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Diplomazia pontificia, il Primo Ministro ucraino, il Papa in Ungheria, Gallagher a Vaduz

Settimana densa di appuntamenti diplomatici, e molto ricca anche nell’ambito del multilaterale. La visita dell’arcivescovo Gallagher a Vaduz, l’arrivo del Primo Ministro ucraino a Roma

Castello di Vaduz | Il castello di Vaduz, in Liechtenstein | Wikimedia Commons Castello di Vaduz | Il castello di Vaduz, in Liechtenstein | Wikimedia Commons

L’arcivescovo Paul Richard Gallagher sarà in Liechtenstein questo fine settimana, mentre il Cardinale Pietro Parolin ha svolto una breve visita di lavoro in Lussemburgo all’inizio del mese di aprile. I due saranno con Papa Francesco in Ungheria, dove saranno affrontati diversi temi di interesse e ci sarà anche un bilaterale a livello di primi ministri.

Nella settimana, sono stati celebrati anche i 30 anni dalla formazione della Repubblica Ceca e Repubblica Slovacca con una Messa presieduta dal Cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato vaticano.

                                                           FOCUS SANTA SEDE

Il Primo Ministro ucraino in Vaticano

Denys Shmyhal, primo ministro ucraino, sarà in Italia dal 24 al 26 aprile, e in Vaticano presumibilmente nella giornata del 26 aprile. Dovrebbe incontrare Papa Francesco, il Cardinale Pietro Parolin e l’arcivescovo Paul Richard Gallagher, segretario vaticano per i rapporti con gli Stati.

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È la prima volta che Shmyhal torna in Vaticano dal 25 marzo 2021, quando fece anche un invito al Papa per visitare il Paese. Poi, il primo ministro ha incontrato il Cardinale Parolin nell’agosto 2021, quando questi fece un breve passaggio a Kyiv per le celebrazioni del trentesimo della nazione.

Il 21 aprile il Primo Ministro ha fatto visita a Sua Beatitudine Sviatoslav Shevchuk, arcivescovo maggiore della Chiesa Greco Cattolica Ucraina. Fonti ucraine non escludono che la delegazione di Shmyhal possa essere di altissimo livello.

                                                           FOCUS SEGRETERIA DI STATO

Gallagher in Lichtenstein

Questo fine settimana, l’arcivescovo Paul Richard Gallagher, ministro vaticano per i Rapporti con gli Stati, sarà in visita in Liechtenstein. Tra gli appuntamenti previsti, il 24 aprile il “Ministro degli Esteri” vaticano terrà una confereza su “Diplomazia e Vangelo”, presentando la politica estera del Vaticano.

È una visita breve, di lavoro, che servirà anche a “salutare” l’arcivescovo di Vaduz Wolfgang Haas, che compirà 75 anni il prossimo 7 agosto e dunque presenterà le dimissioni per ingravescentem aetate.  

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L’arcivescovo Haas ha recentemente annullato il tradizionale servizio religioso di apertura delle sessioni parlamentari del Principato di Vaduz per protestare contro l’introduzione del “matrimonio per tutti”, che include anche le coppie omosessuali, voluta dal Parlamento del Liechtenstein. Una decisione che era stata anticipata nel bollettino diocesano, sottolineando che “la celebrazione del cosiddetto Ufficio dello Spirito Santo in apertura delle sessioni non ha più senso”, ribadendo la sua contrarietà alla decisione dei politici su quello che l’arcivescovo ha chiamato uno “pseudomatrimonio che contraddice sia il sentimento naturale, sia la ragionevole legge naturale, e, in particolare, la comprensione cristiana dell’uomo in quanto corrisponde all’ordine divino della creazione”.

Vescovo di Coira, in Svizzera, dal maggio 1990 al dicembre 1997, l’arcivescovo Haas guida l’arcidiocesi di Vaduz dal 1997, nata proprio dalla diocesi di Coira e unica diocesi nazionale non rappresentata nel Consiglio delle Conferenze Episcopali di Europa. Una decisione, quella di creare una nuova arcidiocesi, che era stata persino stata contestata dal Parlamento, in cui 24 parlamentari su 25 avevano dichiarato inammissibile la creazione di una nuova diocesi senza approvazione del governo e dei cittadini. L’arcivescovo aveva però avuto il sostegno dei reali, a partire dal principe Hans Adam e suo fratello Nikolaus, che è stato per dieci anni ambasciatore di Vaduz presso la Santa Sede.

