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Papa Francesco, l'impegno ecologico come frontiera del dialogo

Continuando un percorso cominciato con il COP26, Papa Francesco usa il tema della cura della casa comune come mezzo di dialogo ecumenico e diplomatico

Papa Francesco, Emirati Arabi Uniti | Papa Francesco nel Consiglio degli Anziani ad Abu Dhabi nel 2019 | Vatican Media / ACI Group Papa Francesco, Emirati Arabi Uniti | Papa Francesco nel Consiglio degli Anziani ad Abu Dhabi nel 2019 | Vatican Media / ACI Group

Non ci sarà Papa Francesco, come avrebbe voluto fare e come era stato annunciato, perché l'influenza che lo ha colpito lo scorso fine settimana ha bisogno di cure e non beneficerebbe di certo di un viaggio lungo in distanza e breve nel periodo. Tuttavia, il Papa dovrebbe essere rappresentato dal Cardinale Pietro Parolin, scelta ai massimi livelli, come era già successo non solo per il COP21 di Parigi, ma per la maggior parte delle Conferenze delle Parti ONU che si erano tenute successivamente. A testimoniare un impegno del Papa sul fronte della "cura della casa comune" che tocca anche il tema del dialogo diplomatico e del dialogo interreligioso. 

In questo, gli Emirati Arabi Uniti sembrano essersi trasformati nella nuova frontiera diplomatica di Papa Francesco. È lì che dal 30 al 12 dicembre si terrà la COP28, la 28 Conferenza delle Parti sul cambiamento climatico, un appuntamento cui il Papa tiene così tanto che lo ha preparato con una esortazione, la Laudate Deum, e ha poi deciso di partecipare. E perché ad Abu Dhabi si è tenuto il 6 e 7 novembre un vertice aperto a tutti i leader religiosi sul cambiamento climatico, promosso da Papa Francesco e dal Ahmad al Tayyb, Grande Imam di al Azhar. D’altronde, proprio con al Tayyb Papa Francesco firmò, ad Abu Dhabi, la Dichiarazione sulla Fraternità Umana.

La dichiarazione è stata firmata il 3 febbraio 2019, ed è diventata subito pietra miliare della diplomazia di Papa Francesco. Il testo viene donato a tutti i capi di Stato che vanno in visita dal Papa, insieme alla Fratelli Tutti, l’enciclica che prende le mosse proprio dalla Dichiarazione della Fraternità Umana.

Non sorprende, dunque, che gli Emirati abbiano invitato Papa Francesco a partecipare alla COP28. L’invito era arrivato ufficialmente lo scorso 11 ottobre, quando, ad una settimana esatta dalla promulgazione della Laudate Deum, Sultan al Jaber, presidente designato della COP 28, ha fatto visita a Papa Francesco. Al Jaber è stato anche intervistato dai media vaticani, discettando a lungo di cambiamento climatico e obiettivi condivisi con la Santa Sede.

La questione climatica, d’altronde, sta molto a cuore a Papa Francesco, il quale avrebbe già voluto partecipare alla COP26 di Glasgow, nel novembre 2021. Il viaggio non ebbe mai luogo. Se Glasgow però non era mai stato annunciato, lo era stato Dubai, e la rinuncia del Papa al viaggio è per questo ancora più doloroso.

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Il viaggio a Dubai avrebbe permesso infatti di sviluppare il tema della cura della casa comune come uno strumento per il dialogo interreligioso. Proprio in vista del COP 26, si era tenuto in Vaticano l’evento, “Faith and Science: Towards Cop26”, promosso dalle Ambasciate del Regno Unito e dell’Italia presso la Santa Sede, insieme alla stessa Santa Sede. Papa Francesco vi aveva partecipato, aveva consegnato un discorso in cui ribadiva che “tutto è connesso”, aveva firmato l’appello congiunto.

Il viaggio negli Emirati Arabi Uniti, preceduto dalla presenza del Cardinale Parolin a un vertice di leader religiosi per il clima ad Abu Dhabi a inizio novembre, si sarebbe messo su quella scia.

Il dialogo interreligioso, certo, sviluppato attraverso sfide comuni come la cura del creato, è il grande tema. Di certo, la eventuale presenza di Papa Francesco, e oggi la sua partecipazione in altra forma (ancora non definita) dà una grande spinta agli Emirati Arabi Uniti, impegnati da anni ad accreditarsi a livello internazionale. In fondo, gli Emirati stanno lavorando da anni sul concetto di fraternità, promuovendosi nella regione come sostenitori di un Islam tollerante e in dialogo con le altre fedi.

