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Diplomazia pontificia, il Cardinale Schoenborn in Arabia Saudita

L’arcivescovo di Vienna in Arabia Saudita per stringere relazioni. Non è il primo alto livello vaticano ad andare

Schoenborn - al Issa | L'incontro dell'arcivescovo Schoenborn con Mohamad al-Issa | da Twitter Schoenborn - al Issa | L'incontro dell'arcivescovo Schoenborn con Mohamad al-Issa | da Twitter

L’ultimo viaggio del Cardinale Jean-Louis Tauran fu in Arabia Saudita, nel 2018, e lì fu in grado anche di celebrare Messa, nonostante il territorio sia considerato sacro dall’Islam. Prima di lui c’era stato il Cardinale Bechara Rai, patriarca dei maroniti, che tra l’altro andò come “diplomatico” del suo Paese, risolvendo una situazione di crisi. La visita del Cardinale Schoenborn in Arabia Saudita, tuttavia, ha un sapore diverso: si inserisce in quella “diplomazia del secondo binario” (track two diplomacy) portata avanti dalle organizzazioni religiose. In particolare, Schoenborn è andato su invito della Lega Musulmana Mondiale, e la sua presenza è stata descritta come segno dei buoni rapporti che intercorrono con la Santa Sede.

Fondata nel 1962, la Lega Musulmana Mondiale include 22 Paesi a maggioranza musulmana. Ha sede alla Mecca, in Arabia Saudita. La Santa Sede non ha relazioni diplomatiche con l’Arabia Saudita, dove non è nemmeno permesso costruire chiese. Negli ultimi anni, l’Arabia Saudita ha effettuato un percorso di avvicinamento nel campo del dialogo interreligioso, finanziando, ad esempio il centro per il dialogo interreligioso KAICIID.

FOCUS DIALOGO

Il viaggio del Cardinale Schoenborn a Ryadh

Il Cardinale Christoph Schoenborn, arcivescovo di Vienna, è stato in viaggio in Arabia Saudita, su invito della Lega Musulmana Mondiale. Durante il viaggio, il Cardinale è stato ricevuto dallo sceicco Muhammad Bin Abulkarim al-Issa, segretario generale della Lega Musulmana Mondiale.

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Durante l’incontro, i due hanno discusso un serie di questioni di interesse comune, in particolare gli sforzi per costruire ponti tra le nazioni e i popoli e l’importanza di una cooperazione e comunicazione costante tra i leader religiosi per affrontare lo scontro di civiltà.

Le due parti hanno parlato anche della Dichiarazione della Mecca. Siglata nel 2019 da 139 Paesi a maggioranza musulmana, la dichiarazione respinge qualsiasi tentativo di collegare il terrorismo a qualsiasi nazionalità, civiltà o religione.

Il cardinale ha lodato – si legge in un comunicato della Lega Musulmana Mondiale – i risultati raggiunti dalla dichiarazione a livello internazionale, e messo in luce che questa porta messaggi positivi per le generazioni future, considerando che dedica parte del suo contenuto ai giovani.

Durante la visita in Arabia Saudita, il Cardinale ha anche incontrato lo sceicco Abdullahtif bin Abdulaziz Al-Sheikh, ministro del Culto, con il quale ha condannato ogni forma di violenza religiosamente legittima o addirittura di terrorismo come “abuso della religione.
L'Arcivescovo di Vienna ha accolto con favore, tra l'altro, gli sforzi compiuti dall'Arabia Saudita per investire di più nel sistema educativo. I giovani donne e uomini ben formati sono il futuro del paese. In questo contesto, Schönborn ha anche sottolineato che le religioni devono essere presentate correttamente e senza pregiudizi nei libri di scuola. 

Il cardinale ha anche confermato al ministro che Papa Francesco e il Vaticano sono estremamente interessati a buone relazioni con il mondo islamico. Lo dimostrano – ha detto - anche le visite del Papa negli Emirati Arabi Uniti (2019), in Iraq (2021) e in Bahrein (2022). Schönborn ha parlato di "incontri commoventi nello spirito di fratellanza".
Parlando dei migranti cattolici in Arabia Saudita, il Cardinale ha rimarcato che questi “sono fedeli al Paese che li ospita”, e ha riconosciuto alcuni passi di apertura in Arabia Saudita (dove non ci possono essere chiese).

I cristiani in Arabia Saudita sono al 100% migranti, molti provenienti dalle Filippine, dallo Sri Lanka, dall'India e dal Pakistan
Il cardinale Schönborn ha incontrato, tra gli altri, il viceministro degli Esteri Walid El Kheeiji. (Il ministro degli Esteri Faisal bin Farhan al Saud si è recato in Ucraina nel fine settimana.) L'arcivescovo di Vienna ha avuto anche uno scambio informale con alcuni membri del Consiglio della Shura. 

