Il professor Alberto Preziosi ha parlato del “ventennio” in cui i cattolici italiani non si sono riuniti nelle settimane sociali. In quei tempi, ha detto, “è stato snobbato il compendio, si riteneva che fosse una sintesi sistematica in fondo superata dai tempi e non considerata dialettica”.
Ma come si è evoluta la Dottrina Sociale? Preziosi spiega che al centro della Dottrina Sociale c’è “l’annuncio del Vangelo”, e ha individuato diverse fasi della dottrina sociale: da quella che parte con la Rerum Novarum agli anni Venti e Trenta del secolo scorso; dagli anni Venti e Trenta in cui il magistero sociale diventa appannaggio di una realtà più popolare, con l’idea di fare formazione sociale, alla fase che nasce sul finire della Seconda Guerra Mondiale, con una nuova forma di magistero sociale, che si scontra anche con l’evoluzione del socialismo.
Quindi, c’è la quarta fase, quella del Concilio Vaticano II, perché – racconta Preziosi – “Giovanni XXIII e Paolo VI cambiano il metodo di elaborazione della dottrina sociale. Dal metodo deduttivo ad un metodo induttivo”.
La quinta fase segue il Concilio, ed è delicata, perché “il concilio apre lo scenario nuovo, si rende conto del cambiamento di metodo”. Già durante il dibattito conciliare si contesta l’uso del termine “dottrina”, si parla di una interpretazione più libera.
Con Benedetto XVI – è la sesta fase – “si esaurisce il confronto, perché la crisi delle ideologie ha lasciato il campo in un pensiero unico”. Viene sottolineato il nuovo umanesimo, già Giovanni Paolo II, con la Laborem Exercens, la Sollicitudo Rei Socialis e la Centesimus Annus, aveva rimesso in campo il tema dell’etica sociale, per superare le ideologie presenti.
Infine, la VII frase, con Papa Francesco, che è la fase dei grandi cambiamenti sociali.
Don Renzo Beghini, presidente della Fondazione Toniolo di Verona, si è chiesto cosa la teologia morale abbia compreso della Dottrina sociale della Chiesa. Ha spiegato che la Rerum Novarum è l’espressione di una vita vissuta, una dimensione sociale della fede.
Beghini ha poi notato che Paolo VI, con l’Octogesima Adveniens, mette in campo una “differenza di approccio della Chiesa nei confronti della cultura in cui la Chiesa vive”. Noi abbiamo una sovrapposizione tipica della teologia del tempo tra natura e soprannaturale, tra natura e grazia, tra fede e ragione. Ovviamente già a quel tempo la cosa non funzionava più. L’idea che oggi la legge naturale sia così evidente alla coscienza di ciascuno per cui è sufficiente applicare ciò che è tipico applicare del diritto naturale”.
Ma oggi, come fare? Qual è il linguaggio da utilizzare in un mondo che non è più cristiano? Don Beghini ha sottolineato: “Spesso riteniamo che il cambiamento debba essere questione metodologica, ma la dottrina sociale della Chiesa dice: non immediatamente di dottrina si tratta, ma di principi di riflessione, criteri di giudizio, due estremi sono esclusi: quello di un insegnamento evidentemente operativo, modello sociale come cristiano. Questo è escluso. Seconda cosa: un insegnamento che si limita ad alcuni principi generali. Non è un’etica indifferente. Etica liberista, contrattualista, ma questi criteri li dobbiamo possedere e insegnare ai nostri studenti”.
Markus Krienke, professore dell’Università di Lugano, ha parlato invece delle nuove sfide della Dottrina Sociale, e in particolare quelle che riguardano l’intelligenza artificiale. Sono le Res Novae cui si è concentrato subito anche Leone XIV.
Sono i grandi temi di cui discutere oggi. Forse non servirà un aggiornamento della Dottrina Sociale della Chiesa. Servirà applicarla.
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