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Diplomazia pontificia, verso l’Urbi et Orbi di Papa Francesco

Papa Francesco all'Urbi et Orbi | Papa Francesco durante la benedizione Urbi et Orbi della Pasqua 2015 | Vatican Media / ACI Group Papa Francesco all'Urbi et Orbi | Papa Francesco durante la benedizione Urbi et Orbi della Pasqua 2015 | Vatican Media / ACI Group

Alla vigilia di Pasqua, c’è molta attesa per quello che dirà Papa Francesco nel tradizionale urbi et orbi. Migrazioni, traffico di esseri umani e attenzione agli emarginati furono i temi dello scorso anno, con speciali focus sulle situazioni in Ucraina, Repubblica Centrafricana, Terra Santa. Alcuni dei temi che saranno affrontati dal Papa domani si possono cominciare a intravedere dalle attività della diplomazia pontificia in quest’ultima settimana.

I sacerdoti uccisi

Walter Osmir Vazquez Jimenez era un sacerdote di El Salvador, ucciso Giovedì Santo mentre, dopo aver officiato la messa in Coena Domini, si stava spostando verso un'altra celebrazione. È l’ottavo sacerdote ucciso dall’inizio dell’anno, ucciso simbolicamente nella terra dell’arcivescovo Romero, che sarà presto canonizzato.

Una statistica, quella dei sacerdoti uccisi, destinata ad aggiornarsi. Prima di lui, lo scorso 22 marzo, era stato ucciso padre Desiré Angabata, parroco di Sekò nella Repubblica Centrafricana, che si era trovato nel mezzo di uno scontro tra due gruppi armati nel posto.

La statistica generale parla di 4 sacerdoti uccisi in America , 2 in Africa, uno in Europa e 1 in Asia, senza contare padre Florent Mhulanthie Teltshiedi, del Congo Democratico, trovato morto il 1 marzo ma la cui causa della morte ancora non è stata definita.

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Guardando più a fondo nei dati, si contano 2 sacerdoti uccisi in Messico, 1 in El Salvador e 1 in Colombia, dove la Chiesa è stata impegnata in un processo di pace ancora in corso; in Africa, le nazioni colpite sono il Malawi e la Repubblica Centrafricana. In Europa, l’assassinio è successo in Germania. L’Asia è stata colpita in India, dove si spera in un viaggio del Papa, ma si deve anche affrontare lo scoglio durissimo delle leggi anti-conversione.

Fino ad ora, la media è di un sacerdote ucciso ogni 12 giorni. Forse Papa Francesco, nel suo urbi et orbi, guarderà anche a questa triste statistica, lamentando ancora una volta che i cristiani sono oggi la religione più perseguitata al mondo.

La Santa Sede alle Nazioni Unite

Terminata la settimana di negoziati sui global compacts sulle migrazioni – se ne discuterà una settimana al mese per i prossimi sei mesi – l’attività multilaterale della Santa Sede rallenta un po’ in vista della Pasqua. L’arcivescovo Bernardito Auza, Osservatore Permanente della Santa Sede presso la Missione ONU di New Yorks, ha tenuto in questa settimana un solo intervento su “Azioni Collettive per migliorare le operazioni di peacekeeping delle Nazioni Unite”.

L’intervento è avvenuto lo scorso 28 marzo, durante una “Discussione Aperta” del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite.

La Santa Sede ha espresso apprezzamento per il contributo dato dalle operazioni di mantenimento della pace (peacekeeping) nel prevenire e risolvere i conflitti armati nel mondo.

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Allo stesso tempo, la Santa Sede ha notato che è il momento di cercare nuovi modi di fare queste operazioni più robuste, coerenti e globali. È essenziale – ha detto l’arcivescovo Auza – continuare a proteggere i civili e le infrastrutture civili, ma è anche molto importante che le operazioni permettano ai migranti forzati di tornare in sicurezza e con dignità nelle loro case. Questo lavoro deve essere fatta attraverso una cooperazione tra le agenzie delle Nazioni Unite e le controparti impegnate in azioni umanitarie.