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                                                          FOCUS UCRAINA

Un anno di guerra in Ucraina, il punto di vista di Gallagher

La scorsa settimana, l’arcivescovo Paul Richard Gallagher, ministro vaticano per i Rapporti con gli Stati, ha concesso una intervista al settimanale gesuita America Magazine in occasione del primo anniversario della guerra in Ucraina. Una situazione, quella in Ucraina, che Gallagher ha definito “di stallo”, aggiungendo però di non credere che la Russia “possa mai soggiogare il popolo ucraino”.

L’arcivescovo Gallagher ha anche negato il fatto che la guerra sia stata creata dall’Occidente, come sostiene Putin, e chiesto una “pace giusta”, che significa che la Russia deve lasciare il territorio ucraino.

Al momento dell’intervista (22 febbraio) l’arcivescovo Gallagher era appena tornato dalla Conferenza di Monaco sulla sicurezza, che era stata dedicata quasi completamente alla discussione sulla guerra in Ucraina. E la aveva definita una esperienza “non molto ottimistica” perché la gravità della situazione “era molto evidente”, e “nonostante i leader politici siano rimasti uniti sia nella condanna della aggressione russa e nel loro impegno a supportare l’Ucraina tutto il tempo necessario, c’era comunque una certa ansietà sottesa su quale sarebbe statto il rezzo di questa solidarietà”. C’è una opinione pubblica, in fondo, che sta mettendo in discussione queste decisioni.

L’arcivescovo Gallagher ha anche definito una “cattiva notizia” la sospensione della partecipazione della Russia al nuovo Trattato START sulle armi nucleari, nottando come ci sia stata “una grande erosione delle convenzioni e trattati sul nucleare in questi ultimi anni, e questo è un altro punto”. Questo significa che si deve cercare di “ripristinare la struttura della non proliferazione nucleare”, ma mostra anche che “un mondo armato di nucleare è un mondo pericoloso, è un mondo più insicuro”.

Il “ministro degli Esteri” vaticano sottolinea che il pericolo nucleare “è sempre presente”, e non si può escludere. A Monaco l’arcivescovo Gallagher ha visto “piccole” speranze di pace, e ha detto che comunque più che una mediazione, il focus resta sulla resistenza e su una vittoria militare”.

Da parte sua, la Santa Sede “sostiene la sovranità e integrità territoriale dell’Ucraina”, e “riconosce la libertà del popolo ucraino alla propria autodeterminazione”. La Santa Sede, ha aggiunto, continua ad avere contatti con Russia e Ucraina, per quello che si può.

Riguardo un possibile viaggio a Mosca e poi a Kyiv voluto dal Papa, Gallagher dice che “sarebbe lo scenario ideale” voluto dal Papa, ma “al momento non se ne parla davvero”, sebbene sia possibile che il Papa vada a Kyiv senza andare a Mosca.

L’arcivescovo Gallagher ha anche ricordato i suoi due incontri con il presidente russo Vladimir Putin, entrambi in occasione delle visite del presidente russo al Papa nel giugno 2015 e 2019, ma sono stati incontri “formali”, e piuttosto superficiali.           

                                                FOCUS PAPA FRANCESCO

Papa Francesco incontra l’ex presidente colombiano Manuel Santos

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Lo scorso 24 febbraio, Manuel Santos, ex presidente colombiano e Premio Nobel per la Pace, ha fatto visita a Papa Francesco insieme a sua moglie Maria Clemencia Rodriguez.

Santos era stato invitato dal Papa stesso, e ha spiegato al Papa come procede il processo di pace in Colombia, discutendo anche la situazione in Ucraina e i conflitti nel mondo.

L’ex presidente ha anche ringraziato Papa Francesco per la visita che questi ha fatto in Colombia nel 2017 e il suo appoggio per superare il conflitto nel Paese – il Papa inviò anche il Cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato vaticano, alla firma dell’accordo di pace. E, tra i doni di Santos al Papa, c’è stato proprio il “baligrafo” con il quale venne firmato l’Accordo di Pace con le FARC.

                                                FOCUS MULTILATERALE

Santa Sede a Ginevra, la questione dei diritti umani

Lo scorso 3 marzo, si è tenuta una riunione generale alle 52esima sessione del Consiglio dei Dirittti Umani di Ginevra. È intervenuto per la Santa Sede l’arcivescovo Fortunatus Nwachukwu, osservatore permanente della Santa Sede presso le Nazioni Unite e altre organizzazioni internazionali a Ginevra.

Nel suo intervento, l’arcivescovo Nwachukwu ha ricordato che ci troviamo in quella che Papa Francesco ha definito “terza guerra mondiale a pezzi”, e che tutti “siamo chiamati ad essere strumenti di pace e lavorare per un rinnovato senso della responsabilità e della solidarietà”, nonché sviluppare “un clima di mutua cooperazione e fiducia alla base di una pace a lungo termine”.

In particolare, il nunzio ricorda la crescita del conflitto in Ucraina dell’ultimo anno, il cui bilancio di morti “non è limitato a quelli che soffrono e perdono tragicamente le vite in battaglia o come conseguenze degli attacchi alle infrasrtutture civili”, ma anche a quanti sono colpiti dalle ripercussioni della guerra nei settori dell’energia e della produzione di cibo”.

