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Diplomazia pontificia, la Santa Sede ha finalmente una casa a Cipro

Si apre a Cipro la nuova nunziatura apostolica. Un passo importante, nell’ultimo Paese diviso d’Europa

Nunziatura a Cipro | L'apertura della nunziatura a Cipro, 26 gennaio 2024. Da sinistra a destra: l'arcivescovo ortodosso di Cipro Georgios III, l'arcivescovo Pena Parra, sostituto della Segreteria di Stato, l'arcivescovo Dal Toso, nunzio in Giordania e Cipro | Nunziatura apostolica a Cipro Nunziatura a Cipro | L'apertura della nunziatura a Cipro, 26 gennaio 2024. Da sinistra a destra: l'arcivescovo ortodosso di Cipro Georgios III, l'arcivescovo Pena Parra, sostituto della Segreteria di Stato, l'arcivescovo Dal Toso, nunzio in Giordania e Cipro | Nunziatura apostolica a Cipro

L’apertura della nunziatura a Cipro è un passo importante non solo per le relazioni diplomatiche tra Santa Sede e Cipro, ma per la stessa isola, divisa ormai da più di 40 anni dopo l’occupazione turca che ha creato a Nord uno Stato riconosciuto dalla sola Turchia, dove le chiese e le cattedrali sono state trasformate in moschee, ma anche bar e luoghi di ritrovo.

Cipro, visitata da Giovanni Paolo II, Benedetto XVI e Papa Francesco, ha finalmente una casa per la nunziatura, perché il nunzio prima si appoggiava in una chiesa, che si trova tra l’altro proprio a ridosso della green line, dove anche Papa Francesco risedette.

Il fatto che l’attuale vicario del Patriarcato Latino a Cipro, la cui sede è stata aperta a settembre 2022, sia stato nominato vescovo ausiliare del Patriarcato, dice molto dell’importanza e del peso che ha questo territorio, parte della Terrasanta, dove passò Paolo e dove si trova la tomba dell’apostolo Barnaba. Il conflitto in Terrasanta, tra l’altro, ha reso Cipro anche un hub per i rifugiati del conflitto.

La scorsa settimana, il Cardinale Parolin è stato nella Pontificia Accademia Ecclesiastica, la scuola degli “ambasciatori del Papa”, per la festa dell’Accademia, che cade nel giorno di Sant’Antonio Abate, e in una omelia ha delineato il senso del lavoro dei diplomatici della Santa Sede.

                                                           FOCUS CIPRO

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Cipro, inaugurata la nuova nunziatura

Il 26 gennaio, è stata inaugurata la nuova nunziatura di Cipro, e come sempre in questi casi a presiedere l’inaugurazione c’è il sostituto della Segreteria di Stato, l’arcivescovo Edgar Peña Parra. Santa Sede e Cipro hanno stretto relazioni diplomatiche nel 1973, cinquanta anni fa, e dunque l’inaugurazione della nuova nunziatura si iscrive nelle celebrazioni di questo “giubileo”.

La nunziatura ha avuto finora la sua sede provvisoria nel convento di Santa Croce dei Padri Francescani, che da sempre svolgono l’attività pastorale della Chiesa Latina nell’isola.

È la prima volta, dunque, che la nunziatura, retta in maniera stabile da un incaricato d’Affari, ha una sua sede propria. Il nunzio a Cipro è il nunzio residente in Giordania, secondo una soluzione nuova, visto che fino a qualche mese fa il delegato apostolico a Gerusalemme era anche nunzio a Cipro, mentre la nunziatura di Giordania era collegata alla nunziatura in Iraq.

L’inaugurazione della nunziatura, cui ha presenziato anche l’arcivescovo ortodosso Georgios III, ha rappresentato un segno concreto dell’intensificarsi delle relazioni tra Santa Sede e Cipro. Negli ultimi anni, due Papi hanno visitato l’isola (Benedetto XVI nel 2010, Papa Francesco nel 2021), mentre lo scorso 24 novembre il presidente di Cipro Nikos Christodoulides è stato in visita ufficiale da Papa Francesco.

Nel discorso all’inaugurazione della nuova nunziatura, l’arcivescovo Peña Parra ha ricordato che Cipro e la Santa Sede hanno relazioni diplomatiche da cinquanta anni, e ha sottolineato che l’inaugurazione di una nunziatura apostolica non è solo un gesto diplomatico, ma anche un gesto pastorale nonché fraterno”, perché “la Chiesa Cattolica si sente a casa in ogni nazione”.

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Il sostituto ha sottolineato che la fede cristiana “cerca di essere inculturata tra i popoli, non attraverso strategia, ma per convinzione”, senza cambiare le abitudini di un popolo, ma accogliendole come un dono.

È con questo spirito che “la nunziatura è la casa del Papa in ogni nazione”, chiamata a “sviluppare una atmosfera di familiarità e fraternità”, e nel caso specifico di “portare testimonianza dell’affetto del Santo Padre per il popolo cipriota, per tutti quelli che vivono in questa terra o che vi passano per un po’.”

Il sostituto descrive tre desideri per l’edificio che si va ad inaugurare. Il primo è che sia “luogo di incontro”, al modo in cui Papa Francesco descrisse Cipro durante il suo viaggio nel 2021.