Il tema probabilmente entrerà anche nei negoziati sul Global Compact per i rifugiati, perché da sempre la Santa Sede si batte per un diritto al ritorno, e ancora prima ad un diritto per i migranti di rimanere dove sono e non essere forzati a lasciare le loro case.

Tornando al tema delle operazioni di peacekeeping, la Santa Sede dice che queste deve essere fatte “in consultazioni con governi e popolazioni” direttamente colpite dalla crisi, non dimenticando che ogni operazione deve essere “disegnata a seconda dello specifico conflitto”, mentre le nazioni ospiti devono essere coinvolte dai funzionari delle missioni perché aiutino a comprendere la cultura del luogo e le sensibilità religiose delle popolazioni che vengono protette. In pratica, la Santa Sede chiede che nessuna operazione venga calata dall’alto, ma che coinvolga davvero tutti i fattori in gioco.

La Santa Sede ha anche notato i “seri sforzi” fatti dalla comunità internazionale per “prevenire gli abusi sessuali contro donne e bambini da parte di personale coinvolto nelle operazioni di peacekeeping”, una triste realtà che purtroppo si è verificata. Infine, l’arcivescovo Auza ha chiesto anche che gli operatori del peacekeeping siano adeguatamente protetti dalle possibili aggressioni, anche con un equipaggiamento adeguato.

Dalle nunziature

Lo scorso 26 marzo, l’arcivescovo Alessandro D’Errico ha presentato le sue lettere credenziali al governo di accordo nazionale di Tripoli, in Libia. La presentazione delle credenziali del nunzio è avvenuto insieme a quello degli ambasciatori in Libia di Ruanda, Norvegia, Bangladesh, Canada, Corea del Sud e Pakistan.

L’arcivescovo D’Errico è stato nominato nunzio apostolico in Libia il 10 giugno 2017, dopo che era stato nominato nunzio apostolico a Malta il 27 aprile 2017. Dal 1995, l’ambasciatore del Papa in Libia risiede a Malta, anche per la particolare situazione delle relazioni diplomatiche tra la Santa Sede e il governo libico.

Le relazioni diplomatiche tra Santa Sede e Libia sono state instaurate il 10 marzo 1997 con il breve Ad firmiores reddendas di San Giovanni Paolo II. Quando non c’erano piene relazioni diplomatiche, gli interessi della Santa Sede in Libia erano garantiti dal delegato apostolico con sede ad Algeri.

Il 29 marzo, Papa Francesco ha nominato l’arcivescovo Julio Murat nunzio apostolico in Guinea Equatoriale.

Classe 1961, di origine turca, l’arcivescovo Murat è stato ordinato sacerdote da San Giovanni Paolo II nel 1986. Entrato nel 1994 al servizio diplomatico della Santa Sede, ha lavorato nelle nunziature di Indonesia, Pakistan, Bielorussia e Austria ed ha servito nella seconda sezione della Segreteria di Stato dal gennaio 2003 fino al 2012, quando è stato nominato da Benedetto XVI nunzio apostolico in Zambia, e poi successivamente accreditato anche in Malawi.

Il 24 marzo 2018, è stato nominato nunzio apostolico in Camerun, cui ha aggiunto lo scorso 29 marzo l’incarico di nunzio apostolico in Guinea Equatoriale.

La Santa Sede e il Venezuela

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Lo scorso 26 marzo, il Cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato vaticano, ha ricevuto in Vaticano Hiram Gaviria, presidente del partito Puente, per uno scambio di opinioni sulla situazione in Venezuela.

La Santa Sede ha sempre guardato con attenzione alla situazione in Venezuela, e già in altre occasioni ha incontrato esponenti politici in Vaticano per discutere della situazione. Lo scorso giugno, alla vigilia di una modifica costituzionale avversata da tutti, che avrebbe solo rafforzato il potere esistente nel Paese, i vescovi venezuelani hanno chiesto una udienza dal Papa ,e poi hanno fatto sentire la loro voce, e più volte invocato l’apertura di un canale umanitario per l’emergenza nel Paese.

