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Processo Palazzo di Londra, forse Parolin alla fine non testimonierà

Questa settimana in Vaticano, un processo civile e uno penale. Ecco quello che è successo. E la posta in gioco

Processo Palazzo di Londra | Una udienza del processo vaticano sulla gestione dei fondi della Segreteria di Stato | Vatican Media / ACI Group Processo Palazzo di Londra | Una udienza del processo vaticano sulla gestione dei fondi della Segreteria di Stato | Vatican Media / ACI Group

Papa Francesco non testimonierà al processo sulla gestione dei fondi della Segreteria di Stato, e questo era prevedibile, nonostante alcuni degli imputati abbiano chiamato proprio il Papa tra i testimoni. Ma forse non ci sarà nemmeno il Cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato vaticano, che pure aveva dato disponibilità a venire in tribunale, perché lo stesso tribunale ha deciso che è meglio sentire prima l’arcivescovo Edgar Pena Parra, sostituto della Segreteria di Stato, e solo successivamente, e se è necessario il Segretario di Stato in persona. Non sarà più ascoltata, invece, Francesca Immacolata Chaouqui, chiamata come testimone dal Promotore di Giustizia per un secondo round di domande, questa volta sul suo coinvolgimento nella vicenda.

Nell’udienza numero 44 del processo vaticano si sono cominciati a delineare i contorni delle testimonianze richieste dalla difesa e dalle parti civili Ma si è affrontato anche il tema del cosiddetto “processo Sardegna”, la parte di processo che riguarda il Cardinale Giovanni Angelo Becciu e il suo presunto peculato per aver destinato fondi della Segreteria di Stato alla Caritas della sua diocesi di origine diretta dal fratello, Antonino Becciu, che sarà anche lui tra i testimoni.

In una nota separata, va notato che questa settimana è cominciato anche in Vaticano il processo intentato da Libero Milone, già Revisore Generale della Santa Sede, che chiede quasi dieci milioni di danni insieme al suo vice Panicco per essere stato allontanato ingiustamente dalla Santa Sede. Un processo, anche questo, che coinvolge il Cardinale Becciu, accusato da Milone di averlo allontanato con false premesse.

Prima di andare avanti, c’è bisogno comunque di ritracciare i fili della storia.

Il processo sulla gestione dei fondi della Segreteria di Stato

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Le udienze di questa settimana hanno riguardato due processi. Il primo è un processo penale, che però riguarda ben tre diversi filoni processuali, combinati in uno solo. Uno di questi filoni riguarda l’investimento, da parte della Segreteria di Stato, in un immobile di lusso a Londra. Dell’immobile erano state comprate quote, affidate prima al broker Raffaele Mincione e poi al broker Gianluigi Torzi. Quest’ultimo aveva tenuto per sé le uniche mille quote con diritto di voto, esercitando pieno controllo dell’immobile, ragion per cui la Segreteria di Stato aveva deciso di rilevare interamente il palazzo. Il processo include accuse di truffa, peculato, estorsione, e coinvolge nove imputati più alcune società. Si deve definire se la Segreteria di Stato sia stata truffata, se abbia subito un danno o se semplicemente non ha saputo gestire un investimento, o lo abbia fatto male.

Il secondo filone del processo penale riguarda la cosiddetta “vicenda Sardegna”, ovvero la questione dei fondi della Segreteria di Stato (circa 150 mila euro) destinati ad una cooperativa in Sardegna legata alla Caritas di Ozieri. Direttore della Caritas è il fratello del Cardinale Becciu, Antonino Becciu, e l’ipotesi di reato è quella di peculato, ovvero che il Cardinale, allora sostituto della Segreteria di Stato, avesse destinato i fondi per favorire i famigliari. Fino ad ora, non sono emerse prove del peculato, ma l’inchiesta ha portato anche ad una rogatoria internazionale verso l’Italia per una indagine parallela svolta dalla Guardia di Finanza, tanto che un esponente della Guardia di Finanza è andato a testimoniare nell’udienza numero 44.

Il terzo filone, invece, riguarda l’ingaggio, da parte della Segreteria di Stato, di Cecilia Marogna come consulente di intelligence, specialmente per la liberazione di alcuni prigionieri. L’accusa a Marogna è di aver intascato soldi dalla Segreteria di Stato senza averli impiegati per quello cui erano effettivamente destinati, cioè il lavoro per la liberazione di alcuni ostaggi in Africa.

Il processo Milone

Diverso, invece, il processo di Libero Milone, che insieme al suo allora vice revisore generale Panicco, ha intentato causa alla Santa Sede per danni morali e materiali. Milone era stato allontanato dal suo incarico di revisore generale su richiesta diretta di Papa Francesco, ma Milone ha sempre sostenuto che questa richiesta – di cui si era fatto portatore il Cardinale Becciu – fosse falsa, e che invece si fosse ordito un complotto ai suoi danni perché stava lavorando per la trasparenza in Vaticano.

Alcune questioni critiche

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Di fatto, l’udienza sulla gestione dei fondi della Segreteria di Stato ha portato alcuni aspetti critici che vale la pena di affrontare.