Parolin in Lussemburgo

Il 5 e 6 aprile, il Cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato vaticano, è stato in Lussemburgo per quella che è stata definita “una visita di lavoro”. Durante i due giorni nel Paese, il Cardinale si è incontrato con il primo ministro lussemburghese Xavier Bettel, con il Ministro degli Affari Esteri ed Europei Jean Asselborn, con il Granduca ereditario, il Principe Guglielmo, e con Fernand Etgen, presidente del Parlamento di Lussemburgo.

Durante la visita, il Cardinale ha concesso una lunga intervista a RTL Télé, una emittente lussemburghese.

Nell’intervista, il Cardinale ha sottolineato che la Chiesa cattolica è molto preoccupata dal declino delle pratiche religiose a favore di “pratiche spirituali alternative”, anche perché sembra chiaro che “nonostante lascino la Chiesa cattolica, le persone stiano ancora cercando una sorta di spiritualità”. Secondo il Segretario di Stato vaticano, si tratta dunque di più che di “una crisi della Chiesa come istituzione”, ma dimostra anche che molti stanno “cercando di creare un legame con il sacro e il trascendente”.

Durante l’intervista, si è affrontato anche il tema degli scandali finanziari e sessuali della Chiesa, e il Cardinale Parolin ha affermato che “si è fatto molto” in entrambi campi, sebbene forse “la gente ha poca fiducia nelle azioni della Chiesa”.

Anche le accuse a Giovani Paolo II di aver coperto dei casi di abuso in Polonia hanno trovato spazio nell’intervista. Il Cardinale Parolin ha detto che la Chiesa condivide il dolore di “molte persone, milioni di credenti”, supporta gli sforzi della Chiesa cattolica in Polonia “per combattere questa piaga degli abusi, di superare la cultura del nascondimento, e soprattutto di mostrare compassione e vicinanza per le vittime”, e che ci sarà una commissione speciale per condurre “una indagine veramente obiettiva”.

Parlando della religione, il Cardinale Parolin ha detto che questa può giocare “un ruolo molto importante”, specialmente come “ispirazione”, ed è in questo contesto che il Papa ha detto più volte di voler visitare Kyiv e Mosca, confermando che il Papa “vorrebbe andare”, ma che al momento le circostanze non lo permettono”.

Il capo della diplomazia vaticana ha anche sottolineato che “dobbiamo credere nelle possbilità della pace in Ucraina” e che la guerra deve finire, anche se tuttavia “non si vedono prospettive di pace”.

Nell’incontro con il Granduca Ereditario, il Cardinale ha parlato – secondo un comunicato del Granducato del Lussemburgo, dei “temi di attualità europea e internazionale, e in particolare della situazione in Ucraina”.

Il Cardinale ha anche fatto visita alla Basilica di Echternach, pregando sulla tomba di San Wilibrond, che aveva fondato il monastero benedettino nel 698 da vescovo di Utrecht.

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                                                           FOCUS PAPA IN UNGHERIA

Di cosa parlerà Papa Francesco ai diplomatici a Budapest?

Come sempre, il primo discorso del Papa in Ungheria sarà quello con il corpo diplomatico e le autorità, che farà seguito ad un indirizzo della presidente Katalin Novak. La visita di Novak da Papa Francesco il 25 agosto 2022, con il quale ha parlato in spagnolo, è considerata decisiva nel processo che ha portato il Papa ad optare per tornare in Ungheria, dopo il breve passaggio a Budapest nel 2021 in occasione del Congresso Eucaristico Internazionale.

Quali saranno i possibili temi del discorso?

Prima di tutto, c’è il senso della città di Budapest, ponte tra oriente e occidente, città imperiale e luogo dove il nunzio Angelo Rotta, durante la Seconda Guerra Mondiale, mise in atto il piano per aiutare gli ebrei che venivano perseguitati.

Quindi, il tema della pace. Il Cardinale Parolin ha più volte ribadito l’idea di un incontro europeo per la pace, in un nuovo “spirito di Helsinki”, e il Papa, nella nazione che più di tutte in Europa ha cercato di non entrare in guerra attiva nella situazione ucraina, potrebbe riprendere il tema a suo vantaggio, ribadendo la necessità di tornare alle radici di Europa.

Radici che sono anche di accoglienza, e dunque il tema delle migrazioni – una delle questioni in cui la Santa Sede e il governo ungherese hanno divergenze – potrebbe sicuramente entrare nel tema.

