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Diplomazia pontificia, quanto conta il dialogo con l’Islam

Un incontro di Papa Francesco, e poi la firma di un accordo con il consiglio musulmano per anziani, rilanciano il tema del dialogo con il mondo islamico

Papa Francesco, Ayatollah Seyed Abu al Hassan Navab | Papa Francesco incontra l'Ayatollah Seyed Abu al Hassan Navab, rettore dell'Università di Qom, in Iran | Vatican Media / ACI Group Papa Francesco, Ayatollah Seyed Abu al Hassan Navab | Papa Francesco incontra l'Ayatollah Seyed Abu al Hassan Navab, rettore dell'Università di Qom, in Iran | Vatican Media / ACI Group

L’incontro di Papa Francesco con il rettore dell’università di Qom, in Iran; il messaggio inviato dal Papa al Grande Ayatollah al Sistani; la firma di un protocollo di intesa con il Consiglio Musulmano degli Anziani; sono tre eventi che mostrano lo sforzo della Santa Sede di proseguire in un dialogo con l’Islam, e rappresentano probabilmente il tema del futuro, se poi si considera che la Dichiarazione per la Fraternità Umana firmata da Papa Francesco e dal Grande Imam di al-Azhar è diventata base dell’attività diplomatica, regalata dal Papa a tutti i capi di Stato o di governo che gli fanno visita.

Amplissima l’attività della Santa Sede nel multilaterale questa settimana. Negli interventi, si è parlato anche della crisi in Nicaragua, della crisi in Ucraina, e del ruolo delle donne nelle operazioni di pace.

                                                    FOCUS ISLAM

Dal messaggio del Papa ad al Sistani all’incontro con il rettore di Qom: come il Papa rilancia il dialogo con l’Islam sciita

Nel corso di questa settimana, Papa Francesco ha inviato un messaggio al Grande Ayatollah al Sistani, il leader dell’Islam sciita che aveva incontrato anche durante il suo viaggio in Iraq, stabilendo ponti di dialogo con quella parte di Islam che sembrava trascurata dopo i ponti gettati con l’Islam sunnita, l’amicizia con il Grande Imam di al Azhar, e la firma della Dichiarazione della Fraternità Umana ad Abu Dhabi.

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Ma l’incontro forse più interessante è quello che è avvenuto lo scorso 10 marzo con l’Ayatollah Seyed Abu al Hassan Navab, rettore della prestigiosa università di Qom. Va ricordato che proprio da una partnership con l’Università di Qom nacque la traduzione del catechismo in lingua farsi, presentato nel 2015.

Non ci sono particolari informazioni dell’incontro che l’ayatollah Abulhassa Navab,

rettore dell’università per le Religioni e le confessioni religiose di Qom, ha avuto con Papa Francesco. Il 9 marzo, però, questi ha visitato la Pontificia accademia mariana internationalis (Pami) a Roma, e lì ha parlato di ignoranza e paura, due “eserciti invisibili” che seminano guerra e violenza.

La visita è stata occasione di stabilire contatti tra l’università di Qom e la Pami per sottoscrivere un accordo di collaborazione per diffondere la cultura della pace e del dialogo interreligioso attraverso progetti da estendere a scuole e università di diverse nazioni, per eliminare barriere, ostilità e pregiudizi.

Papa Francesco ha inviato un messaggio al Grande Ayatollah al Sistani attraverso il Cardinale Miguel Angel Ayuso Guixot, prefetto del Dicastero per il Dialogo Interreligioso, che era in Iraq per il convegno internazionale “Cattolici e sciiti davanti al futuro. A due anni dalla visita di papa Francesco in Iraq”, organizzato dalla Comunità di Sant’Egidio insieme all’Istituto Al-Khoei.

Fra i relatori dell’incontro a Najaf dell’8 marzo il Cardinale Louis Rapahel Sako, patriarca di Baghdad dei caldei, il quale ha ricordato la “dimensione umana e spirituale” della fraternità che è orientata a “vivere insieme in pace”, lontano da “inimicizia, violenza e paura”. Incontrando il Papa, al Sistani aveva detto:

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“Noi siamo parte di voi, e voi siete parti di noi”. Una frase, avverte, che è “veramente una fatwa, una sentenza giuridica, che deve essere rispettata”.

