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Diplomazia pontificia, Papa Francesco a Kyiv ad agosto?

Il “ministro degli Esteri” vaticano Paul Richard Gallagher apre alla possibilità. Fonti locali dicono ad Aci Stampa che le possibilità sono al 95 per cento. Tutto sembra pronto

Arcivescovo Paul Richard Gallagher | L'arcivescovo Paul Richard Gallagher ai microfoni del TG1 | Rai / You Tube Arcivescovo Paul Richard Gallagher | L'arcivescovo Paul Richard Gallagher ai microfoni del TG1 | Rai / You Tube

Sembra davvero possibile una visita lampo di Papa Francesco a Kyiv. L’arcivescovo Paul Richard Gallagher, “ministro degli Esteri” vaticano, ha detto che “non escluderebbe” che il Papa andasse nella capitale ucraina ad agosto. È una apertura importante, considerando la tradizionale prudenza della diplomazia pontificia.

Il Cardinale Pietro Parolin ha terminato una visita in Repubblica Democratica del Congo e Sud Sudan, che si spera anticipi la visita di Papa Francesco. Pace e riconciliazione i temi principali del suo intervento.

La Santa Sede è intervenuta al ministeriale sulla libertà religiosa che si è tenuto a Londra, con un discorso del Cardinale Miguel Ayuso, prefetto del Dicastero per il Dialogo Interreligioso. L’osservatore della Santa Sede alle Nazioni Unite di New York ha presentato l’accessione della Santa Sede agli accordi sul clima.

                                                FOCUS UCRAINA

Possibile un viaggio di Papa Francesco in Ucraina?

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Sono stati finora 64 gli interventi pubblici di Papa Francesco per la pace in Ucraina, disseminati tra gli appelli al termine degli Angelus e delle udienze generali e tra le varie interviste. Il Papa ha anche chiaramente fatto sapere di voler andare a Kyiv, così come di voler andare a Mosca.

Se un viaggio a Mosca sembra ancora improbabile, da tempo il governo ucraino punta ad una visita del Papa, e l’invito del ministero degli Esteri è stato ribadito anche negli scorsi giorni. Parlando con il Tg1, l’arcivescovo Paul Richard Gallagher, ministro vaticano per i rapporti con gli Stati, non ha escluso la possibilità di un viaggio a Kyiv.

"Sì – ha detto il ministro degli Esteri vaticano - credo che ritornando dal Canada si comincerà a studiare veramente le possibilità". È stato chiesto, di rimando: il viaggio potrebbe essere imminente, anche in agosto? "Possibilmente, non lo escluderei, però molto dipende dai risultati del viaggio in Canada, vediamo come il Papa resisterà a questo viaggio che è anche molto impegnativo e poi vediamo".

Gallagher ha anche detto che “il Papa è molto convinto che se lui potesse fare una visita potrebbe avere anche dei risultati positivi. Lui ha detto che andrà in Ucraina e lui si è sempre mostrato disponibile di visitare Mosca e di incontrare anche le autorità russe". 

Sulla concessione dello status di candidato all’Ucraina per diventare membro dell’Unione Europea, Gallagher ha risposto: “mentre siamo preoccupatissimi per le questioni ucraine e la risoluzione della guerra, in pari tempo siamo preoccupati per il futuro dei Balcani occidentali”.

L’arcivescovo Gallagher ha anche aperto alla possibilità di un incontro tra il Patriarca di Mosca Kirill e Papa Francesco a settembre. “Credo – ha detto - che se il patriarca e il Santo Padre viaggiano fino a Kazhakistan (a settembre, ndr) per questa grande conferenza delle religioni del mondo sì ci sarà un incontro. Bisogna tentare di superare difficoltà e malintesi per l’unità della chiesa”.

More in Mondo

Sui contatti tra Vaticano e Mosca per un viaggio del Pontefice anche in Russia, monsignor Gallagher ha confermato che "in questo momento sono piuttosto istituzionali tramite Il nunzio apostolico a Mosca e tramite l’ambasciatore russo" presso la Santa Sede. "Oltre a questo - ha aggiunto - non ci sono tanti contatti diretti o personali".