La questione ecologica era stata poi al centro degli incontri del Papa con l’ex presidente Adler e con la presidente Novak, e dunque sarà probabilmente nel discorso.

Il Papa punterà probabilmente sui temi condivisi, a partire dalla contrarietà al diritto all’aborto, e al contempo un sostegno alle politiche di natalità e per la famiglia.

Il Papa potrebbe anche fare un riferimento al Cardinale Mindszenty, da poco dichiarato venerabile, ma anche agli altri santi ungheresi, da re Stefano a Santa Elisabetta. Anche il tema della fraternità potrebbe essere toccato nel corso della visita.

Verso il Papa in Ungheria: le relazioni diplomatiche

Da circa un anno, il governo Orban ha aggiunto un delegato diplomatico dedicato solo alla ricerca negli archivi Vaticani, per definire e mettere alla luce i millenari rapporti tra Ungheria e Santa Sede. Durante il periodo comunista, tuttavia, le relazioni diplomatiche furono chiuse, e riaprirono dopo la caduta del regime comunista.

L’accordo tra Ungheria e Santa Sede per ristabilire le relazioni diplomatiche venne firmato il 9 febbraio 1990, dal Cardinale Agostino Casaroli, Segretario di Stato vaticano, e dal Primo Ministro Miklos Nemeth. L’8 febbraio, il Cardinale Casaroli, insieme al Cardinale Laszlo Paskai, primate di Ungheria, offrirono una Messa in suffragio del Cardinale Josedf Mindszenty, che morì in esilio dopo essere stato incarcerato, interrogato ed aver infine trovato rifugio presso l’ambasciata statunitense a Budapest.

L’accordo, tra le varie cose, abrogava anche l’accordo del 1964, che era un accordo per la nomina dei vescovi giunto attraverso un percorso lungo e doloroso per la Chiesa cattolica, in qualche senso simile a quello ha portato all’accordo con la Cina.

Nel 1951, infatti, era stato fondato l’ufficio per gli Affari Ecclesiastici, che combatteva la Chiesa con mezzi amministrativi, mentre nel 1959 era stato evacuato il Seminario di Budpest. Dopo questi eventi, era necessario trovare un “modus non moriendi”, come diceva l’allora monsignor Casaroli, e  si arrivò all’accordo del 1964, che mise tutto sotto il controllo del governo comunista, ma permise anche ai vescovi ungheresi di partecipare al Concilio Vaticano II, ci fu una apertura parziale delle frontiere, si sviluppò il lavoro nelle parrocchie.

Nel 1988, un anno prima il crollo dell’Unione Sovietica, fu persino invitato un Papa a visitare il Paese: Giovanni Paolo II accoglierà l’invito nel 1991.

La prima nunziatura apostolica dei tempi moderni a Budapest fu aperta nel 1920, ma le relazioni tra Ungheria e Santa Sede esistono da più di un millennio. Nell’anno 1000, infatti, l’abate Asztrik fu inviato come ambasciatore di Ungheria dal Papa e chiese a Silvestro II la corona regale per il re Stefano, inserendo così “la nostra patria nell’Europa cristiana”, ricorda l’attuale Legge Fondamentale Ungherese. Re Stefano fu poi proclamato santo, ed è a lui che è dedicata la cattedrale di Budapest.

                                                           FOCUS EUROPA

30 anni della formazione della Repubblica Ceca e Slovacca

Lo scorso 17 aprile, il Cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato vaticano, ha celebrato una Messa in Santa Maria Maggiore per il Centenario della Nascita delle Repubbliche Ceche e Slovacca Indipendenti.

La Repubblica Ceca e la Repubblica Slovacca nacquero il 1° gennaio 1993, e sempre nello stesso anno ripresero le relazioni diplomatiche tra Santa Sede e Repubblica Slovacca, in continuità e perfezionamento delle precedenti relazioni esistenti dal 1919 sotto forma di “missione bilaterale”, mentre il ristabilimento delle relazioni tra Santa Sede e Repubblica Ceca era avvenuto il 19 aprile 1990.

Il cardinale Parolin ha ricordato che “nel commemorare questi eventi di rilievo, ci viene ricordata l’importanza della solidarietà e del rispetto reciproco nella costruzione di un mondo migliore, in cui prevalga una pace duratura tra gli uomini e le Nazioni, una pace che è frutto della giustizia ed effetto della carità”.

