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Pace in Terrasanta, l’esortazione della Santa Sede all’ONU

Nazioni Unite | Il Palazzo delle Nazioni Unite a New York | Andrea Gagliarducci / ACI Group Nazioni Unite | Il Palazzo delle Nazioni Unite a New York | Andrea Gagliarducci / ACI Group

In un intervento eccezionalmente in lingua araba, l’arivescovo Bernardito Auza, Osservatore Permanente della Santa Sede presso le Nazioni Unite, ha chiesto con forza lo sviluppo dei negoziati tra Israele e Palestina, e ha chiesto una fine del flusso di armi e una intensificata azione umanitaria in Siria.

L’intervento della Santa Sede ha avuto luogo il 26 gennaio, in un incontro sulla “Situazione in Medio Oriente, inclusa la questione palestinese” organizzato dall’Uruguay, attuale presidente del Consiglio di Sicurezza. Il dibattito tocca alcuni temi sensibili della diplomazia della Santa Sede. La Siria è stata una delle prime preoccupazioni diplomatiche di Papa Francesco. Quando nel 2013 organizzò la giornata di digiuno e preghiera per il Medioriente, pensava proprio alla martoriata Siria. Due anni dopo, la situazione è peggiorata, il conflitto si è allargato, la situazione umanitaria è difficilissima. E poi c’è la situazione palestinese. Anche qui, Papa Francesco ha voluto dare l’esempio, organizzando la Preghiera per la Pace nei Giardini Vaticani. Ora la Santa Sede ha firmato un accordo con lo Stato di Palestina, che, al di là delle tensioni diplomatiche con Israele, si propone come un modello per tutti gli altri accordi con i Paesi arabi e soprattutto un mezzo per sviluppare la pace nella regione.

Ma come giungere alla pace tra Israele e Palestina? La risposta dell’arcivescovo Auza è che ci vogliono negoziati portati avanti direttamente dalle parti in causa, anche se “con il forte supporto delle autorità internazionali”. Si tratta di una situazione che richiede “decisioni coraggiose” e implica il fatto che “ciascuno conceda qualcosa all’altra”, ma che comunque resta l’unica via per giungere alla pace, se davvero “Israele e Palestina vogliono avere sicurezza, prosperità una pacifica coesistenza fianco a fianco in confini internazionalmente riconosciuti”.

La Santa Sede denuncia che “alcune situazioni in entrambi i popoli hanno sofferto troppo a lungo della mistificata visione che la forza risolverà le loro differenze”. Invece “solo negoziazioni sostenute e portate avanti in buona fede risolveranno le loro differenze e porteranno pace ai popoli di Israele e Palestina”. Insomma, “atti di violenza e di retorica infiammatoria devono essere messi da parte in favore di voci di dialogo che diano a entrambi i popoli quella pace cui da tempo aspirano”.

L’arcivescovo Auza fa quindi riferimento all’Accordo tra la Santa Sede e lo Stato di Palestina, che “riguarda la vita e l’attività della Chiesa in Palestina,” ma che deve servire anche “come esempio di dialogo e cooperazione, in particolare per le nazioni a maggioranza cristiana e musulmana” nella “complessa realtà del Medio Oriente, dove, in alcune nazioni, i cristiani hanno sofferto persecuzioni”.

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Capitolo Siria, un conflitto che dura almeno da cinque anni. L’Osservatore della Santa Sede nota che “più che essere un conflitto tra Siriani, combattenti stranieri provenienti da tutto il mondo continuano a commettere atti indicibili di orrore contro la popolazione civile in Siria in parti dell’Iraq”.

Questi “foreign fighters” hanno portato “a violenze settarie e persecuzioni delle minoranze etniche e religiose della zona”, e serve – come ha detto Papa Francesco nel suo discorso al corpo diplomatico – “una azione politica comune e condivisa” per fermare “la diffusione dell’estremismo e del fondamentalismo” e quegli “atti di terrorismo che causano un numero inestimabile di vittime, non solo in Siria e Libia, ma anche in altre nazioni nella regione del Nord Africa”.

L’arcivescovo Auza menziona solo “gli orrendi atti di violenza contro la popolazione della Siria”, senza andare nei dettagli (lo hanno già fatto le altre delegazioni), ma “rafforza di nuovo il suo appello a tutti quelli che sono interessati a fermare il flusso di armi nella regione e ad intensificare l’azione umanitaria, per poter dare ai disperati un rifugio, e a tutti quanti sono sfollati i mezzi per rimanere nella loro nazione, quanto più possibile vicini alla loro terra di origine, con adeguato cibo, medicine, acqua, accesso all’elettricità ed educazione per i giovani”.

La Santa Sede – da sempre – supporta la risoluzione 2254 delle Nazioni Unite, che chiede “sovranità, indipendenza, unità e integrità territoriale della Repubblica Aarba Siriana” e “una stabilizzazione politica al conflitto in Siria”. La speranza è che il tavolo di Ginevra che comincerà alla fine della settimana Ginevra porti frutti, dato che questi negoziati sono “la migliore opportunità della Comunità Internazionale di portare una stabile e durevole pace nella Siria e nella Regione”.

Come già ha fatto Papa Francesco nel discorso agli ambasciatori, le speranze sono poste sulla Quarta Conferenza Umanitaria, sperando che questa “allevierà le sofferenza della popolazione nella regione e contribuirà a una globale stabilizzazione del conflitto”.