Nell’ultima giornata dell’evento, il 10 marzo a Baghdad, sempre Sako ha indicato le sfide globali: dalla guerra russa in Ucraina alla “irrisolta” questione palestinese, dalle sfide climatiche e ambientali all’estremismo religioso e al terrorismo, passando per il processo progressivo di “secolarizzazione dell’Occidente”. Di fronte a queste sfide, il porporato ha concluso proponendo “la creazione di centri di convivenza che promuovano lo spirito di amore e di cooperazione fra cittadini, sul piano etico e religioso, al fine di preservare l’unità della società stessa”.

Vaticano e Consiglio Musulmano degli Anziani firmano un accordo

Il 6 marzo, il Consiglio Musulmano degli Anziani e il Dicastero per il Dialogo Interreligioso hanno firmato un memorandum di intesa per rafforzare il dialogo interreligioso e interculturale. A rappresentate le due parti il giudice Mohamed Abdelsalam, segretario generale del Consiglio musulmano degli anziani, e il cardinale Miguel Ángel Ayuso Guixot, prefetto del Dicastero vaticano per il Dialogo interreligioso.

L'accordo prevede la formazione di un comitato congiunto permanente per il dialogo islamo-cristiano tra il Consiglio e il Dicastero che sarà co-presieduto da entrambe le parti e terrà incontri annuali per il coordinamento degli sforzi e delle iniziative congiunte che promuovono il dialogo e la coesistenza tra i seguaci di religioni e culture diverse in tutto il mondo.

Il Consiglio è presieduto dal Grande Imam di al-Azhar, Ahmed al Tayyb, mentre il giudice Abdelsalam fu tra quelli che presentarono l’enciclica di Papa Francesco “Fratelli tutti”. Secondo il Cardinale Ayuso, la firma del protocollo permetterà di rafforzare gli sforzi di cooperazione congiunta e catalizzare ulteriori iniziative e progetti”.

Secondo Abdelsalam, l’accordo è parte degli sforzi di dialogo islamo-cristiani, secondo i principi della Dichiarazione sulla Fratellanza Umana, e ha affermato che ci sono molti progetti in corso, sottolineando che le numerose crisi a cui il mondo sta assistendo oggi richiedono l'unione degli sforzi dei leader politici e religiosi per mostrare al mondo la via per superare queste stesse sfide.

                                                FOCUS MULTILATERALE

La Santa Sede a Ginevra, i sistemi di armi autonome

Al di là della minaccia nucleare, c’è un tema che la Santa Sede esplora da tempo, ed è quello dei Lethal Autonomous Weapons Systems (LAWS), ovvero dei sistemi di armi autonomi. Si tratta, in pratica, delle armi portate con droni, delle armi che creano distanza tra chi le usa e gli effetti, e che rappresentano anche il tema del futuro. Tutti si possono dotare di LAWS, solo gli Stati possono avere il nucleare.

Il 7 marzo, a Ginevra, c’è stata una discussione con un gruppo di esperti governativi sulle LAWS. Per la Santa Sede, ha preso la parola l’arcivescovo Fortunatus Nwachuwku, osservatore della Santa Sede presso le Organizzazioni Internazionali a Ginevra.

La Santa Sede – ha detto – “crede che per evitare una corsa alle armi e la crescita di ineguaglianze e instabilità, c’è un dovere imperativo di trasferire il benessere delle conoscenza in una cornice concreta e operativa, radicata in considerazioni etiche”.

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Per la Santa Sede, la conoscenza comune del problema deve ora tradursi in pratica, portando a “uno strumento che sia legalmente vincolante”.

In particolare, la Santa Sede nota che i LAWS non possono mai essere soggetti moralmente responsabili, e che “rimuovere l’agire umana dall’equazione morale come sua fondamentale punto di riferimento è problematico non solo dal punto di vista etico, ma anche dal punto di vista dei fondamenti della legge”.

