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Diplomazia pontificia, “restituite Notre Dame ai credenti”

In un intervento all’UNESCO, la Santa Sede rilancia l’idea di Notre Dame come patrimonio religioso. Intanto, ci si prepara al ministeriale USA sulla libertà religiosa

Monsignor Follo | Monsignor Follo, osservatore della Santa Sede presso l'UNESCO, durante la riunione UNESCO di Baku | UNESCO Monsignor Follo | Monsignor Follo, osservatore della Santa Sede presso l'UNESCO, durante la riunione UNESCO di Baku | UNESCO

In un intervento all’UNESCO, la Santa Sede ha ribadito l’importanza spirituale, prima che culturale, della Cattedrale di Notre Dame a Parigi. La situazione in Medio Oriente è invece oggetto di attenzione sia per un recente pronunciamento di un tribunale israeliano riguardo alcune proprietà sulla porta di Giaffa, sia per l’appello del Consiglio Ecumenico delle Chiese sullo status di Gerusalemme. Intanto, gli Stati Uniti si preparano ad ospitare il secondo ministeriale sulla libertà religiosa nel mondo.

Notre Dame, ricostruire l’origine di un’opera

La cattedrale di Notre Dame a Parigi, il cui tetto è stato distrutto da un incendio lo scorso 15 aprile, è un’opera che va ricostruita dalla sua origine, e che non può prescindere dalla sua dimensione religiosa: lo ha detto monsignor Francesco Follo, osservatore permanente della Santa Sede all’UNESCO, nel suo intervento lo scorso 4 luglio alla 43esima sessione del Comitato del Patrimonio Culturale e Mondiale dell’UNESCO, che si tiene a Baku.

Le parole di monsignor Follo rimarcano quelle dell’arcivescovo di Parigi Michel Aupetit, il quale, nella prima Messa nella cattedrale in ricostruzione lo scorso 15 giugno, aveva voluto mettere in luce come non si trattasse solo di un’opera culturale, ma di un luogo la cui pietra angolare è Cristo. Parole che vanno inserite nel quadro di un dibattito forte in Francia: dalla legge della separazione del 1905, la cattedrale è di proprietà dello Stato, sebbene concessa permanentemente alla Chiesa per ragioni di culto, e si è parlato di escludere la Chiesa dai comitati della ricostruzione. Si era persino pensato a un progetto che “rinnovasse” la cattedrale, ma il Parlamento francese ha poi votato che Notre Dame dovesse essere ricostruita così come era.

Nel suo intervento, monsignor Follo ha ricordato che Papa Francesco ha auspicato in un messaggio all’arcivescovo di Parigi che “la cattedrale di Notre-Dame possa ridiventare, grazie al lavoro di ricostruzione e alla mobilitazione di tutti, questo bellissimo gioiello nel cuiore della città, segno della fede di chi lo ha costruito, chiesa madre della vostra diocesi, patrimonio architettonico di Parigi, della Francia e dell’umanità”.

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Per monsignor Follo, va messo al centro “il carattere centrale della dimensione culturale” di Notre Dome, in quanto “il restauro e la ricostruzione della cattedrale, così come di tutti gli oggetti di interesse religioso protetti dall’UNESCO, implicano di “ricostruire l’origine di un’opera” trovando “l’evento generativo che ha creato il suo significato”, e per questo “è una priorità prendere in considerazione i bisogni dell’adorazione e le pratiche correlate che devono continuare ad essere praticate”.

Monsignor Follo sottolinea che è “fondamentale salvaguardare” questo significato religioso, perché alla cattedrale “sono collegati ed interdipendenti, da un lato, la vita religiosa e le forme in cui si esprime, e dall’altro il culto e le strutture che lo mantengono” e dunque “gli elementi che saranno ricostruiti devono soddisfare lo scopo per il quale è stato costruito l’edificio”.

Conclude monsignor Follo: “Per la comunità di cristiani che vogliono tornare a vivere nella cattedrale, è necessario restituire non solo un bene culturale, ma anche un luogo in cui è possibile fare una esperienza del suo significato e della stessa fede di quella di coloro che lo hanno costruito” e dunque la Santa Sede desidera “che la cattedrale di Notre Dame de Paris sia restituita ai credenti, ai non credenti e alle generazioni future secondo il principio che la salvaguarda del patrimonio culturale, inclusa la sua fondamentale dimensione religiosa, è una condizione essenziale della sua valorizzazione”.

