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Diplomazia pontificia, no alla categoria gender, sì a quella di essere umano

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La battaglia diplomatica della Santa Sede è fatta soprattutto di dettagli. L’obiettivo è quello di fare sì che, in ogni documento, non compaiano delle categorizzazioni che mettono parte l’essere umano e la sua dignità che viene dall’essere immagine di Dio. E tra queste categorie, quella di gender. I motivi li ha spiegati la Santa Sede in un intervento a Ginevra su un particolare documento, che potrebbe avere una ricaduta anche sull’Accordo Globale per rifugiati.

Nella scorsa settimana, sono stati cinque gli interventi della Santa Sede presso le Nazioni Unite di Ginevra, nell’ambito di un 38esimo Consiglio dei Diritti Umani.

Santa Sede, no alla nozione di gender nei documenti sui rifugiati

Il 20 giugno, si è tenuto l’incontro del Comitato Permanente che siede all’interno del Comitato Esecutivo del Programma dell’Alto Commissario ONU per i Rifugiati. È stato lì che la Santa Sede ha preso la parola per esprime la sua “seria preoccupazione” riguardo un documento intitolato “Aggiornamento su età, gender e diversità”, un tema di particolare importanza perché anche il Programma di Azione della bozza dell’Accordo Globale sui rifugiati utilizza la stessa terminologia.

La preoccupazione è, in pratica, che la terminologia possa essere trasferita all’interno dell’Accordo Globale sui Rifugiati, andando così a creare una “sottocategoria” di rifugiati, quelli definiti attraverso il loro orientamento sessuale.

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È un tema sempre presente nelle discussioni della Santa Sede, parte di un dibattito forse trascurato nella stesura dell’Instrumentum Laboris del Sinodo sui giovani, documento vaticano dove per la prima volta si inserisce la sigla LGBT.

La Santa Sede ci tiene, nell’intervento dell’arcivescovo Ivan Jurkovic, Osservatore Permanente, a reiterare l’idea di un “approccio olistico” all’essere umano, dato che si tratta dell’unica modalità “attraverso cui l’Alto Commissariato Onu per i Rifugiati può prendere al meglio l’intero spettro di quelli che hanno bisogno di protezione, evitando così i rischi di stigmatizzare particolari individui o popolazione, sia che provengano da comunità maggioritarie o minoritarie, e in questo modo prendere meglio in considerazione l’inerente dignità della persona umana”.

La delegazione della Santa Sede fa notare che “le categorie ‘orientamento sessuale’ e ‘identità di genere’ utilizzate nel testo non hanno una definizione chiara e concordata nella legge internazionale.

Per questo – sottolinea l’arcivescovo Jurkovic – c’è il rischio di “introdurre nuove forme di categorie discriminatorie nella comunità umanitaria internazionale”. La Santa Sede si rifà alla grande battaglia combattuta in via dipomatica alla conferenza ONU sulle Donne di Pechino nel 1995, quando dovette reiterare che la parola gender poteva essere interpretata solo nel senso di “identità biologica sessuale, uomo o donna”, mentre veniva esclusa ogni interpretazione dubbia che andava a soddisfare quelli che allora venivano descritti come “nuovi e differenti scopi”.

La Santa Sede vede chiaro il rischio che il documento presentato dall’Alto Commissario, sebbene apprezzabile per la difesa dei rifugiati, ponga “una seria minaccia all’Accordo Globale sui Rifugiati e alla sua eventuale implementazione, dato che introduce nuove ed ambigue categorie di rifugiati, con alcuni rifugiati che sembrino meritare maggiore o migliore protezione degli altri”.

Questo però – nota la Santa Sede - non ricade nemmeno nella missione dell’Alto Commissariato, che è chiamato a “guidare e coordinare l’azione internazionale per la protezione mondiale dei rifugiati e la risoluzione dei problemi dei rifugiati”, ma che non fa menzione di alcuna preferenza per gruppi o individui particolari di rifugiati.

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La Santa Sede sottolinea di avere “piena confidenza che l’Alto Commissario e il suo staff possano e debbano rispettare la dignità, i diritti umani, e i bisogni diversi di ogni rifugiato, sia ragazzo o ragazza, donna o uomo, senza introdurre nuove e confusionarie categorie di diversità”.