È imperativo, dunque, garantire una “adeguata supervisione umana”, che prevede, tra le altre cose, che “mai i sistemi di armi possano avere la capacità di contraddire ciò che l’autorità umana ha definito come il principale scopo o risultato del suo intervento”. I sistemi autonomi devono anche rispondere a requisiti di prevedibilità e affidabilità, perché “se comportamenti specifici non possono essere sempre controllati, tutti i possibili comportamenti devono essere circoscritti a priori”.

La possibilità è anche di escludere tuti i sistemi di armi che rischiano di essere incompatibili con la legge umanitaria internazionale.

La Sanat Sede a Ginevra, la questione delle armi convenzionali

Oltre che di LAWS, a Ginevra si è discusso anche, il 6 marzo, su alcune armi convenzionali. L’arcivescovo Nwachukwu ha notato che “la Santa Sede ha messo in luce in numerose occasioni i potenziali benefici della tecnologia per avanzare il bene comune, anche proponendo una Agenzia Internazionale per l’Intelligenza Artificiale”, ma che il momento attuale di molteplici crisi “dominate da incertezza e conflitti” è necessario focalizzarsi prima di tutto concentrarsi su rischi e sfide”.

La Santa Sede chiede di “evitare che i LAWS diventino una risorsa aggiuntiva di instabilità”, chiede con urgenza “uno strumento legale vincolante che affronti le sfide etiche e globali dei LAWS”, e ritiene necessario “stabilire una moratoria sul loro sviluppo”, anche perché i LAWS hanno “potenziali e serie implicazioni nel campo dei diritti umani, dell’etica, della pace, della stabilità”.

La Santa Sede nota che “lasciare completamente alle macchine le decisioni sull’applicazione di forza letale rimuove, o al limite offusca, il peso morale associato intrinsecamente alle operazioni militari”, e che oggi si dovrebbe riflettere anche sul possibile uso di armi autonome a grappolo e kamikaze, che potrebbe portare a “eccessive ferite ed effetti indiscriminati”.

La Santa Sede ci tiene a sottolineare che “non tuto ciò che è considerato legale è anche etico”, e che le armi autonome, se fornite di strumenti di auto apprendimento, potrebbero andare oltre “le funzioni programmate e scopo delle operazioni”, che questo renderebbe difficile trovare un limite.

La Santa Sede mette in luce che “il crescente e diffuso uso di droni armati crea una finestra per il futuro”, e che “stiamo assistendo alla proliferazione e al crescente uso di queste tecnologie in vari conflitti che stanno diventando campi per testare armi sempre più sofisticate”.

Secondo la Santa Sede, infine, è interesse di tuti gli Stati, inclusi quelli che sono davanti alla ricerca tecnologica, di raggiungere “accordi concreti” su questo tema.

La Santa Sede a Ginevra, sulla restrizione alle conversioni religiose

Lo scorso 8 marzo, il Consiglio dei Diritti Umani di Ginevra ha discusso dei “trend nella restrizione sulla conversione religiosa”.

L’arcivescovo Nwachukwu ha lodato gli strumenti internazionali, a partire dalla dichiarazione dei diritti umani, che “distinguono appropriatamente tra l’inalienabile e inviolato diritto di avere un certo credo, libero dalla coercizione, il diritto di manifestare queste convinzioni religiose”.

Eppure, ha detto, troppo frequentemente solo questo secondo aspetto della libertà religiosa è preso in considerazione, e “lo scopo della libertà religiosa è considerato primariamente a partire dalla prospettiva o l’abilità di compiere atti di culto, o di esprimere le proprie convinzioni privatamente, riducendolo così a mero diritto di espressione o di riunione pacifica”.

In questo modo, denuncia la Santa Sede, si svuota il diritto alla libertà religiosa del suo scopo e contenuto specifico e rischia di denaturalizzare questa libertà fondamentale.

