria di Lima ha reso noto che “in dialogo con il Segretario per le Relazioni con gli Stati e gli Organismi internazionali, il cancelliere ha messo in luce l’importanza della Chiesa Cattolica nella promozione di una cultura di dialogo sociale e pace. Inoltre, ha trasmesso il saluto del presidente a Sua Santità Papa Francesco.

Il 17 febbraio, l’arcivescovo Gallagher ha incontrato il presidente del Kurdistan Nechirvan Barzani. Secondo una comunicazione della presidenza del Kurdistan, la discussione tra i due si è “soprattutto focalizzata sulle relazioni del Vaticano con l’Iraq e la Regione del Kurdistan, nonché sulla attuale situazione delle comunità etniche e religiose in Iraq, in particolare nella regione del Kurdistan”.

Inoltre, si è parlato anche dello “scenario politico e di sicurezza in Iraq, le relazioni tra Erbil e Baghdad, l’attuale conflitto a Gaza”.

L’arcivescovo Gallagher, continua il comunicato della presidenza, ha “espresso la volontà della Santa Sede di rafforzare i legami con l’Iraq e la regione del Kurdistan”, e avrebbe lodato “le condizioni positive per le comunità di minoranza e la coesistenza pacifica vissuta in Kurdistan”, sottolineando che “Papa Francesco tiene la regione del Kurdistan in alta considerazione”.

Da parte sua, il presidente Barzani ha espresso gratitudine alla Santa Sede per il suo continuo e solido supporto all’Iraq e alla regione del Kurdistan, della quale ha reiterato l’impegno per proteggere la coesistenza pacifica, l’accettazione mutua e la tolleranza”.

Barzani era stato ricevuto il 13 aprile 2023 da Papa Francesco. L’incontro con Barzani rientrava in un lungo percorso di amicizia tra la Santa Sede e il Kurdistan, che ha visto Papa Francesco toccare Erbil durante il viaggio in Iraq del 2021.

Sempre il 17 febbraio, l’arcivescovo Gallagher ha incontrato il ministro degli Esteri di Andorra Imma Tor Faus. L’incontro rientra in una antica amicizia tra Andorra e la Santa Sede: l’arcivescovo Gallagher ha visitato il Paese nel 2016, mentre il Cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato vaticano, vi è stato in visita il 7 settembre 2023.

Il legame tra Santa Sede e Andorra è strettissimo. Nel 1993, il Principato si è dotato di una Costituzione che mantiene in vita il sistema del Co-Principato, risalente al 1278, al tempo del Pontificato Martino IV che confermò il "pareatge" (accordo o patto). I Coprincipi - che sono il Vescovo di Urgell ed il Presidente della Repubblica francese, il quale ha preso le funzioni dei conti di Foix - svolgono in modo congiunto ed indivisibile le funzioni del Capo dello Stato. Si tratta dell’unico Stato al mondo in cui due funzionari stranieri agiscono congiuntamente come capo di Stato.

Le relazioni diplomatiche tra Santa Sede e Andorra sono state stabilite nel 1995, e il nunzio ad Andorra è anche nunzio in Spagna ed ha sede a Madrid. Nel 2008. Santa Sede e Principato di Andorra hanno firmato un accordo diviso in sei parti, in cui in 16 articoli si definiscono il ruolo del vescovo di Urgell, lo statuto giuridico della Chiesa cattolica in Andorra, il matrimonio canonico, l’insegnamento della religione nella scuola, il sistema economico della Chiesa Cattolica in Andorra.

Segreteria di Stato, nuovi membri del Consiglio della Sezione per i Rapporti con gli Stati

Papa Francesco ha nominato quattro nuovi membri, tra cui tre cardinali, nel Consiglio della Sezione per i Rapporti con gli Stati e le Organizzazioni Internazionali della Segreteria di Stato.

I tre cardinali sono: Luis Antonio Tagle, pro-prefetto del Dicastero per l’Evangelizzazione nella Sezione per la prima evangelizzazione e le nuove Chiese particolari; Michael Czerny, prefetto del Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale; Claudio Gugerotti, prefetto del Dicastero per le Chiese Orientali. 

Il quarto membro di nuova nomina è padre Giulio Albanese, direttore dell’Ufficio per le Comunicazioni Sociali e dell’Ufficio per la Cooperazione Missionaria tra le Chiese del Vicariato e di Roma.

