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Finanza vaticana, verso il prossimo giudizio di Moneyval

La crisi istituzionale che si è creata con le ultime recenti vicende finanziarie potrebbe avere ripercussioni nei rapporti della Santa Sede con Moneyval, Gruppo Egmont e controparti estere

IOR | La sede dell'Istituto delle Opere di Religione in Vaticano  | AG / ACI Group IOR | La sede dell'Istituto delle Opere di Religione in Vaticano | AG / ACI Group

La crisi istituzionale aperta con le perquisizioni in Segreteria di Stato e all’Autorità di Informazione Finanziaria (AIF) potrebbe avere ripercussioni sul prossimo “round” di valutazioni di Moneyval, il comitato del Consiglio d’Europa che valuta i sistemi antiriciclaggio degli Stati che vi aderiscono.

La Santa Sede ha aderito nel 2011, e da allora ci sono stati quattro rapporti del Comitato, che hanno certificato i costanti miglioramenti della Santa Sede. Il primo, del 2012, era quello generale sul sistema. Poi un primo rapporto sui progressi del 2013, un secondo rapporto sui progressi nel 2015 e un terzo rapporto sui progressi del 2017. 

Il comunicato finale del rapporto sui progressi 2017 ricordava che la Santa Sede era chiamata a presentare le azioni prese per attuare le raccomandazioni del comitato entro dicembre 2019, mentre la valutazione sarebbe stata fissata per il 2020 secondo le procedure ordinarie applicabili agli Stati che non sono sottoposti a monitoraggio rafforzato.

Tutto bene insomma. Ma andiamo più in profondità. 

La valutazione Moneyval del 2020, a differenza della precedente del 2012, si concentrerà sulla "effectiveness", cioè sull’efficacia del sistema antiriciclaggio, che – si leggeva al termine del rapporto 2017 – si valuta sulla base dei “risultati che sono raggiunti dalle azioni giudiziarie e dai tribunali”.

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Si tratta di un nodo cruciale, dato che lo stesso rapporto del 2017 notava che “i risultati nella applicazione delle leggi e l’attività giudiziaria a due anni dall’ultimo rapporto restano modesti” (punto 64 del Moneyval Progress Report sulla Santa Sede del 2017).

Sorge dunque la domanda se, negli ultimi cinque anni, periodo di interesse per i valutatori Moneyval, soprattutto l'ufficio del Promotore di Giustizia abbia effettivamente dato seguito alle raccomandazioni di Moneyval, e in che modo.

Dai rapporti pubblici si sa che nel 2016 è stata creata una sezione speciale contro i crimini economici e finanziari.  Da fonti aperte, risulta che, al 2018,  in 6 anni sono state 27 le segnalazioni dell'AIF al Promotore di Giustizia dello Stato della Città del Vaticano con “ipotesi di violazione dell’art. 421 bis c.p” la norma antiriciclaggio. Nove sono stati archiviati e per 6 si è chiesta l’archiviazione. Segno che qualcosa si è mosso. Dal 2018 al 2019, come afferma lo stesso Promotore di Giustizia, Gian Piero Milano, all’inaugurazione dell’anno giudiziario vaticano, c’è stata una significativa opera dell’ AIF con 6 segnalazioni. Di due precedenti segnalazioni si è arrivati all’archiviazione. Nel periodo precedente al 2016 non risultano invece azioni benché la creazione del sistema antiriciclaggio vaticano risalga al 2011.

Questa situazione non favorisce certo la Santa Sede, la quale, per quanto certamente è dotata di una indiscutibile peculiarità, è chiamata a rispondere con criteri obiettivi. Questi sono del resto gli obblighi internazionali assunti. E le statistiche di cinque anni non si sanano in un giorno. I fatti che hanno portato alle perquisizioni e alla sospensione di cinque officiali vaticani preoccupano dunque, e non poco, le controparti e gli organismi internazionali.

In particolare, ha colpito la sospensione del direttore dell'AIF, Tommaso Di Ruzza. L’autorità di intelligence finanziaria della Santa Sede e il suo direttore godono di credito non solo in Vaticano ma anche a livello internazionale. Forti anche i rapporti di fiducia con le controparti estere, le Unità di Informazione Finanziaria (UIF), a partire dall'Italia: il Protocollo d’intesa con la Banca d’Italia del 2016 fece seguito al protocollo di intesa siglato dall’AIF con Unità di Informazione Finanziaria nel 2013, segnalando un ottimo rapporto bilaterale.

Ma non solo. L'AIF negli ultimi cinque anni si è affermata come una controparte credibile nel contrasto ai crimini finanziari internazionali. Basti citare l'operazione che ha condotto all’arresto del consigliere della Corte dei Conti Federale del Brasile José Gomes Graciosa, alla quale ha dato un contributo decisivo proprio dell'AIF.

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A leggere le carte, fatte filtrare da un noto settimanale nazionale, si parlerebbe di un "ruolo poco chiaro” dell’AIF nella compravendita dell’immobile londinese da parte della Segreteria di Stato. Insomma, non ci sarebbero accuse specifiche contro il direttore e comunque si parlerebbe di attività istituzionali dell'AIF.

Ma lo stesso settimanale, non certo propenso a difendere la Chiesa, afferma che ci sarebbero “altre evidenze non citate dai magistrati. Che dimostrano come l'AIF, una volta avvertita da Pena Parra, avvisi subito le autorità antiriciclaggio inglesi e lussemburghesi”.

 Ciò fa sorgere altre domande.

Prima di procedere con le perquisizioni degli uffici dell'AIF sono stati verificati i reali poteri e doveri dell'AIF nella sua funzione di intelligence finanziaria? Se si parla di una segnalazione da parte della Segreteria di Stato, si è quindi verificato se vi fossero attività di intelligence finanziaria in corso? E poi, sono state valutate le conseguenze a livello internazionale? La segretezza delle informazione e la protezione dei documenti sono tra i principi fondamentali alla base delle attività di intelligence finanziaria internazionale. Qualora, durante il cosiddetto "raid" negli uffici dell'AIF ordinato dall'ufficio del Promotore di Giustizia, fossero state sequestrate comunicazioni di UIF estere non si farebbe attendere la reazione non solo delle UIF interessate ma anche del Gruppo Egmont, che riunisce le UIF di tutto il mondo, e del quale l'AIF è membro del 2013.

Questo fa porre altre domande. Soprattutto una: a quanto pare ci si trova di fronte ad una segnalazione di attività sospetta trasmessa dalla stessa Segreteria di Stato all’AIF. L’AIF avrebbe dunque fatto il suo lavoro, attivando le UIF estere, nell’interesse della Santa Sede, e chiedendo, riferisce sempre il settimanale italiano, di tracciare tutti i flussi finanziari. Facile immaginare che una volta tracciati i flussi si sarebbero potute accertate le reali dinamiche, e senza dare scandalo, la potenziale rete di approfittatori o addirittura truffatori, esterni e interni al Vaticano

Al di là delle buone intenzioni, ci si chiede allora se sia stato adeguatamente valutato il rischio di bloccare l'AIF proprio ad un passo dalla chiusura dell’operazione di intelligence. 

Queste, come pure altre, sono le domande che restano aperte, e che avranno un peso anche nei rapporti internazionali della Santa Sede.