Spiega il nunzio che “mentre la legge internazionale riconosce, in certe circostanze, il diritto degli Stati di limitare le manifestazioni di una religione o credo come prescritto dalla legge e necessario per proteggere la sicurezza pubblica, l’ordine, la salute, le morali o i diritti fondamentali e le liberà di altri, nessuna autorità pubblica ha tale diritto all’adozione e aderenza del credo religioso”.

Per questo, ogni restrizione, coercizione, limitazione o intimidazione riguardo alla conversione vero o da una religione è “esplicitamente proibito dalla legge internazionale”.

Secondo l’arcivescovo Nwachukwu, la confusione che regna riguardo la promozione e protezione del diritto alla libertà di religione o di credo sia “indicativo di un problema più profondo che affronta la comunità internazionale e che riguarda i diritti umani in generale”.

La Santa Sede mette in luce che “troppo frequentemente, i diritti umani sono considerati una raccolta di prerogative, che sono più o meno concordate dalla comunità internazionale e quindi trasferiti su individui e gruppi basati su quel consenso internazionale”. Da questa prospettiva, “solo quelle concessioni su cui c’è un accordo, e quindi implementate nella legislazione nazionale, sono considerate diritti”, mentre “se non c’è consenso, o se uno Stato, nascondendosi dietro il pretesto della sovranità nazionale, sceglie di non implementare alcuni diritti nella legislazione nazionale, questi diritti non esistono”.

È un approccio definito dalla Santa Sede “esternalizzazione dei diritti umani”, che significa che “ogni volta che ci si appella ad una autorità” per definire quale diritto si applicherà su chi, vengono messe in discussione “le basi fondamentali dei diritti umani”, e l’esercizio di quella autorità “rischia di diventare arbitrario e dittatoriale”.

La Santa Sede nota che quest’anno è il 75esimo anniversario dell’adozione della Dichiarazione dei Diritti Umani, e questi sono “ancorati nella dignità umana”, perché “senza rispetto per la dignità umana, non c’è rispetto per i diritti umani”, e invece il ruolo dei diritti umani è “di riconoscere questi valori inalienabili, universali, fondamentali, eterni ed obiettivi”, e di “implementare misure per assicurare una protezione e promozione adeguata e promozione di questi diritti autoevidenti”.

La Santa Sede definisce tre aspetti che sono specifici delle persone umane: l’intelletto, la libera volontà e la natura sociale. Quando questi aspetti sono radicati nella dignità della persona umana, i diritti “non sono semplicemente un numero di licenze accordate a gruppi e individui”, ma sono piuttosto “il frutto del riconoscimento della nostra comune natura umana, la nostra capacità di cercare l’umano che fiorisca individualmente e collettivamente, e il dovere di permettere ai nostri fratelli e sorelle di fare lo stesso”.

Da questo punto di vista, è chiaro “perché la libertà di religione o credo non debba mai essere ridotta ad una manifestazione esterna di queste credenze”, e che “negare a chiunque la piena libertà di cercare la verità per cui la religione è fondamentale, o di esporla liberamente, andrebbe a negare “l’intelletto, la libera volontà e la natura sociale che è alla base della nostra comune dignità umana”.

La Santa Sede denuncia che “le restrizioni alle conversioni religiose o la coercizione a convertirsi verso una religione diversa da quella che corrisponde al credo di una persona non è solo una violazione di un diritto umano, ma un attacco diretto della nostra abilità di essere umani e un affronto alla nostra dignità data da Dio”.

L’arcivescovo Nwachukwu fa poi una ulteriore distinzione: è sempre illegittimo, dice, “costringere o restringere una persona nell’adozione di certe credenze religiose”, ma non è illegittimo “un rispettoso e riflettuto scambio sui valori religiosi e le verità”, perché questo dialogo “può solo aiutare il fiorire di una persona umana e la promozione del bene comune”.

La Santa Sede a Ginevra, la questione in Nicaragua

Il 7 marzo, il Consiglio dei Diritti Umani a Ginevra ha discusso la situazione in Nicaragua. Le notizie non sono confortanti per la Chiesa cattolica: dopo l’arresto e la condanna del vescovo di Matagalpa Rolando Àlvarez, e la chiusura di diversi media, nella scorsa settimana è stata anche abolita la Caritas locale e chiusa l’università Giovanni Paolo II.