Ma la Santa Sede chiede di non dimenticare “tutti gli altri teatri di tensione”, specialmente “in quelle terre dove ci sono protratte situazioni di instabilità”, tanto che si arriva a chiedersi se si è fatto tutto il possibile per fermare queste guerre.

La Santa Sede mette in luce “le letali conseguenze del continuo ricorso alla produzione e all’uso di nuovi e sempre più sofisticati armamenti”, e chiede piuttosto di proseguire nel percorso verso un disarmo integrale perché “non è nel possesso di armi che le nazioni troveranno sicurezza”, ma piuttosto in un rinnovato senso di “mutua fiducia e cooperazione”.

Nonostante, ha detto l’arcivescovo Nwachukwu, sia paradossale parlare di disarmo quando non avere armi significa non fare ciò che è inevitabile, allo stesso tempo il ritorno della minaccia nucleare è “di grande preoccupazione”.

La Santa Sede mette anche in luce che la guerra in Ucraina ha reso “ancora più evidente” la crisi del multilaterale, tra l’altro già evidenziatesi durante la pandemia del COVID 19.

Per questo, la Santa Sede considera riprovevole che “nel corso degli anni, gli strumenti della diplomazia e del dialogo sono stati gradualmente messi da parte e rimpiazzati dall’uso della forza” e ciò è successo anche nei fori internazionali, con “i sempre maggiori tentativi di alcuni Stati e coalizioni di imporre la loro prospettiva, marginalizzando quanti hanno punti di vista differenti”.

La Santa Sede stigmatizza la “polarizzazione del dibattito internazionale”, secondo una colonizzazione ideologica perpetuata anche attraverso “il garantire aiuto economico agli Stati che hanno bisogno di supporto solo a condizione che adottino una certa agenda”, a partire dal cosiddetto diritto all’aborto promosso da diversi “donatori governativi, anche in programmi proposti dalle agenzie ONU”.

Per la Santa Sede, quando la vita non è riconosciuta come un valore per sé, non si può comunque smettere di difendere bambini, non nati, malati, anziani e persone con disabilità. Ma il diritto alla vita è anche sotto attacco a causa della pratica della pena di morte.

Tutto, insomma, è parte di una cultura dello scarto continuamente denunciata dal Papa, e sarebbe comunque importante che gli Stati “prendano responsabilità verso i loro cittadini e proteggano la vita in ogni momento, dalla concezione alla morte naturale”.

La Santa Sede ha posto anche l’attenzione sulla difficile situazione di molti individui e comunità che soffrono di persecuzione a causa del loro credo religioso, mettendo in luce lo sviluppo di “misure repressive e abusi, anche da parte di autorità nazionali, contro minoranze religiosi in molte nazioni in tutto il mondo”, tanto che ai credenti viene “negato il diritto di esprimere e praticare la loro fede, anche quando questo non mette a rischio la sicurezza pubblica o violi il diritto di altri gruppi e individui”.

Anzi, la Santa Sede ha rimarcato l’escalation della profanazione e distruzioni di luoghi di culto, e sottolineato che la condizione dei credenti in alcune nazioni è “non meno preoccupante”. Perché lì, dietro “la facciata di tolleranza e inclusione, la persecuzione è perpetrata in maniera ancora più subdola e insidiosa”, così che “in sempre più nazioni assistiamo all’imposizione di differenti forme di censura che riducono la possibilità di esprimere la convinzione di ciascuno a livello sia pubblico e che politico con il pretesto di evitare di offendere le sensibilità dell’altro”, ma piuttosto andando a perdere molto spazio per un dialogo sano e anche il discorso pubblico”.

Più decresce questo spazio, più diventa difficile esprimersi in condizioni di libertà religiosa, ha affermatto l’arcivescovo Nwachukwu.

E infine, la Santa Sede nota che conflitti, ma anche i disastri naturali, sono “tra le prime cause dello sfollamento”, eppure il desiderio umano di una vita migliore porta “sempre più persone a lasciare la propria casa e comunità e migrare”, seguendo una scelta “non facile”, che mete anche le persone in balia dei trafficanti.

La Santa Sede chiede di non lasciare sole le nazioni ospiti” nel portare il peso dei flussi migratori”, e sottolinea l’importanza di una cooperazione multilaterale nel fornire aiuto internazionale e rispondere a situazioni di emergenza”.

                                                FOCUS NUNZIATURE

Un nuovo nunzio in Irlanda

Lo scorso 25 febbraio, Papa Francesco ha nominato l’arcivescovo argentino Luis Mariano Montemayor come nunzio apostolico in Irlanda. Era nunzio in Colombia dal 2018.

Classe 1956, entrato nel servizio diplomatico della Santa Sede nel 1991, ha servito nelle nunziature di Etiopia, Brasile e Thailandia. Dal 2008 al 2015 è stato nunzio in Senegal e Capo Verde, nonché Guinea-Bissau, e delegato apostolico in Mauritania, mentre nel 2015 fu inviato come “ambasciatore del Papa” nella Repubblica Democratica del Congo.

Dal 2018 era nunzio in Colombia.