Il segretario di Stato vaticano ha ricordato che “l’evangelizzazione della Grande Moravia nel IX secolo portò i suoi abitanti ad assumere una nuova visione della vita e del mondo fondata sul Vangelo, gettando così le fondamenta del patrimonio culturale e spirituale che accomuna i popoli slovacco e ceco. In effetti, la storia di queste due Nazioni è profondamente radicata nell’opera evangelizzatrice dei due Santi fratelli di Salonicco, Cirillo e Metodio, proclamati compatroni d’Europa da Papa Giovanni Paolo II nel 1980”.  

Il Cardinale Parolin ha ricordato che l’imperatore Michele III rispose alla richiesta del principe Rastislav inviando non uno, ma due evangelizzatori, i quali “in breve, portarono il Vangelo ai popoli slavi e utilizzarono la loro lingua madre nella liturgia”, portando al momento significativo dell’introduzione delle lingue vernacolari nelle celebrazioni liturgiche, perché già nell’869, a soli sei anni dall’inizio della missione di Cirillo e Metodio, “Papa Adriano II, con la bolla Gloria in excelsis Deo, approvò l’uso dell’antico slavo nella liturgia e ordinò anche che i libri liturgici slavi venissero solennemente collocati sull'altare della Chiesa di Santa Maria ad Praesepe, oggi conosciuta come Santa Maria Maggiore”.

In seguito, racconta ancora il Segretario di Stato vaticano, “con la bolla Industriae tuae dell’880, Papa Giovanni VIII non solo confermò le decisioni del suo predecessore, ma eresse anche la prima sede episcopale di Nitra e pose Svätopluk, successore di Rastislav, e il suo regno sotto la protezione del papato. Questo fatto elevò Svätopluk al rango degli altri monarchi cristiani dell’Europa di allora. Ancora oggi, queste lettere pontificie sono considerate i più antichi documenti che riconoscono la sovranità dei regnanti di questa regione, che comprendeva le attuali Slovacchia e Repubblica Ceca”.

Il Cardinale Parolin ricorda che i popoli slavi di quella regione hanno affrontato “diverse sfide, tra cui la dominazione e l’oppressione straniera”, ma il loro “spirito di indipendenza e autodeterminazione non si è mai affievolito e, grazie a questa intramontabile eredità di evangelizzazione e identità culturale, dopo la caduta del regime comunista, ha dato luogo alla separazione pacifica della Repubblica Federale Ceca e Slovacca nel 1993”.

Il capo della diplomazia vaticana sottolinea che “l’esempio che queste due Nazioni hanno dato nel risolvere pacificamente le loro divergenze, attraverso il dialogo e il rispetto reciproco, può essere considerato un modello per altre Nazioni in conflitto, non solo allora, ma anche oggi”.

Aggiunge che “alla luce degli attuali conflitti nel mondo, in particolare la guerra in Ucraina scatenata dalla Russia, l’esperienza dei popoli ceco e slovacco di 30 anni fa continua ad essere una fonte di ispirazione”.

Il Cardinale ha detto che il “messaggio di amore e riconciliazione che trascende tutti i confini e ci chiama al rispetto reciproco, riconoscendo le nostre differenze e abbracciando ciò che ci unisce”, e ha auspicato che questa esigenza, condivisa da entrambe le Nazioni, fondata sulla secolare eredità spirituale dei Santi fratelli Cirillo e Metodio, conservata, alimentata e mantenuta nel corso dei secoli nonostante le persecuzioni, le dominazioni e le soppressioni, sia fonte di ispirazione non solo per coltivare buone relazioni tra la Repubblica Ceca e la Slovacchia, ma anche forza trainante per  assicurare la prosperità materiale e soprattutto spirituale ai loro abitanti, nel godimento dei loro diritti, soprattutto nell’ambito della libertà religiosa, e nell’osservanza dei loro doveri”.

Al termine della celebrazione, Marek Lisánsky, ambasciatore di Slovacchia presso la Santa Sede, ha voluto ricordare che “i nostri legami al soglio di San Pietro contano però un periodo ben più lungo di tre decenni”, perché “la tradizione dei rapporti spirituali, culturali e politici tra la Santa Sede e il territorio della Slovacchia dura per quasi dodici secoli” e  “il contributo della Santa Sede nella formazione della nazionale storia slovacca rappresenta indubbiamente una parte integrante della nostra identità nazionale e storica. Al principio della nostra storia sorgono le figure di San Cirillo e del suo fratello San Metodio, compatroni d’Europa, che rimangono per sempre i padri spirituali e patroni delle nostre nazioni”.