Il 7 marzo si è tenuto un incontro al Consiglio dei Diritti Umani con un gruppo di esperti. L’arcivescovo Fortunatus Nwachukwu è intervenuto a nome della Santa Sede.

La Santa Sede, ha detto, ha “espresso profonda preoccupazione riguardo la crescita di violenza nella nazione, e la riduzione di uno spazio per il dialogo e la negoziazione tra le autorità e la società civile in anni recenti”.

Il rapporto presentato mostra il deterioramento della situazione socio politica e riguardante i diritti umani in Nicaragua, laddove ci sono crescenti restrizioni delle libertà di espressione, di assemblea pacifica e di associazione, ma anche “misure repressive contro i critici del governo, giornalisti e difensori dei diritti umani”, nonché di membri della Chiesa Cattolica.

Nota la Santa Sede che “destano preoccupazione anche la chiusura di diversi media indipendenti e organizzazioni non governative, tra le quali organizzazioni di tipo religioso, e le accuse di un sistematico uso della violenza da parte delle forze di polizia in un clima di generale impunità, con frequenti episodi di arresti arbitrari, violazioni del giusto processo e le precarie condizioni dei detenuti”.

E il nunzio non manca di segnalare l’espulsione di diversi diplomatici, tra cui anche “l’ambasciatore del Papa” Waldemar Sommertag (ora nunzio in Senegal), nonché l’espulsione delle Missionarie della Carità e l’arresto, la condanna del vescovo Àlvarez, l’esilio di 300 cittadini nicaraguensi privati della nazionalità, tra i quali si include l’esiliato vescovo ausiliare di Managua Silvio José Baez.

La Santa Sede vuole “rimarcare la richiesta di Papa Francesco di superare le ostilità e cercare spazi per un dialogo costruttivo tra le parti”, mettendo le basi per il ritorno ad una coesistenza pacifica “basata sul rispetto della dignità e sui diritti di tutte le persone, specialmente quelli nelle situazioni più vulnerabili”.

La Santa Sede a Ginevra, la questione migranti nel Corno d’Africa e nell’Est

L’arcivescovo Nwachukwu è anche intervenuto alla riunione del Comitato dell’Alto Commissario per i Rifugiati, durante il quale si è dato un aggiornamento della situazione dei migranti ad Est e nel Corno d’Africa.

Parlando di fronte al comitato lo scorso 8 marzo, la Santa Sede ha definito “deplorevole” che negli ultimi anni ci sia stata “una costante crescita nel numero di persone che lasciano le nazioni da cui provengono a causa di conflitti, persecuzioni, insicurezza alimentare, povertà e, sempre più, cambiamento climatico”.

Le cause e l’intensità delle cause, possono variare, ma il denominatore comune è che ci sono “milioni di persone forzati a lasciare le loro, spesso rischiando le loro vita in cerca di sicurezza, pace e una vita degna.”

La Santa Sede si dice grata alle nazioni nella regione che “continuano ad adempiere con generosità al loro dovere nei confronti di quelli che cercano protezione”.

La Santa Sede nota la crescita degli sfollati interni, che va insieme a quella dei richiedenti asilo, e che pone un problema diverso: sono cittadini, hanno gli stessi diritti e doveri degli altri cittadini, e i loro governi dovrebbero “non risparmiare gli sforzi nel cercare soluzioni immediate al loro ricollocamento, anche attraverso schemi di ricollocazione volontaria e la fornitura di servizi essenziali, come salute ed educazione”.

Tuttavia, nota l’arcivescovo Nwachukwu, essere sfollato “dovrebbe essere una situazione temporanea di emergenza” e dovrebbe essere risolta prima possibile con “promozione, adozione e ferma implementazione di soluzioni durevoli”.

La Santa Sede guarda anche con attenzione al numero di bambini sfollati a causa della devastazione causata da violenza, alluvioni, e insicurezza alimentare; definisce “tragico che così tanti bambini non possono ricevere una educazione appropriata”; e ricorda che molti di loro “non ricordano nemmeno cosa significhi avere una casa”.

