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Una “Messa per la pace” nella chiesa ancora distrutta è il segno della speranza di Mosul

Chiesa Siro Cattolica di San Tommaso a Mosul | La messa per la Pace nella chiesa di San Tommaso, a Mosul (Iraq) | Fides Chiesa Siro Cattolica di San Tommaso a Mosul | La messa per la Pace nella chiesa di San Tommaso, a Mosul (Iraq) | Fides

Era una diocesi che non esisteva più, in una città fantasma da dove i cristiani se ne erano andati. Ma ora Mosul, nel cuore della Piana di Ninive, ricomincia a vivere. C’è un nuovo vescovo caldeo, Najib Mikhael Moussa, che fu anche il domenicano che salvo la cultura custodita nella città. E la cattedrale siro-cattolica di San Tommaso è stata parzialmente ricostruita. Tanto che ci si è potuta celebrare una Messa.

E così, lo scorso 28 febbraio, la chiesa siro cattolica di San Tommaso, ancora ingombra di macerie, ha ospitato una “Messa per la Pace e per la Riconciliazione”. C’erano anche musulmani e persone appartenenti a minoranze non cristiane come gli yazidi, e Shabak, curdi e turkmeni, per una liturgia celebrata dall’arcivescovo siro cattolico Boutros Moshi.

La chiesa di San Tommaso si trova nel Quartiere dell’Orologio di Mosul, ed è una delle chiese più antiche della città, danneggiata ma non completamente distrutta nelle battaglie di Mosul e saccheggiata dai jihadisti durante l’occupazione.

C’era anche l’arcivescovo caldeo Moussa, colui che aveva salvato quanto più possibile degli antichi manoscritti nel territorio. E c’erano sette operatori di pace del Conflict Prevention Team della Ong “Un ponte per…”, perché la Messa serviva anche a sostenere un progetto della trasformazione non violenta dei conflitti nella società.

Ma si è trattato soprattutto di un incoraggiamento a tornare ai cristiani di Mosul, ancora impauriti, nonostante la città sia libera da circa un anno e mezzo. Eppure, segni di speranza ci sono. La chiesa è stata resa parzialmente agibile grazie a giovani volontari cristiani e musulmani.

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Le notizie del ritorno a Mosul sono contrastanti: chi dice che in molti sono tornati, chi dice solo una cinquantina di famiglie. La prima necessità è quella di ricostruire la speranza.