“Oggi forse più che mai – nota il sostituto – il servizio diplomatico della Santa Sede è consapevole della necessità di promuovere, in maniera rispettosa e costruttiva, la cultura dell’incontro”. In fondo, “questo è il vero scopo della diplomazia”, perché “quando le tensioni prevalgono sull’incontro e portano al confronto, la diplomazia deve riconoscere la sua sconfitta”, dato che “la diplomazia, per sua intima natura, cerca costantemente di essere al servizio dell’inclinazione naturale di individui e popoli di valorizzare le relazioni sociali e la bellezza della vita in comune”.

L'arcivescovo Peña Parra poi ha espresso il desiderio che la nuova nunziatura sia “uno scrigno di dialogo”, prima di tutto tra i cattolici nell’area, nella ricchezza delle loro varie origini e riti, latino e maronita.

Il sostituto sottolinea che la Chiesa ha Cipro nel cuore, e lo dimostra il fatto che nel 2022 è stato eretto un vicariato latino a Cipro, e che l’ordinario di questo vicariato, Fra’ Bruno Varriano, è stato recentemente nominato vescovo ausiliare del Patriarcato. Ma Peña Parra guarda anche alla comunità maronita, presente da secoli nell’isola, che ha dato “un contributo significativo alla crescita della nazione”.

Il numero due della Segreteria di Stato si augura dunque che la nuova nunziatura sia scrigno di dialogo tra i cristiani di diverse confessioni, a partire dall’arcivescovo ortodosso di Cipro Georgios III, considerando che “la tradizione ortodossa ha lasciato il segno nella nazione”, e da parte sua “la Chiesa cattolica desidera di portare avanti un percorso verso una comunione ancora più grande”, favorendo incontri tra diplomatici, coloro impegnati a promuovere la dignità della persona umana e la causa della pace e anche persone che “sperimentano la povertà in varie forme”, in modo da poter identificare soluzioni “che non restino astratte, ma siano concretamente umane”.

Il secondo desiderio dell’arcivescovo Peña Parra è che la nunziatura sia “casa di fraternità”, prima di tutto attraverso la testimonianza, perché “ogni nunziatura è anche chiamata ad essere un centro di promozione della fraternità umana”.

Promuovere la fraternità, in particolare, è una sfida di oggi, guardando in particolare al tema delle migrazioni, “così importante in questa nazione, una realtà non senza problemi e che deve essere gestita bene, specialmente attraverso un impegno concreto ed effettivo dell’intera Unione Europea nel regolare gli ingressi e in particolare nel distribuire quanti sono accettati”.

Nell’essere casa di fraternità, la nunziatura è chiamata ad essere “scrigno di carità”, in “aiuto del bene che, spesso in modi nascosti, si fa sentire in questa isola”.

Infine, Peña Parra esprime il desiderio che la nunziatura sia una “casa di speranza”. Il sostituto ricorda che quest’anno si concluderà con l’apertura della Porta Santa e l’inizio del Giubileo focalizzato sul tema della speranza, e a Cipro “aprire una porta di speranza significa venire a patti con una ferita che è ancora aperta e sanguinante”.

La ferita cui si riferisce il sostituto è la divisione dell’isola dopo l’invasione turca. “Penso – dice – a quanti non possono tornare nelle loro case, ma anche a molti luoghi di culto, alle ferite personali e sociali causate dalla divisione dell’isola, e ai quattro villaggi maroniti a nord della nazione, la cui identità va protetta”. Il sostituto chiede di operare “ogni possibile sforzo in tutte queste aree per dare priorità ai bisogni concreti della popolazione”.

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La nunziatura è dunque chiamata ad essere scrigno di pace, ed “è evidente a tutti noi quanto questa sia necessaria in un Medio Oriente a noi così vicino”.

                                               FOCUS SEGRETERIA DI STATO

Il Cardinale Parolin alla Pontificia Accademia Ecclesiastica

Il 17 gennaio è Sant’Antonio Abate, patrono della Pontificia Accademia Ecclesiastica, la scuola dei diplomatici vaticani. Nell’occasione, il Cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato vaticano, ha guidato in Accademia la preghiera dei Secondi Vespri e tenuto una omelia. Hanno partecipato all’incontro anche i superiori della Segreteria di Stato, e i diplomatici della Santa Sede residenti a Roma.

Nella sua omelia, il Cardinale Parolin ha ricordato il paradosso di Sant’Antonio Abate, il quale avviò il monachesimo cenobitico in modo sorprendente, “attirando numerosi discepoli mentre trascorreva una vita solitaria”, un paradosso che è anche nel ministero del nunzio, che sperimenta “a volte solitudini” e che si svolge prevalentemente in un ufficio, ma allo stesso tempo “concerne la vita di molte persone e comunità”.

Sant’Antonio – ha spiegato il Segretario di Stato vaticano – mostra anche come superare i momenti in cui “si avverte più la solitudine, allo scoraggiamento”, momenti che succedono anche ai diplomatici. In quelle situazioni, è importante “abbandonarsi non al nostro sentire, quanto alla fedeltà del Signore”.

Il Cardinale Parolin ricorda anche una visione di Sant’Antonio che “vide innumerevoli lacci del diavolo dispiegati a terra”, e sconfortato si domandò chi avrebbe potuto evitare tutti quei lacci, ricevendo in risposta una voce che diceva “l’umiltà”.

E così, Antonio Abate “rinunciò a se stesso per il Signore”, e “anteponendo il suo Dio al suo io”. Il cardinale Parolin nota che “l’umiltà genera fiducia, perché sposta il baricentro di se stessi al Signore, ci fa sentire amati e mai abbandonati”.

L’umiltà non è solo “una virtù”, ma “una disposizione del cuore che regge le altre virtù”. Ed è “impegnativa”, perché non consiste nel “sentirsi piccoli”, ma piuttosto “nel farsi piccoli”.

