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I martiri rossi e bianchi di Ungheria, segno di una fede forgiata con il sangue

Inaugurata una mostra organizzata dall’ambasciata di Ungheria presso la Santa Sede. Un modo per dare seguito al viaggio del Papa e raccontare la grande fede del popolo ungherese

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Una fede “forgiata nel sangue”: così Papa Francesco ha descritto la fede del popolo ungherese, durante il suo viaggio nel Paese. Un viaggio che aveva come sfondo non solo la presenza dell’apostolo della Chiesa del Silenzio, il Cardinale Jozef Mindszenty, citato anche dalla presidente ungherese Katalin Novak nel suo discorso, ma che viveva anche della storia dei nuovi martiri di Ungheria, vittime dell’oppressione comunista. Ci sono martiri rossi, cioè quelli morti uccisi dalle mani degli aguzzini, e martiri bianchi, ovvero coloro che sono morti a causa delle sofferenze, ma non per mano diretta degli oppressori. Sono, però, sempre martiri. Ed è a loro che ha guardato l’ambasciata di Ungheria presso la Santa Sede, con una mostra su “Martiri rossi e bianchi. Testimoni di fede nell’oppressione della dittatura comunista” e una tavola rotonda sul tema che si è tenuta il 15 maggio 2023.

Quella della mostra e della memoria storica si inserisce proprio in uno dei compiti dell’ambasciata di Ungheria presso la Santa Sede, che ha anche un delegato speciale per la cooperazione archivistica con la Santa Sede, la professoressa Kristzina Tóth.

Nella tavola rotonda dello scorso 15 maggio, dopo i saluti dell’ambasciatore di Ungheria presso la Santa Sede Eduard Habsburg-Lothringen, l’arcivesco Fabio Fabene, segretario del Dicastero per le Cause dei Santi ha ricordato i martiri del XX secolo, onorati da Giovanni Paolo II con una liturgia ecumenica nel Colosseo di Roma durante il Giubileo del 2000.

Gergely Kovács, rappresentante della Fondazione Mindszenty e postulatore della causa di beatificazione del cardinale e quella di altri martiri, ha ricordato che ci sono 16 cause di canonizzazione di martiri ungheresi, e che 12 di queste sono legate alla persione comunista della Chiesa.

Da parte sua, il vescovo greco-cattolico ucraino Irynej Bilyk, canonico della Basilica di Santa Maria Maggiore, ha raccontato come ha lavorato in quella che era l’Unione Sovietica per salvare le anime attraverso il suo esempio.

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I due si sono uniti poi ad una discussione con il professore Jan Mikrut, della Pontificia Università Gregoriana, autore di una monumentale ricerca sulla Chiesa del silenzio. I tre hanno discusso su come la persecuzione della Chiesa si sviluppava nei Paesi nell’area di influenza dell’Unione Sovietica, considerando differenze e somiglianze e andando anche a spiegare come la Chiesa riusciva a sopravvivere e persino a portare avanti l’educazione cattolica.

Infine, la professoressa Tóth ha spiegato quale è la ratio dietro la mostra, a partire dalla differenza tra martiri rossi e martiri bianchi. “I primi – ha detto – sono coloro che sono stati uccisi per la loro fede, e i secondi sono coloro che, pur non essendo morti subito a cause delle torture e dei trattamenti disumani, hanno sofferto senza sangue per la loro fede”.

La mostra resterà esposta fino al 26 maggio, e “ogni roll-up presenta una breve biografia di due martiri, con uno o due momenti importanti evidenziati in grassetto. Abbiamo ritenuto che questa fosse un'implementazione più tangibile rispetto al raggruppamento per processi farse o alla categorizzazione per anno”.

Inoltre, “tra i martiri, la maggior parte ha vissuto e lavorato nel territorio dell'attuale Ungheria, ma abbiamo ritenuto importante presentare anche gli esempi di martiri ungheresi che sono nati o lavorati tra i confini dell'antica Ungheria”.

Ha spiegato ancora la professoressa Tóth che “la mostra offre una selezione di martiri ungheresi raggruppati per tema”.

Così, “dopo una panoramica generale sulla persecuzione della Chiesa, che delinea le tattiche utilizzate per distruggerla gradualmente, si parte dal momento in cui le truppe sovietiche penetrarono in Ungheria, aprendo un'epoca segnata dall'ideologia comunista. La loro furia causò la morte del vescovo di Győr Vilmos Apor, che aveva protetto le donne nascoste nella sua residenza dai soldati sovietici, e di Mária Magdolna Bódi, un'operaia che difendeva il suo voto di castità, la fede e la morale cristiana”.

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Quindi, sono presentati i sette martiri francescani, quattro dei quali furono vittime del comunismo nei processi farse che screditarono la Chiesa e i suoi rappresentanti”.

Infine, ci sono sei martiri rossi e sei martiri bianchi, raggruppati in tre temi ciascuno. I martiri rossi sono “vittime di assassinio”, “in segreto per la salvezza delle anime” e “senza sentenza o in attesa di sentenza”. I martiri bianchi sono raggruppati tra coloro “impegnati per l’educazione della gioventù”, “politici che hanno difeso attivamente la loro fede” e “frutti della sofferenza”.

In particolare, ha detto la professoressa Tóth, quest’ultima categoria vede due martiri che si sentivano proprio arricchiti dalla sofferenza. In particolare, il padre Cistercense Vendel Endrédy ha detto: “Non scambierei le sofferenze di questi sei anni di prigione per nessun tesoro terreno. Ho ricevuto una cosa di immenso valore. Non riesco ad arrabbiarmi con nessuno dei miei aguzzini e torturatori. Prego volentieri per loro con tutto il cuore, per davvero”.

Si passa dunque ad una seconda sezione espositiva, dove si trova una mostra dedicata al Cardinale Mindszenty, che fu arrestato e condannato all’ergastolo in un processo farsa ormai già 75 anni fa, il 26 dicembre 1948.

Ha concluso la delegata speciale dell’ambasciata di Ungheria presso la Santa Sede: “La fede dei martiri rappresenta le radici che si intrecciano con la storia. Ed è particolarmente importante per una nazione conoscere il proprio passato, avere radici forti e solidi, perché così che può resistere alle tempeste del presente. Ci ispiriamo alla fede e all'esempio dei martiri per affrontare efficacemente le sfide del ventunesimo secolo”.