Parlando con la Reuters, Papa Francesco aveva detto di voler andare in Ucraina e prima ancora di voler andare a Mosca, e aveva affermato che vedeva uno spiraglio. Subito dopo, erano arrivate, sull'agenzia russa Ria Novosti, dichiarazioni del portavoce del presidente russo Vladimir Putin Dmitry Peskov che affermavano come “il Cremlino non fosse a conoscenza di contatti sostanziali per una visita del Papa a Mosca. Una visita del genere dovrebbe essere preparata ai massimi livelli. Il Papa conosce la nostra posizione. Una visita al più alto livello dovrebbe essere preceduta da preparativi. Per quanto ne so, non ci sono contatti sostanziali su questo argomento”.

Diverso l’approccio ucraino. Dmytro Kuleba, ministro degli Affari Esteri, parlando durante un telethon tv che "Papa Francesco può venire in Ucraina quando vuole, perché sarà un momento di forte ispirazione e sostegno che gli permetterà di comprendere meglio le cause della guerra".

Kuleba ha anche aggiunto che “il Papa è molto atteso in Ucraina e ricordiamo ai nostri colleghi in Vaticano che l'invito resta aperto. Può venire quando vuole. Siamo anche pronti a prepararci per la sua visita: questa visita è così importante per noi ucraini".

Anche perché – ha detto il ministro degli Esteri ucraino – “il Papa mantiene un grande ruolo di pacificatore nella politica internazionale, e penso che capirebbe meglio le ragioni di questa guerra, vedendo con i suoi occhi la sofferenza. Ciò consentirebbe di trovare ulteriori modi per coinvolgerlo nella fine di questa guerra o nella risoluzione di alcune questioni umanitarie create da questa guerra"

FOCUS EUROPA

L’Unione Europea vuole rendere l’aborto un diritto umano. Il no della Santa Sede

Padre Manuel Barrios Prieto, segretario generale della Commissione delle Conferenze Episcopali di Europa, ha sottolineato che la risoluzione europea dedicata al sovvertimento della sentenza USA Roe vs Wade “apre la strada ad una deviazione dai diritti umani universalmente riconosciuti e mal rappresentati nella tragedia dell’aborto o delle madri in difficoltà”.

Padre Barrioso sottolinea che “la prioritizzazione per avere l’aborto incluso nella Carta dei Diritti Umani dell’Unione Europea intensifica il confronto tra i nostri cittadini e tra gli Stati membri.”

                                                FOCUS NUNZIATURE

Un nuovo nunzio per il Messico

L’arcivescovo Joseph Spiteri, finora nunzio in Libano, è stato nominato il 7 luglio da Papa Francesco come nunzio in Messico.

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Classe 1959, maltese, Spiteri è nel servizio diplomatico della Santa Sede dal 1988, servendo nelle nunziatura di Panama, Iraq, Messico, Portogallo, Grecia e Venezuela. Quindi, è stato richiamao a Roma, a lavorare negli uffici della Segreteria di Stato.

Nel 2009, Benedetto XVI lo nominò arcivescovo in Sri Lanka. Dal 2013 al 2017 Spiteri è stato invece nunzio in Costa d’Avorio, e ha servito in Libano dal 2018 al 2022.

                                                FOCUS MULTILATERALE

La Santa Sede accede alla convenzione quadro ONU sui cambiamenti del clima

L’arcivescovo Gabriele Giordano Caccia, Osservatore permanente della Santa Sede presso l’ONU, ha depositato lo strumento con il quale la Santa Sede, in nome e per conto dello Stato della Città del Vaticano, accede alla Convenzione-Quadro

delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici. Ne ha dato notizia una dichiarazione della Sala Stampa della Santa Sede l’8 luglio. Nel comunicato, si dichiara l’intenzione della Santa Sede di depositare anche lo strumento di accessione all’accordo quadro, con il quale “la Santa Sede, in nome e per conto dello Stato della Città del Vaticano, intende contribuire e dare il proprio sostegno morale agli sforzi di tutti gli Stati per cooperare, in conformità con le loro responsabilità e rispettive capacità, comuni ma differenziate, in una risposta efficace e adeguata alle sfide poste dal cambiamento climatico per la nostra umanità e per la nostra casa comune”.

Con la decisione, la Santa Sede ha voluto anche richiamare l’invito del Papa a rinnovare il dialogo per il futuro del pianeta, e auspica che la Convenzione di Parigi possa contribuire “a promuovere «una forte convergenza di tutti nell’impegnarsi di fronte all’urgente necessità di avviare un cambiamento di rotta capace di passare con decisione e convinzione dalla ‘cultura dello scarto’ prevalente nella nostra società a una ‘cultura della cura’ della nostra casa comune e di coloro che vi abitano o vi abiteranno [...]”