Inoltre – afferma il Cardinale Parolin – “l’umiltà, intesa come il porre la propria fiducia nell’attesa di Dio anziché nelle nostre attese, aiuta poi a mantenere la serenità interiore laddove siamo chiamati a rinunciare a certe circostanze o ambienti che sono più graditi, per inoltrarci in trasferte geografiche e lavorative forse impensate”.

Il Cardinale ha poi sottolineato che “è bello esercitare l’umiltà coltivando attenzioni per gli altri, compiendo gesti benefici, gratuiti e nascosti”, magari aiutando chi in nunziatura o in comunità sta attraversando tempi difficili. E in fondo anche Sant’Antonio uscì solo due volte, per confortare i martiri di Alessandria durante la persecuzione di Diocleziano e per portare sostegno al suo vescovo Sant’Atanasio nel contesto della crisi ariana”.

Il cardinale, poi, ricorda che ricorre l’800esimo della composizione del Cantico della Creature, dove San Francesco aggiunse una strofa, lodando chi perdona per amore di Dio, “allo scopo di ricomporre una lite tra il Vescovo e il podestà di Assisi. Pensò che ciò fosse dovere dei frati, proprio in quanto piccoli, minori. Li inviò dunque a cantare la nuova lauda in presenza dei contendenti, i quali si riappacificarono”.

Questo, conclude il cardinale, deve essere “un auspicio affinché, attraverso la sua disposizione umile e impegnata, anche la diplomazia pontificia possa riuscire nell’ardua ma affascinante missione di ricomporre, nella Chiesa e nel mondo, animosità e conflitti, in nome di Gesù, Principe della pace”. 

Contatto Santa Sede – Iran

Dopo gli incontri tra il ministro degli Esteri di Teheran e l’arcivescovo Gallagher a New York alla Settimana delle Nazioni Unite, si è aperto un filo diretto tra Santa Sede e Iran che vede scambi costanti, e che ha avuto il culmine in una telefonata tra Papa Francesco e il presidente iraniano al Raisi il 5 novembre scorso. Lo scorso 19 gennaio, monsignor Miroslaw Wachowski, sottosegretario per i Rapporti con gli Stati della Santa Sede, ha incontrato in Vaticano il vice ministro degli Esteri di Teheran Alì Bagheri Kani.

L’agenzia iraniana IRNA ha detto che al centro dell’incontro vi sono stati argomenti internazionali, regionali e bilaterali, ma anche la questione palestinese e la situazione nella striscia di Gaza.

                                               FOCUS EUROPA

Europa, COMECE e CEC chiedono più sforzi per la pace da parte dell’Unione Europea

La Commissione delle Conferenze Episcopali dell’Unione Europea (COMECE) e il Consiglio Europeo delle Chiese hanno diffuso una dichiarazione congiunta per chiedere che si raddoppino gli sforzi diplomatici in modo da trovare presto una soluzione pacifica e sostenibile dei conflitti in corso in Europa e ai suoi confini, nel rispetto del diritto internazionale e incoraggiando il dialogo delle parti.

La richiesta è contenuta in un messaggio che i rappresentanti dei vescovi cristiani di Europa hanno chiesto a Willem van de Voorde, rappresentante permanente del Belgio presso l’Unione Europea, alla vigilia del semestre di presidenza del Belgio presso l’Unione Europea.

Non è la prima volta che le due organizzazioni lavorano congiuntamente su temi sensibili anche a livello ecumenico.

La storia delle due organizzazioni ha delle somiglianze. La COMECE fu fondata con l’approvazione della Santa Sede il 3 marzo 1980. Prima della COMECE c’era il Servizio Pastorale di Informazione Cattolico europeo, che è rimasto in vita dal 1976 al 1980. Fu in quegli anni che i vescovi discussero se era opportuno creare uno strumento di liaison tra le Conferenze Episcopali e la Comunità Europea. Nel 1979 si decise di stabilire la COMECE, mentre si stava per tenere la prima elezione diretta al Parlamento Europeo.

La CEC, invece, è stata fondata nel 1959 per promuovere la riconciliazione, il dialogo e l’amicizia tra le varie confessioni in Europa, e ne fanno parte la maggior parte delle principali Chiese europee protestanti, ortodosse anglicane e vetero cattoliche. Non vi partecipa la Chiesa cattolica, come non partecipa formalmente al Consiglio Mondiale delle Chiese che Papa Francesco ha visitato a Ginevra nel 2018. Il motivo è nella denominazione “Chiese”, inaccettabile per la Santa Sede che considera l’unica Chiesa legittima la Chiesa cattolica romana. In tutto, nella CEC sono rappresentate 125 confessioni cristiane. Insieme, COMECE e CEC  sono voce di 380 milioni di cittadini cristiani.

Nella dichiarazione, COMECE e CEC fanno riferimento alla “tragica guerra” causata dalla “Brutale aggressione” e invasione della Russia nei confronti dell’Ucraina. Questo conflitto ha – scrivono i rappresentanti delle Chiese cristiane in Europa – “sfidato l’ordine internazionale” e ora è anche “fonte di una sofferenza umana orribile e di un’ampia distruzione”.

COMECE e CEC hanno anche guardato alla Terrasanta, condannando “lo spietato attacco del 7 ottobre scorso compiuto da Hamas contro il popolo israeliano”. L’attacco, si legge nella dichiarazione, ha provocato la risposta militare israeliana che ha “conseguenze terribili per la popolazione palestinese”.