Il Consiglio della cosiddetta “seconda sezione” della Segreteria di Stato è previsto dalla Costituzione apostolica Praedicate Evangelium, promulgata nel 2022, che regola il funzionamento della Curia, ma non si trovava menzionato nella Pastor Bonus, del 1988, che per quasi tre decenni ha definito i compiti degli uffici di Curia.

In realtà, il Consiglio c’è sempre stato, rappresentando un “residuo”, se così si può dire, della antica Congregazione per gli Affari Ecclesiastici Strardinari, che nel 1967 era divenuto Consiglio per gli Affari Pubblici della Chiesa.

La Congregazione era stata istituita ufficialmente nel 1814 da Pio VII, nata come Congregazione di emergenza nata dopo il crollo dell’Impero Francese di Napoleone Bonaparte e la restituzione di Roma al Papa. In quel periodo di confusione, era necessario infatti avere un organo  che ordinasse le richieste provenienti da ogni ambito d'amministrazione per poi portarle alla conoscenza del pontefice o di altri organi istituzionali o congregazioni. La commissione era composta di otto cardinali, un segretario e cinque consultori.

Leone XII ne cambiò il nome in Congregazione per gli Affari Ecclesiastici straordinari, e la Congregazione fu conservata da Pio X e Pio XI, il quale stabilì per la prima volta i membri di diritto e nominò il prefetto, stabilendo che questi fosse il Segretario di Stato.

Nel 1967, Paolo VI promulga la costituzione apostolica Regimini Ecclesiae Universae, e cambia il nome della Congregazione in Consiglio per gli Affari Pubblici della Chiesa. Il consiglio fu soppresso di fatto con la Pastor Bonus, e si trasformò nella “seconda sezione” della Segreteria di Stato”.

                                                           FOCUS NUNZIATURE

Un nuovo nunzio in Romania e Moldova

L’arcivescovo Giampiero Gloder, finora nunzio apostolico a Cuba, è stato destinato il 23 febbraio a guidare la nunziatura di Romania e Moldova, rimasta vacante dal 2023 dopo la nomina del precedente nunzio, l’arcivescovo Miguel Maury Buendia, ad “ambasciatore del Papa” nel Regno Unito.

Gloder era nunzio a Cuba dal 2019. Classe 1958, entrato al servizio diplomatico della Santa Sede nel 1992, l’arcivescovo Gloder è stato in missione in Guatemala dal 1992 al 1995, e poi è stato richiamato in Segreteria di Stato, dove ha lavorato nella sezione affari generali, fino a diventare nel 2009 capo ufficio con incarichi speciali. Dal 2013 al 2019 è stato presidente della Pontificia Accademia Ecclesiastica, l’istituzione vaticana che forma il personale diplomatico della Santa Sede.

                                               FOCUS MULTILATERALE

Santa Sede alla FAO, la Conferenza regionale per Asia e Pacifico

Il 21 febbraio, monsignor Fernando Chica Arellano, osservatore permanente della Santa Sede presso la FAO, l’IFAD e l’IPAM, ha tenuto un intervento alla 37esima sessione della Conferenza Regionale per l’Asia ed il Pacifico, affrontando il tema “Salvare il cibo, salvare l’acqua, ridurre perdite e sprechi”.

Monsignor Chica Arellano ha affermato che “la saggezza nella gestione delle materie prime, soprattutto alimentari e dell’acqua, essenziale alla vita, si traduce necessariamente in un’attenta amministrazione e sostenibile, essenziale per evitare pratiche deplorevoli come la perdita e lo spreco alimentare”.

Il rappresentante della Santa Sede sottolinea che è “opportuno incoraggiare politiche, programmi di azione e strategie che, con il supporto tecnico della FAO, non perseguono altro obiettivo se non quello di ridurli pratiche dannose per le persone e l’ambiente, migliorando le infrastrutture

territorio, formando i lavoratori e favorendo l’adozione di stili di vita sobri e rispettosi dell’ambiente, del cibo e dell’acqua”.

Da parte sua, la Santa Sede annuncia il continuato sostegno a “strutture e associazioni che operano a livello locale, ispirandosi ai valori del Vangelo, nel tentativo di sradicare la fame nel mondo, attraverso la promozione dell’agricoltura e della produzione alimentare sostenibili, la riduzione degli sprechi alimentari e il sostegno fornito ai sistemi alimentari locali”.