L’ambasciatore ha ricordato che “la Grande Moravia rappresentava la nostra prima patria comune e anche la liturgia di oggi dimostra, che la vicinanza tra gli Slovacchi, Cechi e Moravi continua a permanere, confermando la sua profonda eredità sprituale, storica e culturare di cui dispone qui - a Roma”, ma Roma è “una parte della nostra eredità”, perché “in questo luogo ritroviamo le nostre radici, da cui sorgiamo”.

Da parte sua, l’ambasciatore della Repubblica Ceca presso la Santa Sede Vaclav Kolaja ha sottolineato che gli apostoli slavi Cirillo e Metodio “riuscirono a trasportare le nostre regioni centroeuropee nel mondo della cultura e civiltà di allora e in un certo senso posare le basi della nostra esistenza”.

L’ambasciatore ha messo in luce che Repubblica Ceca e Slovacchia sono nati nel momento in cui dopo 74 anni finiva l’esistenza della Cecoslovacchia”, un fatto “unico nel suo genere”, perché “dalla storia conosciamo molti casi in cui gli Stati, trovandosi nei problemi e discordie, cadevano nel caos oppure si disintegravano in circostanze drammatiche e tragiche, spesso con grande sofferenza e spargimento di sangue”, mentre “la divisione della Cecoslovacchia, invece, è stata pacifica, consensuale e garantita con un accordo e contribuì in questo modo al mantenimento dei rapporti di straordinaria amicizia tra i Cechi e gli Slovacchi”.

Per l’ambasciatore, la separazione di Repubblica Ceca e Repubblica Slovacca “fece anche vedere all’Europa e al mondo che è possibile risolvere le dispute in modo costruttivo, saggio e pacifico, che è possibile trovare l’accordo anche nei momenti molto difficili e potenzialmente pericolosi e che è possibile per due nazioni separarsi continuando a vivere uno accanto l’altro negli Stati indipendenti come veri amici nello spirito di fratellanza”.

Ucraina, l’ambascaitore Yurash si chiede da chi il Papa riceva informazioni

Parlando con Radio NV, l’ambasciatore di Ucraina presso la Santa Sede ha detto di essere stato a fianco al Papa quando ha guardato il film del regista Evgeny Afinevsky sulle atrocità dei russi nella guerra.

Per la cronaca, Afineevsky fu nell’occhio del ciclone per aver montato alcune dichiarazioni di Papa Francesco in un film facendo apparire una sua al limite non contrarietà alle unioni civili.

Quella, secondo Yurash, è stata una fonte. Ma l’ambasciatore ha anche sottolineato che Papa Francesco ha anche contatti informali in Russia, come “il ben conosciuto Leonid Sevastyanov, un rappresentante dei Vecchi Credenti di Russia”, attraverso il quale il Papa manda alcuni messaggi alla Russia, e viceversa.

Yurash ha notato che “l’ambasciata ucraina presso la Santa Sede ha inviato più note verbali nel 2022 che nei precedenti 30 anni di relazioni diplomatiche. Papa Francesco, ha aggiunto, si incontra anche con importanti leader della Chiesa, come Sua Beatitudine Sviatoslav Shevchuk, arcivescovo maggiore della Chiesa Greco Cattolica Ucraina, ma anche con figure individuali, e lo stesso fa dal lato russo, per “cercare di diversificare le fonti di informazione.

                                                           FOCUS AFRICA

Sudan, la situazione

Dal 16 aprile, gli scontri in Sudan hanno riportato nel Paese nel caos.  Parlando con Vatican News, l’arcivescovo Luis Muñoz Cárdaba, nunzio a Khartoum, ha definito la situazione nel Paese “rischiosa e seria”, e il 16 aprile gruppi di soldati hanno fatto irruzione durante la Messa in nunziatura. Lo scoppio dei disordini ha creato 942 feriti, un numero che include “civili e umanitari”, mentre la tregua umanitaria di tre ore di domenica 16 aprile, un giorno dopo l’inizio degli scontri, è stata rispettata solo “parzialmente”.