Il cardinale Ayuso al ministeriale sulla libertà religiosa

Si è tenuto il 5 e 6 luglio a Londra il Ministeriale per promuovere la libertà religiosa promosso dal governo del Regno Unito. Un po’ oscurato dalla crisi politica, il ministeriale ha comunque avuto una ampia partecipazione di leader religiosi e della società civile.

La Santa Sede ha partecipato con un video messaggio del Cardinale Miguel Angel Ayuso Guixot, prefetto del Dicastero per il Dialogo, mentre in presenza c’era padre Paulin Batairwa Kubuya, sottosegretario del dicastero.

Il cardinale ha sottolineato che non si può vietare agli uomini di esprimere la loro fede, fin quando questa espressione rispetta il bene comune, e che estremismo e fondamentalismo trovano terreno fertile non solo nella strumentalizzazione della religione, ma anche nel vuoto di ideali e nella perdita di identità, in un vuoto che colpisce soprattutto le società sviluppate, e che “genera facilmente paura, che porta poi a vedere l'altro come una minaccia e un nemico”.

Il cardinale Ayuso ha ricordato che Papa Francesco ha indicato la via della fraternità, prima con il Documento di Abu Dhabi firmato insieme al Grande Imam di al Azhar e poi con la lettera enciclica Fratelli Tutti.

Proprio in questa enciclica, c’è un capitolo sulle religioni al servizio della fraternità. Il Cardinale lo ha messo in luce e citato estensivamente.

“Le diverse religioni - scrive il Papa - offrono un prezioso apporto per la costruzione della fraternità e per la difesa della giustizia nella società. Il dialogo tra persone di religioni differenti non si fa solamente per diplomazia, cortesia o tolleranza. Come hanno insegnato i vescovi dell’India, l’obiettivo del dialogo è stabilire amicizia, pace, armonia e condividere valori ed esperienze morali e spirituali in uno spirito di verità e amore”.

Allo stesso modo, conclude il porporato, il dialogo con gli Stati e le loro istituzioni può portare a una maggiore comprensione, all'impegno a collaborare per la pace e per l'autentico sviluppo.

                                                FOCUS EUROPA

Turchia, la protesta delle fondazioni legate alle comunità di fede

Il nuovo regolamento elettorale delle Fondazioni turche legate alle comunità di fede non musulmane ha creato diverse proteste, sebbene si tratti di una buona notizia, perché la pubblicazione ha posto fine a un lungo periodo di stallo e di incertezza amministrativa.

Il testo delle nuove regole per l’elezione degli organi di amministrazione delle Fondazioni è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale turca sabato 18 giugno.
Il sistema delle “Fondazioni” è lo strumento giuridico con cui di fatto gli apparati politici turchi regolano i propri rapporti istituzionali con le comunità di fede non musulmane. Alla Direzione nazionale delle Fondazioni fanno riferimento attualmente 167 Fondazioni legate alle comunità greco-ortodosse, armene, ebraiche, siriache, caldee, bulgare, georgiane e maronite presenti in Turchia, usualmente definite come "minoranze".

Per ora, la gestione delle fondazioni delle minoranze in Turchia tocca la vita delle comunità cristiane ed ebraiche locali, perché questi organismi sono affidate la gestione dei luoghi di culto, beni immobiliari e istituzioni pubblico.

Il nuovo regolamento, giunto dopo un ampio dibattito di due anni, ha suscitato varie critiche.

Il deputato armeno Garo Paylan, dell’HDP (Partito Democratico dei Popoli, formazione d'opposizione che unisce organizzazioni politiche curde e forze di sinistra) ha presentato al Parlamento turco un’interrogazione in cui sostiene che la pubblicazione dei nuovi regolamenti ha causato “grande frustrazione nelle comunità minoritarie”, criticando in particolare la nuova suddivisione territoriale delle circoscrizioni elettorali da utilizzare per i processi elettorali colti a rinnovare i Consigli di amministrazione delle singole Fondazioni e il fatto di aver sottoposto al controllo del Ministero della Salute le attività delle Fondazioni che gestiscono ospedali e altri presidi sanitari.
Lo status giuridico delle Fondazioni si fonda ancora sul Trattato di pace di Losanna, sottoscritto nel 1923 dalla Turchia e dalle potenze dell’Intesa (Impero britannico, Francia e Impero Russo) uscite vittoriose dalla Prima Guerra mondiale, che garantiva alle comunità di fede non musulmane presenti in Turchia l'uguaglianza davanti alle leggi e la libertà di promuovere e gestire "istituzioni religiose e sociali".
Negli ultimi due decenni la Turchia ha affrontato e risolto molte delle controversie relative alla gestione e destinazione di proprietà sequestrate dallo Stato su cui le Fondazioni rivendicavano i diritti garantiti dal Trattato di Losanna.