La Santa Sede a Ginevra, la questione dei rifugiati in Europa

La guerra in Ucraina ha reso nuovamente urgente la questione dei rifugiati in Europa. Se prima l’ondata migratoria arrivava dalla Siria o da altri teatri di guerra, ora c’è una migrazione che viene direttamente dall’Ucraina, da cui otto milioni di persone sono partite e hanno attraversato il confine. Il 7 marzo, l’Alto Commissario per le Nazioni Unite ne ha discusso in una sessione del suo comitato a Ginevra.

L’arcivescovo Nwachukwu, nel suo intervento, ha notato che “la Santa Sede continua a seguire il conflitto in Ucraina e le sue ripercussioni con profonda tristezza e grande preoccupazione”, considerando che “il bilancio di morti e feriti, il numero di rifugiati e di persone sfollate, la distruzione e il danno economico sociale che è stato inflitto parla da sé e mostra, ancora una vola, la tragica assurdità della guerra”.

Il rappresentante della Santa Sede mette in luce che “nella guerra, tutti perdono”, anche i soldati che si trovano alla frontiera, le madri che devono scappare con i figli, le famiglie separate, i bambini non accompagnati, gli anziani sradicati da tradizioni, storie e case.

La Santa Sede si dice grata alle nazioni che confinano con l’Ucraina “non solo per aver rispettato gli obblighi internazionali, ma per aver liberamente e generosamente accolto oltre 8 milioni di persone con bisogno di protezione”, e riconosce “il successo della direttiva europea temporanea che protegge i rifugiati ucraini, così come “la molto necessaria assistenza fornita dall’Unione Europea a nazioni terze che si trovano nel mezzo del conflitto”. Si tratta di azioni concertate che “mostrano come risposte concrete sono possibili quando la preoccupazione umanitaria prevale sulle impasse politiche”.

La Santa Sede si chiede se “sia stato fatto tuto il possibile per terminare la guerra e raggiungere una vera, durevole e giusta pace”; rimarca le varie iniziative a livello locale della Chiesa cattolica e delle sue istituzioni che hanno rappresentato “un vero esempio di fraternità umana”.

L’arcivescovo Nwachukwu ha messo anche in luce che la situazione in Ucraina non deve allontanare l’attenzione da altre situazioni umanitarie che richiedono assistenza urgente, a partire proprio dai bambini non accompagnati che migrano cercando un rifugio sicuro in Europa e che troppo spesso sono esposti al rischio di tratta, sfruttamento sessuale e abuso.

La Santa Sede stigmatizza anche “il crescente numero di respingimenti nella terra europea e nei confini marittimi, in flagrante violazione del principio di non refoulment”, vale a dire di non rimandare indietro le persone in nazioni dove sono perseguitate.

La Santa Sede sostiene che “è deplorabile che dobbiamo ancora testimoniare a tragedie di vite perse nel mare”, e questo non riguarda il fatto che le persone colpite “abbiano o meno il diritto ad una protezione internazionale”, perché “spostare le responsabilità e giocare ad accusarsi gli uni gli altri creano solo più sofferenza e la perdita di vite umane”, mentre “la sacralità della vita deve essere rispettata in ogni contesto e in tutti i tempi”.

La Santa Sede a New York, donne e pace

Il 7 marzo, si è tenuto al Palazzo di Vetro delle Nazioni Unite un dibattito aperto su Donne, Pace e Sicurezza.

La Santa Sede ha messo in luce, durante il dibattito, quanto sia importante ridefinire il modo migliore di affrontare i bisogno unici delle donne in conflitto, e il loro importante ruolo nella loro prevenzione e risoluzione. L’attuale approccio, si legge nell’intervento della Santa Sede, si sta mostrando insufficiente, come dimostra la crescente violenza contro donne e ragazze e la sempre minor presenza delle donne nei processi di pace.

Secondo la Santa Sede, si devono prima di tutto affrontare le principali cause che contribuiscono al peggioramento delle circostanze che le donne devono affrontare, incluso il conflitto e l’estremismo.