Anche perché – aggiunge l’arcivescovo Jurkovic – le molte organizzazioni cattoliche o ispirate ad altre fedi che lavorano sul campo in favore dei rifugiati potrebbero vedere il loro impegno e la efficace collaborazione messa in atto “minata” dalla “ambiguità di parte del linguaggio e del frasario e delle politiche proposte, che non godono di condiviso consenso internazionale”.

Sul diritto alla pace

Questo è il più importante di una serie di interventi della Missione della Santa Sede a Ginevra. Il 14 giugno, l’arcivescovo Jurkovic ha parlato al panel “Mezzi per costruire la pace dentro e tra società. Eguaglianza e non discriminazione, giustizia e Stato di diritto e libertà da paura e volontà”. Il panel era parte di un “workship” sul diritto alla pace.

La delegazione della Santa Sede ha sottolineato che “tutti hanno diritto di godere della pace”, e per questo tutti gli Stati devono impegnarsi per “soddisfare il loro solenne dovere e responsabilità di trovare percorsi verso una pace sostenibile”.

Quindi ha notato che il lavoro della diplomazia multilaterale è stato nell’ultimo secolo “uno dei luoghi principali dove le nazioni, sulla base del principio che tutti gli Stati hanno eguale dignità, hanno lavorato per armonizzare le loro relazioni.

In particolare, la Santa Sede ha ricordato che lo sviluppo, cui è legata la pace, “è chiamato a rispettare integralmente tutte le persone umane dal concepimento alla morte naturale, con i suoi valori culturali e religiosi, inclusa la loro inalienabile libertà”.

Sul diritto all’educazione

Il 19 giugno, l’arcivescovo Jurkovic ha parlato di diritto dell’Educazione nell’ambito della 38esima sessione del Consiglio dei Diritti Umani.

In particolare, la Santa Sede ha invitato la comunità internazionale a non perdere l’occasione di mostrare solidarietà “supportando le nazioni che combattono per assicurare che la loro gente possa godere del diritto all’educazione”, e notato il contributo della Chiesa cattolica con il suo network di oltre 200 mila scuole e più di 1000 università cattoliche.

La Santa Sede ha anche sottolineato la necessità di garantire la libertà di educazione, tema che va inserito nel diritto e dovere inalienabile dei genitori di educare i figli. Una liberà che è “cruciale per permettere all’educazione di giocare un ruolo ancora più profondo nella società”.

Sulla violenza sulle donne

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Il 20 giugno, l’arcivescovo Jurkovic è intervenuto alla presentazione del Rapporto speciale sulla Violenza contro le donne.

“Nonostante i progressi compiuti – ha sottolineato l’Osservatore – la violenza contro le donne e le ragazze, in differenti forme e in vari contesti, resta un grave oltraggio ad ogni livello della società”.

La Santa Sede ha notato che la violenza sulle donne è stata “esacerbata dall’uso improprio di mezzi moderni di comunicazione”, e che le nuove tecnologie non riescono comunque a “proteggere adeguatamente la dignità della donna”.

Ma – sottolinea l’Osservatore – ottenere il pieno rispetto per le donne significa fare di più che “semplicemente condannare la violenza. Richiede anche un forte sforzo per promuovere ed educare il rispetto per l’altro, e per creare consapevolezza, specialmente nelle nuove generazioni, sul valore di un autentico dialogo”.

Sul traffico di esseri umani

Sempre nella stessa sessione del Consiglio dei Diritti Umani, la Santa Sede è intervenuta sul rapporto speciale sul traffico di esseri umani, un tema centrale della diplomazia vaticana con Papa Francesco – basti considerare il lavoro del Santa Marta Group, premiato con il premio “Path to Peace” dalla Missione della Santa Sede presso le Nazioni Unite di New York.

L’arcivescovo Jurkovic ha notato che “sebbene cresca il numero di uomini vittime della tratta”, sono uomini e bambini e rappresentare “la maggioranza delle vittime”, spesso “venduti dai loro stessi parenti e forzati al matrimonio, al sesso o al lavoro”.