I rappresentanti delle Chiese cristiane in Europa hanno anche guardato all’Armenia, che “sta soffrendo per le tensioni della regione nel Caucaso”.

Per l’Europa è anno elettorale, e COMECE e CEC chiedono di unirsi “negli ideali cristiani di giustizia, pace e integrità del creato”, unendo in particolare gli sforzi di cooperazione “tra i Paesi e i differenti gruppi sociali e religiosi,” considerando che è “più importante che mai” salvaguardare l’Unione sia “attraverso la protezione della democrazia e il rafforzamento dei valori comuni e i diritti fondamentali”, sia “agendo attivamente contro il fondamentalismo e la polarizzazione”.

COMECE e CEC sono preoccupati in particolare “per l’abuso e la strumentalizzazione della religione”, che spesso sfocia nella “disinformazione, nel populismo e l’estremismo”.

Si richiede anche di trovare un consenso sulla transizione ecologica, che preoccupa “per i costi sociali, esistenti e futuri”, considerando che l’UE ha una responsabilità globale nel garantire le importazioni di energia e materie prime.

Per questo sono da evitare sia “i diversi accordi conclusi con regimi autoritaria, che violano gli standard politici fondamentali e i diritti di base”, sia lo sfruttamento dei Paesi in via di sviluppo. Infine si chiedono maggiori sforzi nel settore dell’educazione, “prevenendo la fuga dei lavoratori più specializzati fuori dall’Europa o all’interno dell’Europa stessa”, fattore che crea disuguaglianza nello sviluppo delle regioni europee” e creando una partnership “tra istituzioni e organizzazioni civili e religiose”.

Slovacchia, la presidente Zuzana Čaputová incontra i rappresentanti delle società religiose

C’erano anche l’arcivescovo di Bratislava Stanislav Zvolenský e il vescovo ausiliare dell’eparchia di Bratislava Milan Lach all’incontro che dello scorso 22 gennaio tra la presidente slovacca Zuzana Čaputová e i rappresentanti delle chiese e delle società religiose.

Per la presidenza, l’invito era un modo di ringraziare le società religiose per il lavoro che hanno fatto e tuttora svolgono nl Paese.

La presidente ha sottolineato che "viviamo in un'epoca in cui cerchiamo di trovare speranza nella disperazione. Ciò è stato portato avanti per tutta la discussione. Hanno parlato di come sia necessario e dobbiamo cercare la pace. Ma la pace basata sulla giustizia. Come dobbiamo concentrarci sui giovani affinché non lascino la Slovacchia, affinché abbiano speranza per il futuro della Slovacchia". 

Austria, una ora per la pace con presidente e rappresentanti delle religioni

Lo scorso 25 gennaio, il presidente austriaco Alexander Van der Bellen ha invitato all'Hofburg i rappresentanti di tutte le 16 chiese e società religiose riconosciute in Austria per una “Ora per la pace". 

Sia il Capo dello Stato che i rappresentanti della Chiesa e dei religiosi hanno sottolineato la responsabilità condivisa per la pace, la giustizia e la convivenza sociale.  Van der Bellen e sua moglie Doris Schmidauer hanno accolto, tra gli altri, l’ordinario militare Werner Freistetter, il vescovo luterano Michael Chalupka, la presidente protestante del Sinodo Ingrid Monjencs, il vescovo apostolico armeno e presidente del Consiglio ecumenico delle chiese in Austria, Tiran Petrosyan , il vescovo dell'Hofburg Anba Gabriel, l sovrintendente metodista Stefan Schröckenfuchs, il vescovo vetero-cattolico Maria Kubin, la presidente del Movimento delle donne cattoliche Angelika Ritter-Grepl, l'arciprete ortodosso Nikolaus Rappert, il chorepiskopos siro-ortodosso Emanuel Aydin, il Pastore Walter Hessler della Chiesa Neo-Apostolica e il Segretario generale della Conferenza Episcopale austriaca Peter Shipka

Hanno accettato l'invito anche il presidente della Comunità religiosa islamica Ümit Vural, il presidente dell'IKG Oskar Deutsch e il presidente della Società religiosa buddista Gerhard Weißgrab.

Il presidente ha sottolineato che “in Austria la pace è un dato di fatto e le chiese e le religioni vi contribuiscono molto. Purtroppo la pace non è una cosa scontata in tutto il mondo. Confido che possiamo mantenere una convivenza pacifica. Parlare gli uni con gli altri è essenziale per il benessere della nostra società. In tempi di incertezza globale, è importante ascoltarci a vicenda e non aver paura delle altre convinzioni ."
Il vescovo Werner Freistetter, presidente della Commissione per il Dialogo Interreligioso della Conferenza Episcopale Austriaca, che ha sottolineato nel suo intervento il potenziale di pace delle religioni e in questo contesto ha fatto riferimento alle proprie esperienze di Papa Francesco. Il vescovo è convinto che l'importanza delle religioni per superare le crisi e le sfide attuali sia ancora maggiore.

Freistetter ha affermato che “contrariamente all’opinione diffusa secondo cui le religioni o la religione in generale sono la causa di molti conflitti armati e che il mondo sarebbe molto più pacifico senza la religione, l’attuale Papa e i suoi predecessori hanno più volte sottolineato il potenziale di pace delle religioni del mondo”.  
In qualità di ex capo dell'Istituto per la religione e la pace e cappellano militare in diverse aree di conflitto, soprattutto nei Balcani, ma anche in Libano e nel Golan, il vescovo Freistetter ha detto di aver visto "quanto sia importante il ruolo delle comunità religiose per la conservazione o il ripristino di pace duratura in una società”, ma ha anche imparato “quanto sia difficile per alcuni rappresentanti religiosi determinare il proprio impegno sociale e politico a partire dalla sostanza più intima della propria fede e non viceversa”. 