La Santa Sede a New York, lo status delle donne

Il tema in discussione quest’anno alla Commissione sullo Status delle Donne è “Innovazione e cambiamento tecnologico, una educazione nell’era digitale per il raggiungimento dell’eguaglianza di genere e il potere di donne e ragazze”.

La Santa Sede ha in particolare messo in luce che l’educazione è “essenziale per crear società che trattano uomini e donne in maniera egualitaria”, e notato che le tecnologie di informazione e comunicazione “possono accrescere le opportunità perché le donne imparino attraverso, per esempio, lo studio a distanza”, e dunque permettere alle donne di continuare a studiare durante le emergenze o mentre mettono insieme responsabilità di lavoro e famigliari.

È necessario, per la Santa Sede, sradicare la povertà e mettere in piedi programmi di protezione sociale per assicurare che donne e ragazze condividano i benefici dell’avanzamento tecnologico.

Secondo la Santa Sede, l’innovazione deve essere sempre diretta verso il bene della persona, mentre le tecnologie sono state anche usate in modo da danneggiare donne e ragazze, incluso il traffico sessuale, la prostituzione e la pornografia.

Santa Sede a Vienna, Donne, Pace e Sicurezza

Per l’87esima volta, il Forum per la Cooperazione di Sicurezza e il Consiglio Permanente dell’OSCE si sono incontrate a Vienna. Era l’8 marzo, e il tema non poteva che essere “Donne, Pace e Sicurezza e il Ciclo del Conflitto”.

Monsignor Urbanczyk, rappresentante permanente della Santa Sede all’OSCE, ha notato che “il primo anno di guerra in Ucraina ha di nuovo messo in luce un cupo fatto: nelle situazioni di conflitto, le donne, che sono raramente le cause o i perpetratori di violenza, sono spesso le vittime che pagano il prezzo più alto. Troppo frequentemente, sono esposte alla tratta e alla violenza, inclusi gli omicidi arbitrari, la tortura e la violenza sessuale”.

La Santa Sede ha espresso il supporto alla piena implementazione degli impegni OSCE sul ruolo delle donne nella prevenzione dei conflitti, ma che questo non deve essere confuso con una piena implementazione della risoluzione 1325 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, che tra l’altro introduce il concetto di gender, e questo perché la risoluzione è in parte al di fuori dell’ambito dell’organizzazione, e poi perché ci vuole chiarezza nel linguaggio, “senza introdurre una terminologia in una nuova modalità non consensuale”.

Vanno, insomma, implementate quelle parti di risoluzione che “sono direttamente in relazione allo scopo dell’Organizzazione”, e chiede che la discussione non vada verso la non produttiva considerazione di temi non consensuali.

                                                FOCUS PAPA FRANCESCO

Papa Francesco chiede che gli oceani non siano luoghi di tragedie

L’oceano come “fattore di unione, vettore di collegamento, causa comune”, e non come luogo dove avvengono tragedie, è stato rimarcato in un messaggio a firma del Cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato vaticano, e inviato a nome di Papa Francesco alla Conferenza “Our Ocean” che si è tenuta il 2-3 marzo a Panama City. Tema di quest’anno era: “Il nostro oceano, la nostra connessione”.

Il messaggio è arrivato dopo che a New York era stato firmato un accordo che

stabilisce limiti alla pesca, alle rotte di navigazione e alle attività di esplorazione, come l'estrazione mineraria, in acque internazionali, dove oltre il 10% di specie rare è a rischio estinzione. L'intesa, raggiunta dopo oltre dieci anni di discussioni, prevede che entro il 2030 il 30% dei mari diventi un'area protetta, con l'obiettivo di salvaguardare e recuperare la natura marina.  

Sono due i punti chiave per vivere la connessione degli oceani delineati nel messaggio. Il primo è la necessità di unirsi per “proteggere e ripristinare gli ecosistemi marini, costieri e fluviali”, l’altro è invece segnato dall’importanza di facilitare “un'amministrazione efficace e un coordinamento istituzionale commisurato alle dimensioni e alla complessità del bene da proteggere, l'oceano”.