L’Osservatore della Santa Sede ha ricordato nel suo intervento proprio la Costituzione del Santa Marta Group, e messo in luce come il rapporto ONU nota come il traffico di esseri umani a volte resta nascosto tra le pieghe dell’immigrazione, e per questo c’è bisogno di migliori sistemi di “registrazione e screening” per “identificare e proteggere le vittime”, e di ulteriori leggi nazionali perché le vittime non siano criminalizzate, e siano perseguiti “sia i trafficanti che gli utenti” del traffico di esseri umani, e distruggere i network illegali.

La Santa Sede propone un sistema di prevenzione, protezione e reintegrazione delle vittime; l’uso dei beni sequestrati dai trafficanti per assistere le vittime; registrazione delle nascite; apertura di percorsi legali per le migrazioni; maggiore collaborazione tra gli attori coinvolti e maggiore educazione.

Da New York, una risoluzione con un rischio terminologico

Non solo la questione del gender. Anche la frase “diritti di salute riproduttiva” è fortemente contestato dalla Santa Sede, perché dietro questa terminologia si nasconde un supposto diritto all’aborto.

E la terminologia è introdotta anche in risoluzioni come quella sul “Rafforzamento della Coordinazione dell’Assistenza per Emergenza Umanitaria delle Nazioni Unite”.

Parlando della risoluzione davanti al segmento di Affari Umanitari del Consiglio Economico e Sociale delle Nazioni Unite, l’arcivescovo Bernardito Auza, Osservatore Permanente della Santa Sede presso l’ONU di New York, ha sottolineato che il testo ha avuto dei miglioramenti, in particolare sul tema dell’educazione dei bambini durante situazioni umanitarie, e sulla protezione dei minori e sugli sfollati, ma allo stesso tempo ha stigmatizzato i termini di salute sessuale e riproduttiva, servizi di salute sessuale e riproduttiva e gender.

La Santa Sede ha puntualizzato che “aborto” e farmaci abortivi non possono essere considerati presidi sanitari, e che la parola gender deve essere radicata nell’identità e nelle differenze biologiche di ciascun essere umano.

Messaggio di Papa Francesco al Libano

Con un messaggio inviato lo scorso 20 a giugno a Michel Aoun, presidente del Libano, Papa Francesco ha assicurato che la Santa Sede è determinata a continuare a “lavorare con il Libano al servizio della pace, del dialogo e della giustizia nel mondo”.

La lettera sigla la “pace diplomatica” tra la Santa Sede e il Libano, dopo le vicissitudini dovute prima alla ricusazione, da parte della Santa Sede, dell’ambasciatore designato perché massone, e poi dalla fine mandato per pensionamento dell’ambasciatore Antonio Raymond Andary, soluzione “ponte” da parte del Libano anche per i suoi trascorsi in Argentina.

Il nuovo ambasciatore del Libano presso la Santa Sede è stato individuato in Farid al Kazen, e il 21 giugno è arrivato in Libano il nuovo nunzio, l’arcivescovo Joseph Spiteri. Il nunzio Spiteri è stato ricevuto da Papa Francesco lo scorso 18 giugno.

Nella missiva riportata dall’agenzia libanese ANI, il Papa ha riaffermato il suo amore per il Libano e i libanesi. La lettera era la risposta agli auguri che il presidente Aoun aveva inviato a Papa Francesco per il quinto anniversario di Pontificato.

Kharrazi incontra il Cardinale Parolin

Kamal Kharrazi, politico iraniano già ministro degli Esteri e ora a capo del Consiglio Strategico della Politica Estera, ha incontrato il Cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato vaticano, lo scorso 20 giugno. La visita si inseriva in una più ampia visita istituzionale di Kharrazi in Europa.

Kharrazi sta cercando di salvare l’accordo sul nucleare iraniano, dopo che gli Stati Uniti hanno dichiarato la loro recessione unilaterale dell’accordo. Con l’accordo – conosciuto come Joint Comprehensive Plan of Action – l’Iran si impegnava a eliminare i suoi stoccaggi di uranio mediamente arricchito, e allo stesso tempo di ridurre dei 2 terzi le centrifughe di gas.

La Santa Sede, membro fondatore dell’Agenzia Internazionale per l’Energia Nucleare, ha sostenuto l’accordo, e tra l’altro mantiene buoni rapporti con l’Iran. Secondo quanto dichiarato da Kharrazi all’agenzia iraniana MNA, il Vaticano continua a supportare l’accordo e chiede alle altre nazioni europee di rimanere nell’accordo.