Il vescovo ha ammesso che spesso c'è una grande tentazione di “enfatizzare ciò che separa gruppi di persone ricorrendo alle differenze religiose per perseguire interessi completamente diversi e consolidare ulteriormente i conflitti esistenti”.
La presidentessa del sinodo protestante Ingrid Monjencs si è soffermata sulla situazione in Medio Oriente, e ha sottolineato che le Chiese protestanti condannano “l'aggressione di coloro che se ne sono assunti la responsabilità, sia attraverso la guerra di aggressione contro l'Ucraina che attraverso l'attacco terroristico di Hamas contro Israele” e pregano “per le vittime della guerra, i bambini, le donne e i civili che diventano vittime della violenza".

La presidente ha anche sottolineato che “come Chiese protestanti, continuiamo quindi ad essere consapevoli della nostra responsabilità di fornire aiuto umanitario alle vittime dei conflitti globali, sia a livello locale che a coloro che cercano protezione e rifugio presso di noi come rifugiati”. Il presidente del Sinodo ha sottolineato anche la necessità di combattere ogni forma di antisemitismo.
Anche il metropolita greco-ortodosso e presidente della Conferenza episcopale ortodossa in Austria, Arsenios (Kardamakis), ha invocato la coesione sociale e un impegno comune per la pace. “La Chiesa ortodossa – ha affermato - attribuisce un grande valore alla comunità. Questa comunità di persone nasce e cresce attraverso l'incontro e il dialogo. Di conseguenza, per noi è naturalmente importante connetterci gli uni con gli altri e con persone di diversa provenienza e origine e consentire così alla comunità di crescere".
Eidel Malowicki ha parlato a nome della comunità ebraica e ha lanciato un appello urgente alla pace e alla riconciliazione: "Teniamoci uniti gli uni agli altri per dare un segno di pace, shalom".
Per i musulmani in Austria, Ümit Vural ha sottolineato: "Oggi ci presentiamo insieme per mostrare il potenziale del nostro dialogo e per inviare un segnale forte alla popolazione. Vorremmo chiarire che la religione non deve essere usato come strumento di odio, violenza e... Si può abusare dei conflitti. Al contrario, noi sosteniamo il ruolo positivo e costruttivo delle religioni nella società” E ha notato che le ultime settimane hanno portato “tragiche perdite di vite umane e grandi sofferenze in Israele e Palestina”, e che la comunità religiosa islamica si schiera dalla parte di chi “condanna l’odio e la violenza e lavora per la pace”, perché “la violenza non risolve i problemi, ma ne crea solo di nuovi” e dunque è necessaria “la fine immediata delle violenze in Medio Oriente”, con un dialogo costruttivo che “porti ad una coesistenza pacifica per tutte le persone nella regione. A tutti i popoli deve essere equamente garantita una vita di sicurezza, dignità e libertà”.
Parlando ai media a margine dell'evento, Van der Bellen ha sottolineato che l'iniziativa per questo incontro è venuta dalle chiese e dalle religioni. Il fatto che tutte le chiese e le società religiose riconosciute abbiano subito accettato l'invito all'Hofburg è stato un segno molto gradito. È stato anche particolarmente contento che “le Chiese e le religioni siano oggi rappresentate da uomini e donne”.

                                               FOCUS NUNZIATURE

Un nuovo nunzio in Mozambico

Il 23 gennaio, Papa Francesco ha nominato l’arcivescovo Luís Miguel Muñoz Cárdaba come nunzio in Mozambico. L’arcivescovo Muñoz lascia dunque la nunziatura di Sudan e Eritrea, che guidava dal 2020.

Spagnolo, classe 1995, il nunzio è sacerdote dal 1992 ed è entrato nello staff della Segreteria di Stato nel 1994. Dal 1999 al 2001 ha frequentato la Pontificia Accademia Ecclesiastica, la cosiddetta “scuola degli ambasciatori papali”, entrando poi nel servizio diplomatico della Santa Sede nel 2001.

Ha servito nelle rappresentanze pontificie di Grecia, Messico, Belgio, Italia, Australia, Francia e Turchia.

Muñoz è stato nominato il 31 marzo 2020 come nunzio apostolico in Sudan ed Eritrea, dove ha tra l’altro gestito la crisi che si è creata nel Paese.

Un nunzio apostolico per il Giappone

Lo scorso settembre, l’arcivescovo Leo Boccardi, nunzio in Giappone, aveva approfittato della possibilità data ai nunzi di andare in pensione anticipata a 70 anni e aveva lasciato la nunziatura di Tokyo. Dopo quattro mesi di vacanza, arriva un nuovo nunzio: è il venezuelano Francisco Escalante Molina, che finora ha servito come nunzio ad Haiti.

Classe 1965, sacerdote dal 1989, dal 1998 è nel servizio diplomatico della Santa Sede. Ha servito nelle nunziature apostoliche di Sudan, Ghana, Malta Nicaragua, Giappone e Slovenia.

Nel 2016, è stato nominato nunzio in Congo e Gabon, incarico che mantenuto fino al 2021, quando il Papa lo ha nominato nunzio ad Haiti. Dopo solo due anni e mezzo nell’isola, che si trova in una situazione politico – sociale difficilissima e preda di bande armate che hanno rapito sei suore poi liberate, Molina Escalante viene inviato in Giappone, posto di grande prestigio.