Israele, la questione della Porta di Giaffa

Una dichiarazione congiunta della 13 Chiese cristiane della Città Santa ha espresso preoccupazione che le manovre del gruppo ebraico Ateret Cohanim possano minacciare la presenza cristiana in Israele. In particolare, il gruppo starebbe cercando di appropriarsi delle proprietà ortodosse della Porta di Giaffa. Questo potrebbe tagliare fuori il quartiere cristiano della città.

La storia inizia nel 2004, quando il Patriarcato Greco Ortodosso guidato allora dal Patriarca Irineos ha venduto ad Ateret Cohanim tre proprietà nella Città Vecchia di Gerusalemme. Due di queste erano nel quartiere cristiano, alla porta di Giaffa, mentre uno era stato venduto nel quartiere musulmano.

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La Ateret Cohanim è stata fondata nel 1978, e opera nell’acquisto di proprietà palestinesi da riservare agli israeliani ebrei. Il Patriarcato Greco-Ortodosso ha rilasciato lo scorso 12 giugno sul suo sito una dichiarazione in cui definisce Ateret Cohanim parte “dei gruppi estremisti di colonizzazone”.

La vendita delle proprietà da parte di Irineos ha provocato la rabbia dei fedeli ortodossi. Il Patriarca Ireneos è stato rimosso, e il suo successore, Teofilo III, ha fatto appello ai tribunali per contestare la vendita che, ha affermato, era non valida perché era stata compiuta senza il consenso della comunità ortodossa, in particolare del Consiglio Sinodale, il Collegio superiore che si occupa di questioni ecclesiastiche e amministrazone). In più, Teofilo III aveva sollevato sospetti di corruzione.

Nel 2017, il tribunale distrettuale di Gerusalemme aveva approvato la vendita, perché non c’erano prove che sostenessero la tesi di una vendita illecita e il 10 giugno 2019 la Corte Suprema Israeliana ha confermato la vendita, chiudendo così una battaglia legale che è durata 15 anni. Tra i tre edifici ci sono l’Imperial Hotel e il Petra Hotel, che si trovano all’ingresso occidentale della città vecchia e che restano nelle mani di Ateret Cohanim.

Le Chiese di Gerusalemme avevano già più volte levato la voce sulla questione. Ora, in un nuovo comunicato, hanno sottolineato che “tentare di minare l’esistenza di una Chiesa qui minerebbe tutte le Chiese e la più ampia comunità cristiana nel mondo”, una preoccupazione giustificata dal fatto che i due hotel sono posizionati strategicamente di fronte alla Porta di Giaffa, la via più diretta per accedere al quartiere cristiano, e si pensa che ci possano essere azioni per bloccare gli accessi.

Non solo: le Chiese sottolineano che l’acquisto non solo colpisce i diritti di proprietà della Chiesa ortodossa di Gerusalemme, ma anche lo status quo. Stabilito nell’impero ottomano, lo status quo regola anche l’accesso alla Città Vecchia di tutte le religioni presenti.

In particolare, il Patriarca Teofilo III ha sottolineato che se ci saranno restrizioni all’accesso alla zona, cristiani e pellegrini perderanno anche l’accesso principale alla Chiesa del Santo Sepolcro.

I leader delle Chiese cristiane hanno ricordato con forza che “l’esistenza di una comunità cristiana che vive a Gerusalemme è essenziale per la conservazione delle diverse comunità ed è un prerequisito di pace in questa città”.

Il Consiglio Ecumenico delle Chiese parla di Gerusalemme, città delle tre religioni

Si è tenuta il 27 e il 28 giugno a Ginevra una conferenza internazionale sulla “Questione di Gerusalemme”, organizzata dal Comitato per l’Esercizio dei Diritti Inalienabili del Popolo Palestinese con il supporto dell’Organizzazione per la Cooperazione islamica . Il Consiglio Mondiale delle Chiese, in un messaggio, ha descritto la Città Santa come una città “di amore, pace e speranza”, il cui dolore è “profondamente radicato nella sua gloria, la sua identità, la sua eredità culturale, storica e religiosa”.