Kharrazi ha anche affermato che il Vaticano “può giocare un ruolo molto importante nel fermare le attuali atrocità che hanno luogo nella regione”.

Una giornata di preghiera per la pace nello Yemen

Si svolge il 23 giugno una giornata di preghiera per la pace nello Yemen, su iniziativa di monsignor Paul Hinder, vicario apostolico dell’Arabia del Sud. Il territorio dell’Arabia del Sud comprende Emirati Arabi Uniti, Oman e Yemen. Secondo monsignore Hinder, la voce di Papa Francesco può avere “una certa influenza”.

Il Papa ha fatto un appello per la pace nello Yemen all’Angelus dello 17 giugno. Dopo anni di conflitto, lo Yemen è allo stremo, e le Nazioni Unite hanno lanciato anche l’allarme per una possibile epidemia di colera che è scoppiata l’anno scorso nella zona di al-Hudaya, e che potrebbe propagarsi, anche considerando che il 25 per cento dei bambini yemeniti soffrono di malnutrizione acuta, e più di 100 mila son in pericolo di vita a causa della mancata assistenza medica.

L’iniziativa di monsignor Hinder ha l’obiettivo – ha detto il vicario apostolico – di “non dimenticare le vittime di questo conflitto e i martiri che si contano anche all’nterno della comunità cristiana”, tra cui le quattro suore di Madre Teresa uccise nell’ambito del sanguinoso rapimento del sacerdote salesiano Tom Uzhunnalil.

La Santa Sede è molto attiva nel Golfo, nonostante le difficoltà. Papa Francesco ha ricevuto persino un invito ad andare negli Emirati Arabi Uniti, mentre il Cardinale Jean – Louis Tauran, presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani, è stato di recente in Arabia Saudita al culmine di una serie di scambi che il dicastero da lui guidato ha avuto con la Lega Musulmana Mondiale.

Il ricevimento della nunziatura di Italia presso la Santa Sede

Si è tenuto lo scorso 19 giugno il tradizionale ricevimento di ambasciata presso la Nunziatura di Italia presso la Santa Sede. Quest’anno, il ricevimento è stato organizzato in occasione dei cinque anni di pontificato di Papa Francesco.

È la prima volta che il ricevimento di nunziatura avviene con un nunzio non italiano, l’arcivescovo svizzero Paul Emil Tscherrig, La nunziatura ha sede dal 1959 in Villa Giorgina, nel quartiere Salario, donata alla Santa Sede da Abramo Giacobbe Levi, ebreo salvato dalla famiglia dalla persecuzione razziale grazie all’intervento di Pio XII, poi convertitosi al cattolicesimo e morto nel 1949.

Il ricevimento è stata la prima occasione di incontro ufficiale tra membri della Santa Sede e del nuovo esecutivo. Al ricevimento ha preso parte il Primo Ministro Giuseppe Conte, il ministro della Giustizia Alfono Bonafede, il ministro dell’Economia Giovanni Tria e il ministro della Difesa Elisabetta Trenta, nonché il ministro per il Lavoro Luigi di Maio e la presidente del Senato Elisabetta Casellati.

La mediazione dei vescovi in Nicaragua

Dopo essersi ritirati dal tavolo del dialogo, i vescovi del Nicaragua hanno presentato al presidente Ortega una loro proposta il 7 giugno, continuando a lavorare per la pacificazione nazionale.

Forte l’appello del Cardinale Leopoldo Brenes, arcivescovo di Managua, affinché cessassero gli attacchi contro la popolazione della città di Masaya, iniziati il 19 di giugno.

Il 22 giugno il cardinale Brenes,, il suo ausiliare José Silvio Báez, e il nunzio apostolico, l’arcivescovo Waldemar Stanisław Sommertag, accompagnati da alcuni sacerdoti dell’arcidiocesi di Managua, sono arrivati a sorpresa a Masaya e hanno portato in processione il Santissimo, bloccando così di fatto gli attacchi delle forze governative.

La delegazione è poi riuscita ad entrare nella sede della polizia e a parlare con il comandante Ramon Avellan, ottenendo l’impegno a far cessare gli attacchi. Il nunzio e il cardinale Brenes hanno chiesto la liberazione dei detenuti, fornendo alle autorità un elenco dettagliato.