                                                           FOCUS MEDIO ORIENTE

Siria, una filiale dell’Alto Comitato per le proprietà

Dal gennaio 2014 all’ottobre 2017, la città di Raqqa è stata la roccaforte e la capitale siriana dell’autoproclamato Stato Islamico (Daesh). Ora, vi è stata aperta una filiale dell’Alto Comitato per le Proprietà, con l’incarico di inventariare e proteggere da illegittimi espropri i beni immobiliari di proprietari cristiani che hanno lasciato la regione durante gli anni del conflitto siriano. Lo riferisce Fides, l’agenzia del Dicastero per l’Evangelizzazione, che a sua volta cita una intervista concessa alla testata online Syriac Press da Fadj Jajo, Segretario dell’Alto Comitato per le Proprietà.

Questi ha rimarcato l’importanza dell’iniziativa. Si tratta, ha detto, di un esempio delle politiche di tutela dei diritti delle minoranze messe in atto dalle forze che esercitano il potere nell’area. Ha anche spiegato che l’iniziativa censirà i beni immobili appartenenti a proprietari cristiani armeni, siri e assiri e di restituire loro anche i beni espropriati illegalmente a seguito del loro esodo forzato.

Raqqa da tempo non è sotto il controllo del governo di Damasco, ma controllata dalla Amministrazione autonoma democratica della Siria Nord Orientale. La città fu bombardata nell’intervento militare della coalizione anti-Daesh, e la città fu liberata dalle Forze Democratiche Siriane (di prevalenza curde) appoggiate e armate dagli Stati Uniti. La amministrazione non è riconosciuta dal governo siriano. Con l’iniziativa, l’amministrazione punta ad avere un credito internazionale come forza attenta alle comunità di minoranza.

Si tratta di un atto politico, che si inserisce in una situazione complessa, dove c’è stato anche il caso della chiesa dei Martiri. La chiesa era della Chiesa Cattolica Armena, ed era stata sequestrata dal Daesh che l’avevano trasformata in un tribunale jihadista, e poi era stata distrutta dai bombardamenti per la liberazione di Raqqa.

La chiesa è stata poi ricostruita dai Free Burma rangers, un movimento para-militare nato su iniziativa pastore evangelico statunitense Dave Eubank, ex Ufficiale delle forze speciali dell’esercito USA, e nato nelle tensioni birmane. La Chiesa cattolica armena non ha dato apprezzamento per la ricostruzione della chiesa, che non presenta altare, ma solo un ambone per la predicazione, come appunto succede nelle comunità evangeliche, e non vi si celebra nessuna messa.

                                                           FOCUS AFRICA  

Nigeria, il sostegno del Dicastero per l’Evangelizzazione

In una nota, divulgata il 16 febbraio,  il Cardinale Luis Antonio Tagle, pro-prefetto per la Sezione per la Nuova Evangelizzazione e le Nuove Chiese Particolari del Dicastero dell’Evangelizzazione, e l’arcivescovo Fortunatus Nwachukwu, arcivescovo del dicastero, hanno espresso “la più profonda e sentita solidarietà al popolo nigeriano” in questi “tempi difficili”, perché si trova “alle prese con una crisi che si allarga nella portata e si intensifica in proporzione”. Il messaggio è stato indirizzato a Lucius Iwejuru Ugorji, arcivescovo di Owerri e presidente della Conferenza Episcopale della Nigeria

La nota del Dicastero è stata inviata a seguito di aver appreso “con rammarico da diverse fonti di informazione sulla frequenza dei rapimenti in Nigeria, una situazione che negli ultimi tempi si è notevolmente aggravata”.
Tra coloro che si ritrovano tragicamente nel fuoco incrociato di questi atti riprovevoli vi sono membri del clero, religiosi e fedeli laici”, si legge nel messaggio. Che sottolinea come “nulla può giustificare il crimine del rapimento” perché “le violenze fisiche e le torture mentali che accompagnano i rapimenti minano i pilastri dell’armonia civile e sociale, poiché traumatizzano le persone coinvolte, le loro famiglie e la società in generale”.

I vertici del Dicastero per l’Evangelizzazione rivolgono preghiere e pensieri a vescovi, clero, religiosi, seminaristi, membri della Chiesa cristiani e persone di buona volontà, e sottolineano “un profondo senso di empatia per le vittime innocenti di questi rapimenti e delle loro famiglie”.