Secondo dati ufficiali forniti dagli apparati turchi, alle Fondazioni collegate alle comunità non musulmane sono stati restituiti tra il 2013 e il 2018 circa 1.084 immobili, e alle stesse comunità sono stati consegnati dopo i necessari restauri 20 luoghi di culto.

 

                                                         FOCUS CINA

Accordo sino-vaticano, la Cina non sembra voler fare modifiche

Lo scorso lunedì, l’arcivescovo Claudio Maria Celli, che da 40 anni si occupa di Cina ed è capo delegazione per i negoziati per il rinnovo dell’accordo sino-vaticano, è stato in visita da Papa Francesco. L’udienza è stata concessa anche per discutere del rinnovo del’accordo sino-vaticano, la cui proroga scade il prossimo 22 ottobre.

In una intervista ad ACI Stampa, il Cardinale Parolin aveva detto di sperare che fosse rivisto l’accordo, i cui contenuti restano tuttora confidenziali.

Parlando con la Reuters, il Papa ha detto che le cose vanno bene, e che è vero che ci sono state 6 nomine episcopali in quattro anni, ma che si tratta di tempi cinesi.

Ottimismo che non ha trovato riscontri in Cina. Il portavoce del ministero degli Esteri, Zhao Lijian, ha risposto il 6 luglio a una domanda dell'AFP sulle parole di Papa Francesco riguardo l'accordo Cina-Vaticano nella sua intervista alla Reuters. L'alto funzionario cinese ha detto: "Dalla firma dell'accordo provvisorio tra Cina e Vaticano sulla nomina dei vescovi, l'accordo è stato attuato con successo con gli sforzi di entrambe le parti. Le due parti continueranno a portare avanti i lavori correlati in conformità con l'agenda concordata." È un modo di smentire il possibile viaggio? O è un depistaggio?

Fatto sta che monsignor Javier- Herrera Corona, il rappresentane non ufficiale vaticano ad Hong Kong, monsignor Javier-Herrera Corona, ha messo in guardia i cattolici locali di prepararsi “ad un futuro più duro fintantoché la Cina stringe il controllo sulla città e ha chiesto ai suoi colleghi di “proteggere le missioni.

Parlando con i missionari, monsignor Herrera Corona ha detto che “è meglio che siano preparati al cambiamento,”, e che Tokyo non è più la grande cattolica testa di ponte che era un tempo.

Corona-Herrera è un uscita dalla missione studio di Hong Kong.

Ecuador, i vescovi siglano una tregua con il governo

La tregua tra Ecuador e Santa Sede sta in un “accordo è stato firmato al termine di un incontro tenuto presso la sede della Conferenza Episcopale, che ha sempre mediato tra le parti per il dialogo e prevede il ritorno dei manifestanti nei propri .

L’accordo è stato firmato dal Ministro del Governo, e dai rappresentanti delle tre maggiori organizzazioni indigene: Confederación de Nacionalidades Indígenas del Ecuador (Conaie), Confederación Nacional de Organizaciones Campesinas, Indígenas y Negras (Fenocin), Consejo de Pueblos y Organizaciones Indígenas Evangélicos del Ecuador (Feine).
Il Governo ha accolto le richieste dei movimenti indigeni, tra cui le principali sono relative alla riduzione del prezzo dei carburanti, a frenare le attività petrolifere, a non concedere permessi per le attività minerarie nelle zone protette e nei territori delle comunità indigene.

Tuttavia Leonidas Iza, presidente della Conaie, ha precisato che gli accordi non contengono tutte le richieste degli indigeni, anche se rappresentano un importante obiettivo raggiunto.
Il Presidente dell’Ecuador, Guillermo Lasso, in un messaggio televisivo seguito agli accordi, ha assicurato che il paese ha ritrovato la pace e messo fine alle mobilitazioni, invitando tutti gli ecuadoriani a sentirsi una sola famiglia e a lavorare “per costruire un Ecuador migliore, unito, forte e solidale”. Ha anche ringraziato la Chiesa cattolica per la sua mediazione.