Prima di tutto, va segnalata l’irritualità dell’interrogatorio nei confronti del colonnello della Guardia di Finanza di Oristano Pasquale Pellecchia. In pratica, le autorità dello Stato vaticano chiamano a testimoniare le forze di polizia di uno Stato estero, che tra l’altro hanno sequestrato documenti appartenenti alla diocesi, diffuso alcune intercettazioni tra cui la famosa registrazione della telefonata tra il Cardinale Becciu e Papa Francesco, tra gli elementi sequestrati dalla Guardia di Finanza in tre dispositivi di una parente di Becciu e finita in pasto alla stampa mentre ai giornalisti che erano in aula in Vaticano non era stata fatta sentire perché ancora non ammessa come prova nel processo. La Guardia di Finanza ha anche delineato quello che descrivono come un quadro di pressioni dietro l’accettazione, da parte di Papa Francesco, delle dimissioni del vescovo di Ozieri Vittorio Pintor.

Ammesso e non concesso che queste pressioni ci fossero, l’accettazione delle dimissioni di un vescovo al compimento del 75esimo anno di età, anno canonico per il ritiro, è un fatto che riguarda sempre e solo il Santo Padre, e nessuna autorità può andare a mettere in questione la volontà del Papa sul tema.

Quindi, va segnalato l’interrogatorio a Carlo Fara, funzionario dell'ufficio di informazione finanziaria dell’Autorità di Informazione Finanziaria fino al 2019, quando ha ricevuto un'altra offerta e ha preferito dunque lasciare l'autorità i cui vertici erano stati "decapitati" e che aveva subito un duro colpo alla sua indipendenza di intelligence con le perquisizioni in Segreteria di Stato. Gli è stato chiesto di quando ha cominciato ad occuparsi dell’acquisizione del palazzo di Londra, e soprattutto perché non avesse mai segnalato al promotore di giustizia della situazione.

Ma non c’era alcuna situazione da segnalare, per due motivi. Il primo è la procedura: c’era una segnalazione di attività sospetta, che in realtà era una richiesta di collaborazione ai sensi dell'articolo 69A della legge antiriclaggio, ma l’autorità di intelligence deve fare le sue verifiche prima di riportare al Promotore di Giustizia per le indagini. Erano state attivate, come già emerso durante il processo, cinque Unità di Informazione Finanziaria estere per fare le adeguate verifiche, e si attendevano tra l'altro ancora risposte dalla Gendarmeria. Non insomma c'erano ancora gli elementi per inviare una segnalazione al Promotore di Giustizia, perché questo viene fatto dopo le verifiche.

La seconda: la segnalazione riguarda il rischio di riciclaggio, ma in quel caso il rischio di riciclaggio ancora non c’era, erano soldi della Segreteria di Stato che venivano investiti. E, tra l'altro, da procedure GAFI (Gruppo di Azione Finanziaria Internazionale), l'autorità è tenuta a collaborare con le autorità. 

Va notato che il terzo rapporto sui progressi di MONEYVAL, nel 2017, notava che “i risultati nella applicazione delle leggi e l’attività giudiziaria a due anni dall’ultimo rapporto restano modesti” (punto 64 del Moneyval Progress Report sulla Santa Sede del 2017).

Significava che, a fronte delle segnalazioni dell’Autorità di Informazione Finanziaria, l’attività investigativa giudiziaria non dava seguito in maniera conforme.

Il rapporto sui progressi 2021 segnalava poi “miglioramenti nel quadro istituzionale e un approccio più proattivo applicato dal Corpo della Gendarmeria e dall’Ufficio del Promotore di Giustizia sono incoraggianti”, ma notava come “i risultati effettivi raggiunti durante il periodo in esame sono modesti”. 

Alla fine, veniva messa in luce una mancata efficacia del sistema giudiziario vaticano. Avrebbe il tribunale dato davvero seguito alle indagini se avesse ricevuto una segnalazione dall’autorità di intelligence? È una domanda da farsi, considerando però che l’Autorità di Informazione Finanziaria non era ancora arrivata al punto di dover avvertire il Promotore di Giustizia.

A Carlo Fara sono stati mostrati due contratti: uno del passaggio delle quote dell’immobile da Athena a Gutt e uno del passaggio a GUTT alla Segreteria di Stato. Sembra mancasse il contratto di gestione con cui la Segreteria di Stato affidava a GUTT la gestione strategica dell’immobile, ed era lì che presumibilmente erano previste delle penali. Sulla base di quelle penali si è trattato con Torzi la sua buonuscita, fino a giungere ai 15 milioni contestati dal Promotore di Giusizia come estorsione.

Il caso Sardegna

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Cerchiamo di entrare invece nel dettaglio della gestione SPES, la cooperativa legata alla Caritas di Ozieri. Il colonnello Pellecchia ha riferito delle tre informative stilate sui documenti di trasporto della SPES e sulla “nota informativa riservata” che non era firmata, ma attribuita al vescovo emerito di Ozieri Sergio Pintor, deceduto nel 2020.

Si è parlato anche dell’autoregistrazione della telefonata del Cardinale Becciu al Papa.