Allo stesso modo – si legge nella nota – “chiediamo al governo della Nigeria di agire rapidamente per affrontare questa minaccia e fermare la crisi in atto”, e si auspica che “oltre ad adottare misure per proteggere vite umane e proprietà, lo Stato, con il sostegno della Chiesa, dovrebbe cercare modi per riposizionare la nazione sulla via della crescita economica, della stabilità politica e della coesione religiosa”.

L’appello si conclude con la speranza che “questa Quaresima si riveli spiritualmente fruttuosa per ogni credente e ogni comunità ecclesiale in Nigeria. Il Signore vi benedica e vi custodisca Maria Regina e Patrona della Nigeria”.

La Nigeria da anni fa fronte alla piaga dei sequestri di persona, che coinvolge non solo sacerdoti e religiosi, ma anche uomini d’affari, politici, funzionari governativi, diplomatici, cittadini spesso vittime di rapimenti di massa. Difficile, in questi casi, distinguere se il rapimento sia stato compiuto da una formazione terroristica o da un gruppo criminale.

I sequestri di persona sono comunque catalogati in alcune forme distinte: rapimenti programmati di persone specifiche individuate in precedenza; sequestri casuali, soprattutto lungo le strade, prendendo le vittime a caso; rapimenti di massa (con raid in genere programmati su villaggi, luoghi di culto, comprese chiese e moschee, scuole, treni e stazioni ferroviarie).

In Nigeria dal maggio 2023 e dall’inizio del mandato del presidente Bola Ahmed Tinubu, l’impresa di consulenza sulla gestione del rischio SBM Intelligence ha registrato il rapimento di 3.964 persone.

                                                                       FOCUS ASIA

Pakistan, un cristiano accusato di blasfemia è stato dichiarato innocente

In Pakistan, a Faisalabad, si sono registrate diverse tensioni dopo che Younis Masih, un cristiano accusato di blasfemia, è stato dichiarato innocente, prosciolto dalle accuse e rilasciato.

Masih era stato denunciato da una donna. Susan Fatima. Questa, proveniente da una famiglia che si era convertita all’Islam circa un anno e mezzo, lo aveva accusato di essere entrata in casa sua, averlo aggredito e aver mancato di rispetto al Corano.

Masih, allora, si è presentato spontaneamente alla polizia per chiarire l’accaduto, mentre i cristiani parlavano di accuse fabbricate. La stessa Fatima è stata arrestata per compiere ulteriori indagini, uno sviluppo interessante in una situazione come quella pakistana, dove le leggi sulla blasfemia hanno permesso l’accusa praticamente senza prove – basti ricordare il caso di Asia Bibi, che ora si trova in una località protetta dopo essere stata condannata a morte e prosciolta in appello.

È stata una gestione che, ha detto a Fides l’avvocato di Masih Aeeqa Maria Anthony, “ha generato fiducia nella comunità cristiana, soprattutto per quanto concerne il sostegno delle autorità alla giustizia e alla salvaguardia dei diritti di tutti gli individui, indipendentemente dal loro credo religioso”.

Tuttavia, non tutti i casi sono stati gestiti positivamente. Nell’agosto 2023, c’era stato un “attacco collettivo” per una supposta blasfemia di due cristiani, avvenuto a Jaranwala, proprio nell'area di Faisalabad.  I due cristiani avevano negato ogni addebito, invocando false accuse.

Secondo il Codice penale del Pakistan, il reato di blasfemia è punibile con la pena di morte o l'ergastolo, applicando tre articoli (295-a, 295-b, 295-c, complessivamente detti "Legge di blasfemia") che puniscono in particolare il vilipendio contro l'Islam.

                                               FOCUS EUROPA

Il telegramma del Papa per l’incendio avvenuto a Valencia

Il 23 febbraio, Papa Francesco ha espresso cordoglio per le vittime dell’incendio avvenuto a Valencia, in Spagna, che ha inghiottito due palazzi e provocato almeno 4 vittime. Un messaggio a nome del Papa è stato inviato dal Cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato vaticano, e indirizzato all’arcivescovo di Valencia Enrique Benavent Vidal.

Nel telegramma, si legge che il Papa segue “da vicino le notizie che arrivano riguardo il terribile incendio in un edificio di appartamenti”, nel quale si contano “perdite di vite umane, nonché diversi feriti e dispersi”.

Il Papa “affida l’anima dei defunti alla misericordia divina”, affidando “la sua vicinanza spirituale al popolo di Valencia e a tutte le famiglie che sono state colpite” dalla tragedia, pregando il Signore che “dia loro forza in questo momento di dolore e sostenga i lavori di bonifica e ricerca”.