Un nuovo nunzio in Zimbabwe

Viene promosso monsignor Janusz Urbanczyk, rappresentante permanente della Santa Sede presso l’OSCE, che ora viene nominato nunzio apostolico in Zimbabwe e sarà dunque ordinato arcivescovo.

Polacco, classe 1967, sacerdote dal 1992, Urbańczyk è nel servizio diplomatico della Santa Sede dal 1997. Ha servito nelle nunziature di Bolivia, Slovacchia, Nuova Zelanda, Kenya e nella missione permanente presso le Nazioni Unite a new York.

Il 12 gennaio 2015 è stato nominato Rappresentante Permanente della Santa Sede presso l’Agenzia Internazionale dell’Energia Atomica (AIEA), presso l’Organizzazione per la Sicurezza e Cooperazione in Europa (OSCE) e presso la Commissione Preparatoria dell’Organizzazione per il Trattato sull’Interdizione Globale degli Esperimenti Nucleari (CTBTO), come pure Osservatore Permanente della Santa Sede presso l’Organizzazione delle Nazioni Unite per lo Sviluppo Industriale (ONUDI) e presso l’Ufficio delle Nazioni Unite a Vienna.

                                               FOCUS AMERICA LATINA

Ecuador, la posizione dei vescovi

L’arcivescovo Luis Cabrera Herrera, arcivescovo di Guayaquil, ha parlato della crisi che sta attraversando il Paese ad Adn CELAM, l’Agenzia Informativa del Consiglio Episcopale Latinoamericano.

Nell’intervista, l’arcivescovo ha sottolineato che sono state trovate alcune “cause strutturali” che hanno causato la crisi”, e la prima è “la povertà in tutte le sue forme”, perché questa coinvolge “la mancanza di istruzione, salute, alloggio e lavoro. Questo è il terreno di coltura in cui i gruppi organizzati predano facilmente i bambini e i giovani per trasformarli in assassini ed estorsori a pagamento”.

L’arcivescovo Cabrera ha anche ribadito l’impegno della Chiesa, che si è assunta “la responsabilità di 21 enti educativi, 19 dei quali si trovano in quartieri periferici, ritenuti economicamente depressi. Siamo presenti, ma sappiamo che non è sufficiente”.

Il presidente deli vescovi ecuadoregni afferma che la Chiesa ha bisogno di creare una coscienza di unità, e che la Chiesa è chiamata a sensibilizzare con fatti concreti, espressioni reali, affinché non rimanga un sentimentalismo, una chimera, un sogno lontano, perché alla fine si continuerà a morire di fame e non si farà nulla”.

Per ora, i vescovi non hanno potuto parlare con il presidente dell’Ecuador Danile Noboa. La speranza è che “in base agli eventi, si trovi un meccanismo per cui come Chiesa possiamo contribuire con ciò che sappiamo. L’invito è a dialogare con persone di diverse tendenze politiche e ideologiche per questa causa comune. Come Chiesa siamo aperti. Come Chiesa, saremo sempre a braccia aperte, pronti a dialogare e a collaborare per affrontare non solo i fenomeni, ma anche le cause che originano queste situazioni di violenza tra fratelli”.

Gli scontri sono nati, aggiunge l’arcivescovo Cabrera, come azioni estreme in risposta della paura della popolazione. “La situazione – racconta l’arcivescovo - era invivibile, insopportabile. Ogni giorno morivano due o tre persone o intere famiglie. I cittadini non avevano paura ma panico. Siamo realisti, ma questi sono problemi strutturali che risalgono a decenni fa, villaggi che sono stati completamente abbandonati, e questo ci spezza il cuore”.

                                               FOCUS MULTILATERALE

La Santa Sede all’ONU, la situazione in Medio Oriente

Alle Nazioni Unite di New York, si tiene regolarmente un dibattito sulla situazione in Medio Oriente, inclusa la questione palestinese. L’ultimo si è tenuto lo scorso 24 gennaio, e la Santa Sede è intervenuta durante il dibattito.

Nell’intervento, la Santa Sede ha ribadito l’appello di Papa Francesco per un cessate il fuoco in ogni fronte, incluso il Libano, cosa che “permetterebbe spazio per il dialogo e per assicurarsi il rilascio degli ostaggi a Gaza e facilitare la distribuzione degli aiuti umanitari”.

Sempre il Papa – che ne ha parlato in un appello al termine dell’udienza generale del 24 gennaio – ha sottolineato che ogni azione di difesa deve essere guidata dai principi di distinzione e proporzionalità, e deve rispettare la legge umanitaria internazionale, deplorando l’attacco su ospedali, scuole e luoghi di culto.

La Santa Sede ha anche sottolineato che il percorso più sicuro verso una pace duratura è la soluzione dei due Stati, che includa uno status speciale garantito a livello internazionale per la città di Gerusalemme”.

La Santa Sede a Vienna, “l’anno si spera di pace”

Il 25 gennaio, si è tenuto il 1457esimo incontro speciale del Consiglio Permanente dell’Organizzazione per la Sicurezza e Cooperazione in Europa (OSCE). Lì monsignor Janusz Urbanczyk, rappresentante permanente della Santa Sede all’OSCE e prossimo nunzio in Zimbabwe, ha tenuto quello che sarà uno degli ultimi interventi da rappresentante della Santa Sede alle organizzazioni internazionali a Vienna..