La Santa Sede si è detta anche disponibile ad una mediazione, ed ha inviato l’arcivescovo Claudio Maria Celli come inviato speciale del Papa, sostituito poi in uno degli incontri dall’arcivescovo Emil Paul Tscherrig, allora nunzio in Argentina ed ora nunzio apostolico presso l’Italia.

Appurata la difficoltà, per la Santa Sede, di operare una mediazione, non sono mai terminati i contatti, favoriti dal fatto che il Cardinale Parolin è stato nunzio in Venezuela prima di diventare capo della diplomazia vaticana.

Tra i temi dell’incontro tra Gaviria e il Cardinale Parolin, l’emergenza umanitaria, aggravata dalla mancanza di cibo e medicine e dalla fame della popolazione; il collasso di servizi come elettricità e trasporto pubblico; l’emigrazione massiccia. Entrambi – sottolinea una nota diffusa dall’entourage di Gaviria – “hanno concordato che è necessario continuare a fare sforzi per una uscita pacifica e negoziata dalla crisi venezuelana, e di elezioni libere e trasparenti, come ha richiesto Gaviria”.

È dello scorso 23 marzo, invece, la notizia che la deputata venezuelana Mariela Magallanes e l’ambasciatore Luis Ochoa, direttore degli affari internazionali del Parlamento, hanno consegnato all’arcivescovo Aldo Giordano, nunzio apostolico in Venezuela, una lettera per Papa Francesco per chiedere preghiere per il popolo venezuelano nei discorsi della Settimana Santa.

Dall’Ucraina 

Il Venezuela non era stato nominato nell’Urbi et Orbi dello scorso anno, ma è poi stato più volte oggetto delle attenzioni di Papa Francesco. C’era, invece, già l’Ucraina, anche questo oggetto di sollecitudine della Santa Sede, arrivato fino alla visita di Papa Francesco alla cattedrale greco-cattolica di Santa Sofia a Roma.

L’arcivescovo Claudio Gugerotti, nunzio apostolico in Ucraina, ha parlato della sollecitudine del Papa per il Paese in una intervista al giornale locale Obozrevatel, riportata poi dall’agenzia RISU.

L’ambasciatore del Papa in Ucraina ha sottolineato che il Papa è sempre interessato nel “conoscere storie di vita, che spesso riguardano le persone più povere ed umili. Non ama lunghe conversazioni, specialmente se queste sembrano retoriche e non connesse con realtà particolari”. Secondo il nunzio, il Papa chiede anche della “relazione tra le Chiese, e in particolare della vita delle comunità cattoliche nel Paese”.

L’arcivescovo Gugerotti ha poi aggiunto che “in particolare, durante l’ultimo incontro, Papa Francesco ha chiesto da dove venissero le armi della guerra, esprimendo profonda rabbia nei confronti di quanti guadagnano con la vendita delle armi”. Un altro tema di interesse è quello “dei prigionieri di guerra e delle loro famiglie”.

Per il Papa – ha sottolineato il nunzio – non c’è altro modo di superare il conflitto se non con “un dialogo forte, che rispetti la verità, che sia prima di tutto orientato alla dignità di ciascuno, al di là degli interessi finanziari”, e che sia attento alla “promozione del bene per la gente sofferente”, e sia orientato allo sviluppo di una “società libera”.

L’arcivescovo Gugerotti ha anche detto che il Papa “andrebbe con grande piacere in Ucraina”, terra di cui conosce “la storia e la sofferenza”, ma che “la condizione della sua visita è l’opportunità di essere un elemento di unificazione in modo da far crescere amore e comprensione reciproca nella nazione”, e non quello di “approfondire divisioni e contrasti”. Il tema ecumenico, in questo caso, è “molto importante”.

Tema ecumenico che riguarda in particolare i rapporti con il Patriarcato di Mosca, che più volte ha messo sul tavolo la questione ucraina, arrivando ad accusare l’operato della Chiesa Greco Cattolica di Ucraina anche in incontri ecumenici.