Quando Papa Francesco visitò gli Emirati nel 2019, si era al culmine di questo percorso. Papa Francesco andava a parlare ad una Conferenza Internazionale sulla Fraternità Umana. E la stessa conferenza era parte di un lavoro che puntava a trasformare Abu Dhabi nella “città della tolleranza”, e diede inizio ad un anno chiamato “Anno della Tolleranza” che voleva proiettare gli Emirati tra gli Stati che intrattengono il dialogo.

Ci sono due motivi per cui Papa Francesco guarda con attenzione agli Emirati. Il primo riguarda il fatto che negli Emirati l’Islam maggioritario è quello sunnita. Papa Francesco aveva avviato questo dialogo con l’Islam sunnita nel 2016, quando furono riaperti i colloqui con l’università al Azhar del Cairo. Da allora, Papa Francesco e il Grande Imam di al Azhar Ahmed El Tayyeb si sono incontrati quatro volte, e si incontreranno di nuovo all’incontro sulla Fraternità Umana organizzato da Mohamed bin Zayed al Nahyan, principe ereditario di Abu Dhabi. L’Islam sunnita, tra l’altro, ha avviato da tempo un percorso di “modernizzazione”, in particolare con un lavoro sul concetto di cittadinanza. Per il mondo musulmano, solo i seguaci del Profeta sono cittadini a tutti gli effetti, ma questa nozione era stata scardinata con la Dichiarazione di Marrakech del 2016, quella di Islamabad del 2019 e anche nell’Incontro Internazionale per la Pace del Cairo del marzo 2017, cui Papa Francesco ha partecipato.

Il secondo motivo riguarda la disponibilità degli Emirati, che hanno messo in campo molte energie e dato ampia disponibilità al Papa. Dopo la Dichiarazione della Fraternità Umana, è stato stabilito l’Alto Comitato per la Fraternità Umana, e ad Abu Dhabi è stata costruita la Abrahamic Family House, dove una si trovano sulla stessa piazza una sinagoga, una moschea e una chiesa dedicata a San Francesco.

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Allo stesso tempo ci sono due rischi. Il primo è quello di sbilanciarsi troppo verso l’Islam sunnita. Non è un caso che, quando Papa Francesco ha visitato l’Iraq nel 2021, sia stato incluso un incontro con il Grande Ayatollah al Sistani, aprendo un nuovo canale di dialogo con l’Islam sciita che ha portato, in Iraq, a stabilire la Giornata della Coesistenza. Il tema della fratellanza è stato poi anche parte del viaggio di Papa Francesco in Bahrein.

Sembra, invece, rimanere fuori da questo sforzo di dialogo con l’Islam il Marocco. Il Marocco ha una tradizione islamica diversa, che vede nel re del Marocco “il comandante dei credenti”. Visitando il Marocco nel 2019, tra l’altro, Papa Francesco firmò con il re una dichiarazione su Gerusalemme che ha oggi una sua importanza cruciale, considerando quello che accade in Terrasanta.

Sono tutte tradizioni islamiche che hanno il loro peso, e che potrebbero sentirsi trascurate da questo attivismo del Papa insieme all’Islam sunnita, favorito anche dai buoni rapporti con il Grande Imam al Tayyeb.

La seconda controindicazione è che il ruolo della Santa Sede diventi marginale. Nel 2018 il governo degli Emirati Arabi ha stabilito in collaborazione con la Santa Sede l’Alto Comitato della Fraternità Umana, chiamato anche a supervisionare alla costruzione della Abrahamic House e successivamente aperto anche al mondo della cultura e ad altre confessioni religiose.

Primo presidente del Comitato fu il Cardinale Miguel Angel Ayuso Guixot, presidente del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso. L’incarico di presidente dura un anno, ed è conferito alternativamente alla Santa Sede e a un rappresentante musulmano. Nel 2021, quando fu conferito il primo Premio al Zayed per la Fraternità Umana e Papa Francesco partecipò virtualmente alla premiazione, il presidente era Mohammed al-Mahrasawi, presidente dell’Università di al Azhar, creando così un vertice tutto musulmano.

Inoltre, negli inviti all’evento il Grande Imam di al Azhar era citato prima del Papa, che pure protocollarmente è un capo di Stato. Sono piccoli dettagli, che però non vanno sottovalutati.