La situazione del Sud Sudan è complicata anche dalla situazione internazionale, perché l’esercito di Burhan, presidente del Consiglio Sovrano di Transizione - de facto capo di Stato del Sudan dopo il colpo di Stato del 25 ottobre 2021 - ma anche le milizie paramilitari di Hemdti, hanno grandi interessi economici e controllano anche le miniere d’oro. Non solo: Hemdti ha legami strette con Mosca, e la Cina è una dei maggiori partner commerciali. Il presidente polacco Andrzej Duda ha denunciato anche la presenza dei mercenari russi Wagner sul territorio.

Il dissenso è venuto quando si è arrivati a firmare l’accordo per l’avvio del processo politico che avrebbe riportato il potere in Sudan nelle mani dei civili.

Parlando con Vatican News, il nunzio ha lanciato un appello agli “attori della guerra” chiedendo di “fermare i combattimenti e di trovare soluzioni di dialogo e pace”. Ha aggiunto che i nuovi scontri sono arrivati “in un momento molto triste perché con questi scontri forse si può frustrare la possibilità di raggiungere un accordo politico tra diversi partiti, i gruppi armati, la società civile”.

Le trattative sono così bloccate, mentre la situazione nel Paese – che già vedeva un terzo della popolazione in bisogno di aiuti umanitari prima dello scoppio della crisi – è ora drammaticamente peggiorata.

                                                           FOCUS MULTILATERALE

La Santa Sede a a New York, le questioni indigene

Il 18 aprile, l’arcivescovo Gabriele Caccia, osservatore permanente della Santa Sede alle nazioni Unite, ha tenuto un discorso alla 22esima sessione del Forum Permanente delle Nazioni Unite sulle Questioni Indigene, sul tema “Popoli Indigeni, salute umana, planetaria e territoriale e cambiamento climatico: un approccio basato sui diritti”.

Nel suo intervento, l’arcivescovo Caccia ha fatto alcune osservazioni sul ruolo che i popoli indigeni giocano sui temi della salute e della cura dell’ambiente.

Riguardo la salute, il nunzio ha ricordato che la Dichiarazione delle Nazioni Unite sui Diritti delle Popolazioni Indigene afferma appunto il diritto delle Popolazioni Indigene alle loro medicine tradizionali e a mantenere le loro pratiche sanitarie, e ha messo in luce l’importanza di una sanità sensibile alla cultura.

Quindi, Caccia ha notato che, sebbene abbiano un impatto minimo sul cambiamento climatico, i popoli indigeni sono tra i primi ad affrontarne le conseguenze, e per questo ha richiesto agli stati di valorizzare l’eredità culturale e la conoscenza tradizionale dei Popoli Indigeni per aprire strade per una migliore gestione ambientale.

Infine, riconoscendo che le popolazioni indigene sono insostituibili custodi della biodiversità, l’arcivescovo Caccia ha enfatizzato che ogni sforzo di raggiungere gli obiettivi della Cornice sulla Diversità Globale Kunmig-Montreal deve rispettare i diritti dei popoli indigeni.

La Santa Sede a New York, il finanziamento allo sviluppo

Il 18 aprile, si è tenuto presso la sede delle Nazioni Unite a New York un Forum che fa seguito alla sessione per il Finanziamento allo Sviluppo.

L’arcivescovo Caccia, nel suo intervento alla sessione, ha sottolineato che “nella crisi globale interconnessa, c’è grande bisogno di un genuina solidarietà globale per assistere i più poveri e quanti sono lasciati da parte”. Ha aggiunto che “povertà, fame, malnutrizione e mancnaza di accesso a risorse di base sono un affronto alla dignità umana”.

Il nunzio ha anche chiesto agli Stati di assicurare che il focus per il finanziamento allo sviluppo sia posto sui bisogni delle nazioni che hanno più bisogno di aiuto internazionale ed assistenza. Il criterio ultimo di ogni aiuto internazionale, ha concluso, deve essere il rispetto della dignità inerente di ogni persona.

La Santa Sede a Vienna, il problema della tratta

Il 18 e 19 aprile, si è tenuta a Vienna la 23esima Conferenza dell’Alleanza Contro la Tratta. Il tema di quest’anno è “Riguarda le persone: leadership nazionale per terminare la tratta”. Monsignor Janusz Urbanczyk, rappresentante permanente della Santa Sede all’OSCE, ha partecipato a nome della Santa Sede.

