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Il Libano, il paese dove i Pontefici hanno portato la speranza

Da Paolo VI a Benedetto XVI le visite e le Esortazioni post sinodali

Nostra Signora di Harissa |  | Wikipedia Nostra Signora di Harissa | | Wikipedia

"Come è triste vedere questa terra benedetta soffrire nei suoi figli che si sbranano tra loro con accanimento, e muoiono! I cristiani sanno che solo Gesù, essendo passato attraverso le tribolazioni e la morte per risuscitare, può portare la salvezza e la pace a tutti gli abitanti di questa regione del mondo", lo scriveva Benedetto XVI  in Ecclesia in Medio Oriente. Era il 2012, tredici anni e sembra non sia passato nemmeno un giorno. Benedetto XVI ha donato il frutto del Sinodo che si era celebrato nel 2010 al Libano firmando a Beirut la Esortazione Apostolica.

Oggi Leone XIV è di nuovo in Libano per portare un messaggio di pace, per disarmare gli animi.

Il primo pontefice toccare il suolo libanese in tempi moderni è stato Paolo VI nel 1964, era solo uno scalo tecnico di un'ora sulla strada verso il Congresso eucaristico di Bombay, in India. Era il 2 dicembre 1964 agli anni felici del Paese che il mondo chiamava la "Svizzera del Medio Oriente".

Il Papa fu accolto dal Presidente della Repubblica, Charles Hélou, la gente si assiepava per vedere qualcosa.

Paolo VI disse che la storia del Libano "la sua cultura e il carattere pacifico dei suoi abitanti gli hanno fatto guadagnare, si può dire, stima generale e amicizia. Le sue antiche e venerabili tradizioni religiose, soprattutto, sembrano degne del Nostro elogio. E non possiamo dimenticare, in particolare tutto ciò che la fede delle popolazioni cristiane libanesi rappresenta per la Chiesa, espressa nell'armoniosa diversità dei Riti, nell'abbondanza e varietà delle comunità religiose e monastiche, nelle numerose attività di carattere apostolico, educativo, culturale o caritativo".

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Quando scoppia la guerra Paolo VI fa tutto il possibile per la pace. L'ultimo appello è del 5 luglio 1978:"Ci chiediamo, non senza angoscia: quando finirà il doloroso calvario del popolo libanese?"

E in questa situazione che inizia il pontificato di Giovanni Paolo. Nel 1984 il Papa dopo aver incontrato in Vaticano i Patriarchi delle Chiese del Paese in comunione con Roma scrive un Messaggio a tutti i libanesi del 1° maggio 1984: "Pensate, infatti, cari libanesi, a quello che voi siete stati capaci di costruire insieme: una società di dialogo e di prosperità che molti vi invidiavano. Certo, fattori interni ed esterni, che non possono essere sottovalutati, sono venuti a sfigurare il Libano. Ma le sconfitte, i rancori, le lotte, e perfino i massacri, non possono mai spegnere del tutto quella piccola fiamma che vacilla nel cuore di ogni uomo e che si chiama amore: è quello per cui l’uomo più è simile a Dio".

Ma non basta. Il Papa vuole andare in Libano e mette al lavoro per anni al diplomazia vaticana con Jean-Louis Tauran che sarà coinvolto nella negoziazione degli Accordi di Taif, che mettono fine alla guerra nel 1990. Il Papa deve attendere ancora fino al 1997, e dopo un sinodo per il Libano arriva ad una visita di solo 36 ore. Nella messa in cui consegna e firma la Esortazione post Sinodale Una nuova speranza per il Libano, è il 10 maggio 1997 e il Papa ai giovani dice: "spetta a voi far cadere i muri che hanno potuto erigersi durante i periodi dolorosi della storia della vostra Nazione; non innalzate nuovi muri nel vostro Paese! Al contrario, è vostro compito costruire dei ponti tra le persone, tra le famiglie e tra le diverse comunità. Nella vita quotidiana, vi auguro di porre gesti di riconciliazione, per passare dalla diffidenza alla fiducia!".

Passano altri anni e altra violenza e si arriva a Benedetto XVI.

Giovanni Paolo II la annunciava con forza profetica, Benedetto XVI la spiega con intellettuale entusiasmo. Quello che li accomuna è che per entrambi la pace non è una parola, ma una realtà viva. E’ questo che convince i giovani. Quello che dice il Papa ha il suono della realtà. A Beirut i ragazzi di Benedetto del 2012 hanno ascoltato un papa dolce e a tratti commosso, ripetere: “non abbiate paura”. Ai giornalisti in aereo il Papa aveva spiegato che bisogna “rispettare nell’altro non soltanto la sua alterità, ma, nell’alterità la reale essenza comune di essere immagine di Dio, e trattare l’altro come un’immagine di Dio.” Ecco, immagine di Dio. Nessun credente che sia davvero tale può prescindere da questa verità: l’altro immagine del creatore. E se è così come si possono ammettere violenza e morte?

Ai media il Papa chiede un aiuto specifico proprio per far “passare” questo messaggio: “Importante qui è il lavoro dei giornalisti, che possono aiutare molto per mostrare come la violenza distrugge, non costruisce, non è utile per nessuno.” La proposta operativa concreta è la preghiera, la carità, ma anche un impegno sociale che sappia tener testa alle due “nuove realtà” che investono il Medio Oriente: “la laicità con le sue forme talvolta estreme, e il fondamentalismo violento che rivendica una origine religiosa.”

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Nella Ecclesia in Medio Oriente c’è la ricetta per una vera “primavera” della regione, c’è la condanna della “abilità manipolatrice di certuni” che insiema alla “comprensione insufficiente della religione” sono alla base del fondamentalismo. Gli “antidoti” sono la famiglia, l’educazione dei bambini e dei giovani, il rispetto del ruolo della donna (aspetto non indifferente in una società fortemente maschilista e patriarcale) , la formazione catechetica e religiosa in genere. Chi conosce davvero Cristo non può cedere alla violenza in nessuna sua forma, dice il Papa ai cristiani del Libano e del Medio Oriente. Ma dice anche che la comunione tra i cristiani è la sola testimonianza di pace. E’ l’unico mezzo per essere in comunione con tutti gli uomini, con tutti i credenti. Chiede che la vita sacramentale sia vissuta in pienezza, con lo sguardo alla autentica economia della salvezza, “in un’epoca in cui la dimensione escatologica della fede si è indebolita e il senso cristiano della storia, come cammino verso il suo compimento in Dio, si smorza a vantaggio di progetti limitati al solo orizzonte umano”.

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