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Morte di Papa Francesco, i riti dell’inizio della sede vacante

Alle 20 della sera del 21 aprile, è stato annullato l’anello del pescatore, e sono stati posti i sigilli al Palazzo Apostolico e a Santa Marta

Sigilli Papali | Un momento dell'apposizione dei sigilli all'appartamento papale nel Palazzo Apostolico Vaticano, 21 aprile 2025 | Vatican Media Sigilli Papali | Un momento dell'apposizione dei sigilli all'appartamento papale nel Palazzo Apostolico Vaticano, 21 aprile 2025 | Vatican Media

I riti di inizio della sede vacante hanno un momento simbolico particolarmente suggestivo, che ha il potere di dare plasticamente l’idea che non solo un Papa è morto, ma un pontificato è finito. L’anello del pescatore, che viene consegnato al Papa alla Messa di inizio del ministero petrino, deve essere distrutto, o perlomeno annullato. L’appartamento pontificio deve invece essere sigillato. E nessuno potrà entrare in quell’appartamento fino all’elezione del nuovo Papa.

Con Papa Francesco, questo rito si è arricchito di un dettaglio ulteriore, perché Papa Francesco risiedeva alla Domus Sanctae Marthae, nella suite 201, e dunque anche quell’appartamento del Papa è stato sigillato. Non sarà, quella, una stanza a disposizione dei cardinali che arriveranno per il Conclave, perché – da disposizioni della Universi Dominici Gregis, la costituzione apostolica che regola il Conclave – tutti i porporati elettori dovranno alloggiare a Santa Marta.

La costituzione fu voluta da Giovanni Paolo II nel 1996. Al numero 17, si legge: “Il Camerlengo deve apporre i sigilli allo studio e alla camera del medesimo Pontefice, disponendo che il personale abitualmente dimorante nell'appartamento privato vi possa restare fino a dopo la sepoltura del Papa, quando l'intero appartamento pontificio sarà sigillato; comunicarne la morte al Cardinale Vicario per l'Urbe, il quale ne darà notizia al Popolo Romano con speciale notificazione; e parimenti al Cardinale Arciprete della Basilica Vaticana; prendere possesso del Palazzo Apostolico Vaticano e, personalmente o per mezzo di un suo delegato, dei Palazzi del Laterano e di Castel Gandolfo, ed esercitarne la custodia e il governo”. 

Prima dell’entrata in vigore di quella costituzione, il cerimoniale voleva che il Camerlengo sfilasse l’anello dal dito del pontefice defunto, vi incidesse sopra una croce con uno scalpello e lo distruggesse poi con un martelletto d’argento.

La ratio di questo particolare cerimoniale è facilmente intuibile: si doveva evitare che qualcuno si appropriasse dell’anello e lo usasse per legittimare documenti successivi. Ma il rituale assume anche un altro significato: durante la sede vacante nessuno può assumere le prerogative del Papa. Nemmeno i cardinali che, in effetti, sono chiamati a riunirsi in congregazione e decidere degli affari ordinari, ma senza possibilità di prendere decisioni di indirizzo per la vita della Chiesa.

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Giovanni Paolo II, tuttavia, dispose che l’anello del pescatore venisse semplicemente annullato. Non è descritto come si debba fare. Quando Benedetto XVI rinunciò, i suoi due anelli papali non sono stati distrutti, ma “biffati”, ovvero i disegni del timbro sono stati rigati con una croce.

L’Ordo Exsequiarum Romani Pontificis riformato da Francesco, ha definitivamente stabilito che spetta al collegio cardinalizio, in una delle prime Congregazioni generali preliminari al Conclave, far annullare l'anello. 

Giovanni Paolo II aveva disposto che non fosse distrutto e lo donò simbolicamente a San Giuseppe in occasione del 25esimo anniversario di pontificato, il 16 ottobre 2003. L’anello è stato poi collocato dal Cardinale Franciszek Macharski, arcivescovo di Cracovia dal 1978 al 2005, nella chiesa dei Carmelitani Scalzi a Wadowice, città natale del pontefice.

Fu sempre Giovanni Paolo II a reinserire nell’Ordo la consegna dell’anello piscatorio, nel 2000.

Per diverso tempo, c’erano due anelli: quello papale, che il pontefice riceveva nel rito di inizio pontificato, e che si usava nelle cerimonie solenni; e quello del pescatore, che recava l’immagine di Pietro che getta le reti per la pesca è un anello sigillo, custodito dal maestro di camera.

L’anello del pescatore serviva a sigillare i brevi, documenti emessi sub anulo piscatoris e caratterizzanti la tipologia di atti provenienti da quella serie di uffici (camera segreta, segreterie, etc.), che al termine di un lungo percorso diedero origine all’attuale segreteria di stato.

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Questo anello sigillo, pur continuando ad essere chiamato anello del pescatore fu di fatto sostituito da un timbro nella prima metà del XIX secolo, durante il pontificato di Gregorio XVI. L’anello del pescatore era consegnato al Papa neo-eletto nei riti che seguivano immediatamente l’elezione. Con Benedetto XVI, data la centralità, nei nuovi riti inaugurali, dell’anello insieme al pallio, si volle unificare nell’unico anello del pescatore, atteso anche il suo valore simbolico dell’ufficio petrino, quanto avveniva con i due precedenti anelli.

Non si usa più, invece, il famoso martelletto con cui si colpiva la fronte del Papa per verificarne la morte.

La constatazione ufficiale della morte del Papa era fatta dal camerlengo e dai prelati chierici della camera apostolica nella stanza dove il Pontefice spirava.

Il martelletto era previsto, almeno formalmente, fino a San Giovanni XXIII. Tuttavia, l’ultima cronaca certa del suo uso e dell’antico rituale risale alla morte del beato Pio IX (1846-1878) ad opera del camerlengo Vincenzo Gioacchino Pecci (1810-1903), il futuro Papa Leone XIII. Il rituale prevedeva che per tre volte il capo del Pontefice defunto fosse toccato dal martelletto a cui seguiva la domanda mortus es? preceduta dal nome di battesimo del Papa e si concludeva con l’affermazione vere mortus est.