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Papa Francesco: "Sofferenza e malattia non vanno ridotte a tabù"

Alla Pontificia Commissione Biblica il Papa ricorda che "il dolore e l’infermità, nella luce della fede, possono diventare fattori decisivi in un percorso di maturazione"

Papa Francesco |  | Daniel Ibanez CNA Papa Francesco | | Daniel Ibanez CNA

La sofferenza e la malattia sono avversarie da affrontare, ma è importante farlo in modo degno dell’uomo, in modo umano, diciamo così: rimuoverle, riducendole a tabù di cui è meglio non parlare, magari perché danneggiano quell’immagine di efficienza a tutti i costi, utile a vendere e a guadagnare, non è certamente una soluzione”. Lo ha detto il Papa, stamane, ricevendo in udienza i partecipanti alla plenaria della Pontificia Commissione Biblica.

“Tutti – ha ammesso Francesco - vacilliamo sotto il peso di queste esperienze e occorre aiutarci ad attraversarle vivendole in relazione, senza ripiegarsi su sé stessi e senza che la legittima ribellione si trasformi in isolamento, abbandono o disperazione. Sappiamo che il dolore e l’infermità, nella luce della fede, possono diventare fattori decisivi in un percorso di maturazione”.

Il Papa invita a guardare a Gesù che “ci esorta a prenderci cura di chi vive in situazioni di infermità, con la determinazione di sconfiggere la malattia; al tempo stesso, invita delicatamente a unire le nostre sofferenze alla sua offerta salvifica, come seme che porta frutto”.

Il Pontefice suggerisce due parole chiave: compassione e inclusione. “La compassione, indica l’atteggiamento ricorrente e caratterizzante del Signore nei confronti delle persone fragili e bisognose che incontra. Questa sua compassione si manifesta come vicinanza e porta Gesù a identificarsi con i sofferenti. Compassione che porta alla vicinanza. Tutto ciò rivela un aspetto importante: Gesù non spiega la sofferenza, ma si piega verso i sofferenti. Non si accosta al dolore con incoraggiamenti generici e consolazioni sterili, ma ne accoglie il dramma, lasciandosene toccare”.

“Cristo – ha aggiunto Papa Francesco - ha trasformato il nostro dolore facendolo suo fino in fondo: abitandolo, soffrendolo e offrendolo come dono d’amore. Non ha dato risposte facili ai nostri perché, ma sulla croce ha fatto suo il nostro grande perché”.

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Per quanto riguarda l’inclusione che “non è un vocabolo biblico, questa parola esprime bene un tratto saliente dello stile di Gesù: il suo andare in cerca del peccatore, dello smarrito, dell’emarginato, dello stigmatizzato, perché siano accolti nella casa del Padre”.

“L’inclusione – ha spiegato il Papa - abbraccia anche un altro aspetto: il Signore desidera che si risani la persona tutta intera, spirito, anima e corpo. A poco gioverebbe una guarigione fisica dal male senza un risanamento del cuore dal peccato. C’è una risanazione totale: corpo, anima e spirito. Questa prospettiva di inclusione ci porta ad atteggiamenti di condivisione: Cristo, che è passato in mezzo alla gente facendo del bene e curando gli infermi, ha comandato ai suoi discepoli di aver cura dei malati e di benedirli nel suo nome, condividendo con loro la sua missione di consolazione. Attraverso l’esperienza della sofferenza e della malattia, noi, come Chiesa, siamo chiamati a camminare insieme a tutti, nella solidarietà cristiana e umana, aprendo, in nome della comune fragilità, opportunità di dialogo e di speranza”.

La Parola di Dio – ha concluso - è un antidoto potente nei riguardi di ogni chiusura, astrazione e ideologizzazione della fede: letta nello Spirito in cui è stata scritta, accresce la passione per Dio e per l’uomo, innesca la carità e ravviva lo zelo apostolico. Perciò la Chiesa ha la costante necessità di abbeverarsi alle sorgenti della Parola”.