Nel suo intervento, monsignor Urbanczyk ha notato che siamo all’inizio di un “anno che speriamo di pace, ma che è invece cominciato tra conflitti e divisioni”. Anzi, aggiunge,“il crescente numero di conflitti, entro e oltre la regione OSCE, presenta una serie di sfide di sicurezza che si stanno gradualmente delineando”.

Si tratta di una realtà “spaventosa”, che deve “incoraggiarci all’azione”, perché “la pace e la coesistenza pacifica devono essere in cima all’agenda della nostra organizzazione”, e dunque “è nostro obbligo morale costruire e consolidare la pace, e lo dobbiamo fare con urgenza attraverso una cultura di fiducia basata su dialogo genuino e costruttivo”.

La Santa Sede continua a sostenere l’importanza dell’OSCE, e che dunque è necessario preservarlo, perché “c’è assoluto bisogno dell’unica inclusiva piattaforma fornita dall’OSCE”.

La Santa Sede ha messo in luce come la terza decade del XXI secolo “è rovinata da conflitti e guerre che stanno causando una futile perdita di vita ed enormi conseguenze, specialmente per bambini e donne, provando che tutte le guerre sono una sconfitta dell’umanità”.

Nel mezzo dei conflitti, la Santa Sede è anche preoccupata dei crescenti atti di intolleranza e discriminazione contro cristiani, ebrei, musulmani e membri di altre religioni, sottolineando che ogni tipo di intolleranza deve essere “affrontata e combattuta con eguale attenzione, evitando approcci parziali o selettivi”.

La presidenza di turno maltese si sta concentrando sul ruolo delle donne, e la santa Sede “supporta pienamente gli sforzi per una vera ed autentica eguaglianza tra uomini e donne, e che affrontino anche i pregiudizi discriminatori riguardo il sesso”.

Allo stesso tempo, la delegazione mette in luce i rischi della teoria gender, e ricorda che lo stesso Papa Francesco la definisce come uno dei frutti della colonizzazione ideologica”.

Papa Francesco incontra l’Alto Commissarrio ONU per i Diritti Umani

Papa Francesco ha ricevuto il 26 gennaio  l'Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Diritti Umani, l'austriaco Volker Türk. L’incontro è durato 40 minuti, ed è stato descritto come “molto positivo” dall’Alto Commissario.

In una intervista con i media vaticani, Türk ha detto di aver parlato con il Papa "delle situazioni di conflitto nel mondo" e della necessità di trovare una via per ripristinare il diritto alla pace. Ha espresso la sua preoccupazione per il fatto che nei conflitti violenti si sta sempre più affermando una “disumanizzazione” degli altri.

I due – ha detto Türk – hanno parlato anche elezioni che si svolgeranno quest'anno in quasi 60 paesi del mondo. Secondo l’Alto Commissario, le elezioni sono spesso il fattore scatenante della disinformazione o dell’incitamento all’odio sui social media, e dunque ha parlato con il Papa su come “sia importante prestare particolare attenzione ai diritti umani e al valore dei diritti umani, soprattutto nei dibattiti politici."

Türk ha notato che anche nei dibattiti politici si vede spesso come le persone con un background di rifugiati siano disumanizzate, e ha detto: “È importante trovare nel dibattito politico un modo che dia valore alle altre persone e riconosca la dignità umana”.

Disarmo integrale, le richieste di un gruppo di vescovi da Usa e Giappone

Un gruppo di vescovi provenienti tra Stati Uniti e Giappone hanno lanciato un appello congiunto nel terzo anniversario dall’entrata in vigore del Trattato sulla Proibizione delle Armi Nucleari perché si operi un “disarmo nucleare universale e verificabile.

Il trattato è stato adottato dalle Nazioni Unite nel 2017, e la Santa Sede partecipò per la prima volta al voto sebbene Paese osservatore, dando così un forte supporto al Trattato, che è poi entrato in vigore nel 2024.

Gli arcivescovi che hanno firmato l’appello sono quelli di Santa Fe John Wester, di Seattle Paul Etienne negli Stati Uniti, e poi l’arcivescovo Peter Nakamura di Nagasaki, il vescovo Alexis Mitsuro Shirahama di Hiroshima e l’arcivescovo emerito di Nagasaki Mitsuaki Takami. Dal Giappone Giappone. Sono le diocesi dove è stata studiata e sviluppata la bomba atomica e dove la bomba atomica è stata sganciata, con effetti devastanti.

Il Trattato dispone di una serie “globale di proibizioni riguardo la partecipazione in qualunque attività delle armi nucleari”, con direttive che prevedono di “non sviluppare, testare, produrre, acquisire, possedere, stoccare, usare o minacciare di usare le armi nucleari”.

I vescovi nota che il trattato è “stato firmato da 93 nazioni, e ratificato da 70”, sebben tra questi nazioni non ci sono “potenze nucleari o loro alleati”.

Per questo, gli Stati che hanno armi nucleari hanno – dicono i vescovi – “un obbligo morale di ascoltare le voci della maggioranza del mondo e di ascoltare quanti sono minacciati dall’annientamento sulla base delle decisioni di chiunque dei nove leader degli Stati con armi nucleari (che sono Stati Uniti, Russia, Cina, Francia, India, Corea del Nord, Pakistan, Israele, Regno Unito).

I vescovi notano che “la forza legale del Trattato è limitata a quegli Stati che lo hanno formalmente ratificato”, ma “il suo potere morale non riconosce confini tra le nazioni né linea sulla mappa – il potere morale di questo trattato è globale e universale”.

