Dal Sinodo sulla famiglia alla commissione sul diaconato femminile è sembrato che Francesco avrebbe “cambiato la dottrina”. Ma non è stato così. Alla fine si è trattato solo di un diverso atteggiamento pastorale. Anzi apostolico. Anche in questo caso Francesco è stato perfettamente ignaziano.
Le sue encicliche sono testi lunghi e improntanti a quello stile latino americano che richiede sempre un "esempio concreto".
Uno dei temi centrali anche per la Curia di Francesco è stato quello dello sviluppo umano integrale, carissimo al Papa che ha sempre messo al centro della sua attenzione i rifugiati, gli immigrati, i senza tetto combattendo la “cultura dello scarto”.
Un tema legato alla quesitone ambientale con la Enciclica Laudato sì che trova quasi un compimento per la “ecologia umana” nella “Fratelli tutti” dedicata propio alla fraternità universale.
Un cambio significativo anche nella comunicazione quello di Francesco con un nuovo dicastero che non ha avito vita facile e un modo di comunicare ben diverso dai precedenti.
E soprattutto nel suo stile. Di lui tutti abbiamo in mente le immagini e magari molto meno le parole.
Così come lo stile dei viaggi. Spesso decisi o rimandati senza troppa preparazione, sempre centrati sulle questioni che sono care al Papa, sempre alla "periferia". Niente Europa se non per qualcosa di istituzionale, nessun grande paese ma piuttosto paesi dove i cristiani sono minoranza e spesso minoranza perseguitata.
Anche il rapporto con la liturgia è squisitamente ignaziano. Poca attenzione alla forma e quindi anche poca comprensione di chi nella forma vede la sostanza.
Molti commentatori hanno messo in evidenza la lotta agli abusi contro i minori da parte del clero. Ma anche in questo Francesco ha seguito semplicemente la strada indicata da Benedetto. E ha saputo "comunicare" di più le sue iniziative.
E proprio il rapporto delicato con Benedetto XVI, il primo papa emerito, è stato significativo. Non che lavorassero insieme, ma almeno all'inizio Francesco condivideva molto con il teologo tedesco.
Certo nel tempo il rapporto è cambiato, non nel rispetto e nell'affetto, ma Francesco ha fatto sempre più a meno della opinione del predecessore, come è giusto che sia.
Ma nel Magistero a bene vedere non ci sono cambiamenti. Più che altro c'è lo stile che tra un teologo e un pastore non può ovviamente che essere diverso.
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Lotta al relativismo, che Francesco chiama autoreferenzialità, centralità della "carità" che Francesco chiama "misericordia", sono declinazioni diverse di uno stesso principio.
Il suo stile di governo è stato singolare. Ha usato moltissimo lo strumento del “Motu proprio”, una sorta di decreto legge che non ha bisogno di essere tramutato in legge perché il Papa è un sovrano assoluto. Questo ha reso un po’ caotico il suo modo di procedere ed ha spiazzato la Curia romana. E del resto a chi si aspettava una “collegialità” effettiva questo è sembrato strano.
La sinodalità che tanto ha amato ha creato più confusione che altro, forse proprio perché non “gestita”. Le assemblee sinodali sulla sinodalità sembravano più congregazioni gesuitiche che un modo per riorganizzare il lavoro delle diocesi e delle parrocchie.
Francesco ha poi voluta dare un segnale alla Chiesa per dare maggiore spazio alle donne.
Dai Musei Vaticani, ai Dicasteri, al Governatorato. Dove c’era spazio per un laico il Papa ha spesso scelto una donna. Una indicazione certo, ma non un vero cambiamento perché non si è arrivati al diaconato o al sacerdozio femminile ovviamente.
Un Papa che non ha mai amato il mondo universitario, anche se ha visitato diverse realtà di studio. Un Papa che ha scelto i suoi collaboratori tra i suoi amici, ma che ha fatto molto da solo.