Il messaggio del Consiglio Mondiale delle Chiese sottolinea che le porte di Gerusalemme “devono rimanere aperte al mondo, oltre la politica, i conflitti e le divisioni” e che il futuro di Gerusalemme “deve essere condiviso, non può essere possesso esclusivo di una fede contro le altre, o di un popolo contro gli altri”.

Gerusalemme, conclude il messaggio, deve rimanere una città delle tre religioni, perché “lo status unico di Gerusalemme, la sua unica identità e storia, deve riflettersi in un concreto patto internazionale che assicuri che resti una città per due popoli e tre religioni”.

L’Egitto legalizza 127 chiese cristiane

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L’Egitto ha legalizzato 127 chiese cristiane che fino ad ora operavano senza permesso del governo, ha annunciato International Christian Concern, un gruppo che vigila sulle persecuzioni nel mondo.

Le approvazioni sono venute da un comitato creato nel 2016, che è il risultato di una legge del 2016 che intendeva semplificare il processo di legalizzazione delle chiese. Il comitato punta a legalizzare tutte le chiese ancora non regolarizzate nel Paese, che sono più di 3 mila. Il comitato è supervisionato dal primo ministro Mostafa Madbouly, e lo scorso marzo ha già legalizzato 156 edifici di chiese e strutture collegate alla Chiesa.

I negoziati in Venezuela

Ci sarà un terzo round negoziale sul Venezuela, che dovrebbe aprirsi la prossima settimana alle Barbados, dopo quello che si è tenuto in Svezia, cui ha partecipato anche un rappresentante della Santa Sede. E dovrebbe sedersi al tavolo anche il capo dell’opposizione Juan Guaidò, autoproclamatosi presidente, che non ha comunque risparmiato toni critici contro il governo.

Il terzo round negoziale ha l’obiettivo di “avanzare nella ricerca di una soluzione concordata e costituzionale per il Paese”, si legge in un comunicato del ministero degli Esteri norvegese, che sta mediando tra le parti, insieme ad altri Paesi.

Un nuovo ambasciatore del Nicaragua presso la Santa Sede

Rosario Murillo, vicepresidente del Nicargua, ha informato lo scorso 9 luglio che la Santa Sede ha dato il beneplacito alla nomina di Gilda Maria Bolt Gonzalez come nuovo ambasciatore del Nicaragua presso la Santa Sede”.

Bolt Gonzalez sostituisce Esther Carballo, che avrà nuovi incarichi nel governo. Nel ministero degli Esteri dagli anni Ottanta, Bolt è stata ambasciatore del Nicaragua in San Salvador dal 2007 ad oggi.

L’ex ambasciatore USA presso la Santa Sede alla guida di un nuovo organismo del governo sui diritti umani

Il dipartimento di Stato degli Stati Uniti ha stabilito un consiglio sui diritti umani e ha nominato alla sua guida Mary Ann Glendon, già ambasciatore degli Stati Uniti presso la Santa Sede, che è stata anche presidente della Pontificia Accademia delle Scienze Sociali e membro del Consiglio di Sovrintendenza dell’Istituto delle Opere di Religione.

Nell’annunciare il nuovo organismo lo scorso 8 luglio, Mike Pompeo, segretario di Stato americano, ha detto che “è triste commentare che oggi, 70 anni dopo la Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo, grandi violazioni di questi diritti avvengono in tutto il mondo”.

Per questo “è arrivato il tempo per una revisione informata dei diritti umani americani nella politica estera”.

Molti gli incarichi “vaticani” di Mary Ann Glendon. Fu lei, nel 1995, a guidare la delegazione della Santa Sede alla quarta Conferenza ONU sulla donna a Pechino nel 1995.

In patria, Glendon è stata anche commissario della Commissione USA sulla libertà religiosa internazionale dal 2012 al 2016.

Questa nuova commissione sarà un gruppo di consulenza composto da esperti di diritti umani, filosofi e altri da tutto lo spettro politico, con la missione centrale di avanzare “i principi fondanti della nostra nazione e i principi della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani”.

Altri membri della commissione sono Paolo Carozza, professore di Legge a Notre Dame; Katrina Lantos Swett, che ha guidato la commissioen USA sulla Libertà Religiosa internazionale; il filosofo Christopher Tellefsen.