Il Trattato è “un altro passo storico nel percorso verso la speranza, la luce, un mondo senza armi nucleari”.

Le arcidiocesi hanno tutte un legame con le armi nucleari: a Santa Fé queste sono nate, a Seattle ne sono stoccate la più grande quantità degli Stati Uniti, e le sole due città che hanno sofferto di un attacco nucleare, cioè Hiroshima e Nagasaki. Per questo, “è dovere delle nostre diocesi supportare questo trattato, mentre lavoriamo per un disarmo nucleare universale e verificabile”.  

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Ambasciatori dell’Ordine di Malta, le parole del Gran Maestro

Si è tenuta dal 25 al 27 gennaio la Conferenza degli Ambasciatori dell’Ordine di Malta, un grande incontro mondiale che ha permesso agli ambasciatori dell’Ordine di discutere dei grandi temi che interessano la geopolitica e la diplomazia di oggi e di domani.

Fra’ John Dunlap, Gran Maestro dell’Ordine di Malta, ha spiegato il senso di questa riunione in una serie di considerazioni iniziali diffuse all’inizio della prima sessione del 25 gennaio.

Nel suo discorso, il Gran Maestro ha ricordato la riforma che l’Ordine di Malta ha affrontato negli ultimi sette anni, e “uno dei riscontri positivi è quello che ha portato l’Ordine a trovare forza e scopo nella sua natura di Ordine Religioso Cattolico. Come conseguenza, l’Ordine ora fornisce una piattaforma più forte per la sua missione diplomatica”.

È importante – sottolinea il Gran Maestro – “riconoscere che l’Ordine non è solo un’altra Ong caritatevole”. E dunque, mentre da una parte “condividiamo le preoccupazioni e spesso le priorità delle nostre controparti secolari, il nostro lavoro deve essere motivato dal desiderio di imitare Cristo e il suo amore e compassione per le persone dimenticate. Perciò, come diplomatici al servizio dell’Ordine di Malta, dobbiamo rendere testimonianza non solo all’Ordine, ma a Gesù Cristo”.

Questo rinnovamento, ha detto Fra’ John Dunlap, riguarda anche il corpo diplomatico, perché ci si deve chiedere se davvero si rappresenta l’ordine, anche perché “nessun altro ordine religioso può praticare l’arte dello Stato al più alto livello diplomatico nell’interesse dei valori e principi cristiani”.

Quali sono, dunque, gli obiettivi della diplomazia dell’Ordine di Malta? “I nostri diplomatici – afferma il Gran Maestro – sono parte integrante della promozione degli obiettivi dell’Ordine”, illustrano “la nostra vocazione umanitaria”, chiedono “infaticabilmente” il rispetto del diritto umanitario.

Gli scopi diplomatici includono “il supporto diretto alle nostre opere e ministeri nel mondo” (ospedali, strutture sanitarie, cliniche mobili, iniziative di sicurezza alimentare), considerando che “molte del nostro lavoro di assistenza può essere politicamente sensibile”. Per esempio, la cura “dei rifugiati di quattro continenti e l’assistenza fornita a migranti non benvenuti richiede una complicata e delicata danza politica”, e quelli che la mettono in pratica sono “i diplomatici dell’ordine”.

Il Gran Maestro chiede “disciplinati protocolli mediatici”, un chiaro “set di messaggi sull’Ordine conosciuti e usati da tutte le nostre entità nell’Ordine, e una strategia per sviluppare pro-attivamente una copertura media accurata e positiva”. E “in molti modi, il successo pubblico dell’Ordine dipende su voi ambasciatori”, chiamati a dare interviste in coordinamento con il Gran Magistero, a parlare pubblicamente delle più importanti iniziative dell’ordine, come quelle contro la tratta.

Quindi, il Gran Maestro descrive come obiettivo prioritario “l’espansione della lista di nazioni e organizzazioni internazionali (attualmente 113) che hanno relazioni diplomatiche con l’Ordine”, in particolare con un gruppo di importanti Stati, soprattutto occidentali e asiatici, che ancora non riconoscono l’Ordine di Malta, in particolare Stati Uniti, Regno Unito, e Francia.

L’Ordine vuole anche diventare Stato Osservatore Non Membro alle Nazioni Unite (ora è solo osservatore) e ottenere riconoscimento anche in organizzazioni come l’Organizzazione degli Stati americani e la Lega degli Stati Arabi.

Il Gran Maestro ricorda i suoi viaggi, le visite ricevute, e prevede anche nuovi viaggi, per esempio a Panama.

Quindi, il tema della sovranità dell’Ordine di Malta. L’Ordine – dice Fra’ John Dunlap – “ha usato il suo status internazionale per intervenire in emergenze umanitarie come l’Ucraina, o per portare assistenza in Africa, Betlemme, Libano e altre nazioni e regioni.

Ci vuole, però, una migliore comprensione della “natura dei trend globali”. Ci sono dei cambiamenti da fare, e “costruire relazioni e partnership con altre organizzazioni”, magari per “promuovere degli specifici valori umanitari, cercando punti comuni di incontro con gli Stati secolari e le organizzazioni”.

Fra’ John Dunlap chiede di rimanere uniti nei propri obiettivi, e di rimanere saldi nella propria missione, considerando che “le varie entità, lingue, funzioni e corpi di governo si trovano in un solo, unificato Ordine di Malta”, un concetto che ha grande significato per il corpo diplomatico.

L’unità – dice il Gran Maestro – “è essenziale per il nostro Corpo diplomatico”.