Il primo panel affrontava la natura del problema della tratta. Monsignor Urbanczyk ha definito il traffico di esseri umani come “uno dei fenomeni più complessi, non solo per il modo in cui presenta se stesso e la diversità della sue vittime, che sono soprattutto migranti e perciò già vulnerabili”, ma anche perché coinvolge diversi attori, e ha molto poca visibilità, facendo sì che il traffico delle persone e il loro sfruttamento resta sconosciuta alla maggior parte delle persone.

Sono molti gli aspetti della tratta, nota la Santa Sede, e una delle più coercitive è lo sfruttamento sessuale, “forse il più familiare e il più combattuto attraverso differenti forme di protezione assistenza alle vittime”.

Monsignor Urbanczyk nota che c’è bisogno di andare al cuore del problema, cercando di comprendere “le ragioni che portano migliaia di donne e uomini ad essere sfruttati da organizzazioni criminali”. Spesso, si tratta di persone che vogliono “lasciare i loro territori o le loro nazioni ad ogni costo”, nella ricerca di una vita migliore e dunque alla mercé di trafficanti che promettono loro di “fuggire da povertà, guerra e persecuzione, così come da territori inospitali colpiti da eventi climatici naturali”.

La Santa Sede sostiene un approccio multidimensionale al fenomeno della tratta, che è “in costante trasformazione in un mondo a sua volta in rapido cambiamento”, e questo è un compito che va al di là delle “capacità e risorse di ogni singola comunità o nazione e ha bisogno di essere affrontato da concreti sforzi globali e impegno mondiale”.

La Santa Sede a Vienna, l’architettura contro la tratta

Il secondo panel del Forum dell’Alleanza contro la tratta ha invece affrontato i sistemi e le strutture della tratta.

La Santa Sede ha sottolineato la necessità di cooperazione, ha messo in luce il lavoro del Santa Marta Group che si è costituito dopo l’appello del Papa contro la tratta, ha rimarcato il lavoro del network di suore Talitha Kum, e ha detto che tutte queste iniziative sono portate avanti “in partnership con le istituzioni locali e le Ong che hanno lo stesso obiettivo”.

Sono esperienze che “confermano l’importanza delle partnerships, così come il bisogno di cooperazione a differenti livelli tra istituzioni nazionali e internazionali e tra organizzazioni di società civile e settore degli affari”.

La Santa Sede a Vienna, gli strumenti contro la tratta

Il terzo panel della Conferenza dell’Alleanza contro la Tratta era dedicato a “Gli strumenti contro la tratta – leggi e politiche”.

Monsignor Urbanczyk ha ribadito la necessità di un approccio multidisciplinare al fenomeno della tratta, ha notato che la pandemia ha messo in luce come la tecnologia sia utilizzata sempre più per creare reti di sfruttamento, e che questa situazione ha avuto pesanti ripercussioni, portando ad una “preoccupante crescita ed evoluzione della tratta”. Si deve, insomma, agire per “introdurre politiche di impatto, mezzi innovativi, cornici di compensazione e mettere in campo leggi specifiche in grado di affrontare la crescente complessità del fenomeno”.

La Santa Sede nota anche che “donne e bambini restano le categorie più vulnerabili al traffico di essere umani e lo sfruttamento sessuale on line” e per questo “la prevenzione resta fondamentale”, e questa “non può essere limitata a una mera coscientizzazione collettiva”, ma deve essere tradotta in azioni concrete e cornici legali necessarie per ridurre i rischi associati con quanti sono considerati i più vulnerabili”.

                                               FOCUS AMBASCIATE

Apre la nuova ambasciata svizzera presso la Santa Sede

Il 17 aprile, il Consigliere Federale Ignazio Cassis ha inaugurato la sede dell’ambasciata svizzera presso la Santa Sede. Finora, l’ambasciata presso la Santa Sede aveva avuto sede a Lubiana, e curava i rapporti anche con la Slovenia. Ora, c’è una sede a Roma, che cura anche i rapporti con Malta e San Marino, ma che ha come obiettivo principale quello di rafforzare le relazioni con la Santa Sede.

L’ambasciata, che ha avuto già una prima inaugurazione a maggio 2022, ha l’obiettivo di “consentire il perseguimento di fondamentali obiettivi comuni”, si legge in un comunicato del Dipartimento Federale degli Affari Esteri elvetico.

Cassis ha sottolineato che Svizzera e Santa Sede condividono l’italiano come lingua comune, la cultura e i valori cristiani e il fatto che la Guardia Svizzera sia al servizio del Papa e della Santa Sede da oltre mezzo millennio.