Ministeriale sulla libertà religiosa

Ci sarà anche l’arcivescovo Paul Richard Gallagher, “ministro degli Esteri” vaticano, al secondo Ministeriale sulla Libertà Religiosa promosso dal Dipartimento di Stato statunitense. L’arcivescovo Gallagher aveva partecipato già lo scorso anno. Con lui, l’arcivescovo Pierre, nunzio apostolico negli Stati Uniti. Il ministeriale si tiene dal 16 al 18 luglio, mentre il 15 luglio Sam Brownback, ambasciatore per la Libertà Religiosa Internazionale, guiderà un tour privato del Museo dell’Olocausto degli Stati Uniti per i sopravvissuti alla persecuzione religiosa. Dopo il tour, l’ambasciatore Brownback terrà un discorso e parteciperà ad una cerimonia di accensione delle candele.

Il 16 luglio, il ministeriale discuterà di come governo, società civile e leaders religiosi possono collaborare maggiormente per promuovere libertà religiosa. Il 17 luglio, ci saranno diverse discussioni con esperti, e il Dipartimento di Stato presenterà il suo primo Premio per la Libertà Religiosa a persone che hanno dimostrato un continuo e instancabile impegno nel promuovere la libertà religiosa.

Il 18 luglio, saranno sviluppati approcci collaborativi per nuovi impegni per promuovere la libertà religiosa, e i partecipanti si riuniranno al Museo Nazionale della Storia e cultura Afro Americana per riconoscere un impegno globale per promovere la libertà religiosa internazionale.

Inizio della missione per il nuovo nunzio in Lituania

È arrivato a Vilnius lo scorso 9 luglio, accolto in aeroporto da tutta la Conferenza Episcopale Lituana, l’arcivescovo Petar Raiic, che Papa Francesco ha nominato nunzio apostolico per i Paesi Baltici. È, per l’arcivescovo Rajic, “un ritorno a casa”, dato che aveva servito nella nunziatura di Vilnius dal 1996 al 1998 come consigliere di nunziatura.

L’arcivescovo Rajic viene dall’incarico di nunzio apostolico in Angola e Sao Tomé e Principe. Canadese, classe 1959, sacerdote dal 1987, ha lavorato nella rappresentanze pontificie di Iran e Lituania e quindi presso la Segreteria di Stato vaticana. Nel 2009, è stato nominato nunzio apostolico di Kuwait, Bahrain e Qatar e delegato apostolico nella penisola arabica, mentre dal 2015 è stato nunzio in Angola e Sao Tomé.

È il sesto nunzio per i Paesi baltici dall’indipendenza. L’arcivescovo Rajic sostituisce l’arcivescovo Pedro Lopez Quintana, che lo scorso 9 maggio è stato nominato nunzio apostolico in Austria. Da maggio a luglio, la nunziatura di Vlnius è stata guidata da monsignor Christopher T. Washington, numero 2.

Accordo della Santa Sede con il Burkina Faso

È composto da un preambolo, 19 articoli e un protocollo addizionale l’accordo firmato tra Santa Sede e Burkina Faso lo scorso 12 luglio, nel Palazzo Apostolico Vaticano.

L’accordo – si legge in un comunicato della Sala Stampa della Santa Sede - “garantisce alla Chiesa la possibilità di svolgere la propria missione in Burkina Faso”, e in particolare “viene riconosciuta la personalità giuridica pubblica della Chiesa e

delle sue Istituzioni”.

Stato e Chiese, mantenendo la loro indipendenza e autonomia, si “impegnano a collaborare per il benessere morale, spirituale e materiale della persona umana e per la promozione del bene comune”.

L’accordo, firmato nella Sala dei Trattati entrerà in vigore con lo scambio degli Strumenti di ratifica. Per la Santa Sede ha firmato l’arcivescovo Paul Richard Gallagher, Segretario per i Rapporti con gli Stati, e per il Burkina

Faso Alpha Barry, Ministro degli Affari Esteri e della Cooperazione. Tra coloro che hanno assistito alla firma, anche il Cardinale Philippe Ouedraogo, arcivescovo metropolita do Ouagadougou.

Il Burkina Faso è stato recentemente vittima di una ondata di attacchi jihadisti.