La nota del vescovo Pintor, datata maggio 2013 e ritrovata nello studio del vescovo Pintor, pone vari problemi, perché si tratta di documento appartenente alla Curia. Ma comunque, nel documento il vescovo Pintor lamenta di aver subito “forti ingerenze” dall’alto della Santa Sede tra il 2006 e il 2012, ingerenze attribuite al Cardinale Tarcisio Bertone, allora segretario di Stato, ma anche dall’allora sostituto Becciu e da altre personalità, oltre a pressioni ricevute da alcuni membri della famiglia Becciu, tutte nell’interesse di bloccare nomine di parroci. E Pintor sarebbe stato richiesto di inviare al Papa la lettera di rinuncia, prima del compimento dei 75 anni di età, e gli venne chiesto anche di non sostituire il direttore della Caritas diocesana Don Mario Curzu, nonostante le denunce di Pintor che nella SPES si sfruttavano le persone povere.

Pintor lamenta anche che l’amministratore apostolico nominato alla sua rinuncia, Sebastiano Sanguinetti, è arrivato in diocesi appena due giorni dopo, e avrebbe poi annullato tutto il suo lavoro.

Si è parlato anche del cosiddetto “conto promiscuo” SPES su cui venivano accreditati i fondi provenienti della Segreteria di Stato, e poi di documenti della consegna del pane della SPES, che secondo Pellecchia sarebbero stati falsificati e le consegne mai avvenuta.

Da parte sua, il Cardinale Becciu ha respinto “con la massima fermezza alcune affermazioni contenute nell’informativa della Finanza”, ha notato che le missive del vescovo Pintor sarebbero dovute rimanere nell’archivio diocesano, ha lamentato che non c’è “uno straccio di prova” che riconosca che le dimissioni del vescovo Pintor siano avvenute su pressioni esterne, e che i rapporti si incrinarono quando nell’ottobre 2011 Becciu non diede seguito ad una segnalazione del vescovo, che rimase vittima del suo temperamento rancoroso.

Resta che la nota informativa è una nota personale, che le autorità italiane hanno preso documenti di una Curia diocesana, che l’impianto accusatorio non ha prove.

I prossimi testimoni

Non ci sarà più Francesca Immacolata Chaouqui, né il confronto Chaouqui – Genevieva Ciferri richiesto dalle difese. Ma ci sarà, il 16 febbraio, il presidente dell’Istituto delle Opere di Religione Jean-Baptiste de Franssu.

De Franssu firmò l’autorizzazione al prestito che avrebbe consentito alla Segreteria di Stato di estinguere il mutuo dell’immobile di Londra. Ma questa autorizzazione, arrivata dopo mesi di studio e consistente con la missione dell’Istituto, fu revocata pochi giorni dopo, e fu lanciata poi la segnalazione che portò all’attuale processo. Il 17 settembre saranno senti i vescovi Sebastiano Sanguinetti e Corrado Melis, quest’ultimo oggi a capo della diocesi di Ozieri.

Il caso Milone

Diverso il caso di Libero Milone e del suo collaboratore Ferruccio Panicco, che hanno intentato una causa civile contro la Segreteria di Stato e l’Ufficio del Revisore. I due hanno portato una serie di trentanove allegati, per un totale di 545 pagine, che però sono stati definiti come “falsi” e “sottratti” all’ufficio del Revisore generale.

Milone e Panicco si erano dimessi nel giugno 2017. Milone era stato anche accusato di aver “incaricato illegalmente una società esterna di svolgere attività investigative sulla vita privata di alcuni esponenti della Santa Sede”.

I due chiedono un risarcimento di 9.278.000 euro per quello che loro definiscono un licenziamento, perché sostengono che le loro confessioni furono estorte . Gli inquirenti vaticani, dalla scorsa primavera, indagano Milone per Peculato.

Tra i danni subiti, il mancato rispetto delle regole, la lesione della loro immagine professionale, l’impossibilità a ritrovare un lavoro a causa del carattere calunnioso del loro allontanamento. Ma anche la sospensione di terapie oncologiche per Panicco, perché i suoi referti medici sarebbero stati smarriti a seguito della perquisizione del suo ufficio in Vaticano da parte della Gendarmeria.

Secondo le difese, la citazione in giudizio è inammissibile e la causa è improcedibile per vari motivi: perché la causa è alla Segreteria di Stato, mentre Milone era sotto contratto della Segreteria per l’Economia e Panicco dell’Ufficio del Revisore. Ma anche, che sono passati cinque anni dai fatti, dunque c’è anche un profilo di prescrizione.

Per quanto riguarda i documenti presentati, il promotore di Giustizia Alessandro Diddi ha parlato di “ipotesi di sottrazione di documentazione pubblica”. Diddi era presente – ha detto – per “interesse pubblico”, perché “il mio ufficio ha il dovere di intervenire per tutelare l’interesse pubblico”.

Tutto è ancora da decidere, per il Tribunale di Giuseppe Pignatone. Si aspetta il suo pronunciamento per eventualmente andare avanti con il processo.