Dato che tutti gli esseri umani dipendano degli oceani, allora, si legge ancora nel messaggio, “tutta la famiglia umana è chiamata ad adottare una visione integrale dello sviluppo e una visione integrale dell’ecologia”.

E questo serve per affrontare gli allarmanti fenomeni “dell'inquinamento degli oceani, dell'acidificazione, della pesca illegale e della pesca eccessiva”, accanto alla grande preoccupazione per “lo sviluppo dell'industria estrattiva sui fondali marini”, e per le “tragedie dei migranti in difficoltà in alto mare, il traffico di esseri umani che avviene in mare, le dure e talvolta illegali condizioni di lavoro dei marittimi e le tensioni geopolitiche in aree marine considerate importanti”.

Il messaggio sottolinea che l’acqua è fonte di connessione anche perché “l’oceano non ha confini politici e culturali”. E raccomanda: “Siamo una sola famiglia condividiamo la stessa inalienabile dignità umana, abitiamo una casa comune di cui siamo chiamati a prenderci cura”.

                                                FOCUS AMBASCIATE

Le credenziali del nuovo ambasciatore del Mozambico presso la Santa Sede

Il 6 marzo, Raúl Manuel Domingos, nuovo ambasciatore del Mozambico presso la Santa Sede, ha presentato a Papa Francesco le lettere credenziali.

Classe 1957, sposato, viene da una carriera tecnica, dalla quale poi si è unito al Partito di Resistenza Nazionale Mozambicana, il RENAMO, in cui ha avuto diversi incarichi. Tra questi, quello di inviato Speciale della RENAMO per l’incontro con il clero mozambicano in Kenya (1989); inviato speciale della RENAMO per contattare il Vaticano, il Governo italiano e la Comunità di Sant’Egidio per ospitare i negoziati di pace (1990); Capo Delegazione della RENAMO per i trattativi per l’Accordo di Pace (1990-1992); Capo della delegazione RENAMO nel Comitato di vigilanza e controllo dell’United Nations Operation in Mozambique (ONUMOZ).

Dopo essere stato coinvolto nei colloqui di pace, Domingos è stato fondatore

Presidente del Partito per la Pace Democrazia e Sviluppo –PDD (2003), e nel 2004 candidato a presidente della Repubblica. Dal 2021, è membro del Consiglio di Stato mozambicano.

                                                FOCUS SANTA SEDE

Il bilancio della carriera di Francesca Di Giovanni, primo sottosegretario donna della Segreteria di Stato vaticana

Francesca Di Giovanni è stato primo sottosegretario della Segreteria di Stato per il settore multilaterale e prima donna a raggiungere un ruolo di vertice nella Terza Loggia. Il suo posto è stato preso da monsignor Daniel Pacho, perché Di Giovanni, 70 anni il prossimo 24 marzo, lascerà i suoi incarichi diplomatici presso la Santa Sede. Era officiale della Segreteria di Stato dal 1993.

In una intervista con L’Osservatore Romano, Di Giovanni ha ripercorso la sua carriera diplomatica e le sfide odierne. Parlando dell’Ucraina, ha detto che si tratta di “una crisi di cui eravamo già da anni ben consapevoli, ma che, logicamente, si manifesta con più evidenza quando maggiormente sarebbe richiesta un’azione congiunta per assicurare al mondo pace e sicurezza”.

Inoltre, è “comune e pressante la richiesta che la comunità internazionale ripristini seriamente i canali di dialogo a livello istituzionale nei quali gli interessi generali prevalgano sugli interessi particolari, che si lavori concretamente con reciproco rispetto anche nei diversi sistemi del contesto multilaterale per ritrovare vie di dialogo che consentano di poter ripristinare una base di fiducia reciproca, a partire magari da obiettivi limitati o concreti”.

Parlando della sua esperienza nel multilaterale, Di Giovanni ha detto che “lavorando alla preparazione della Cop26 nel 2022, il 4 ottobre 2021, festività di San Francesco, la Santa Sede, insieme alle ambasciate di Gran Bretagna e d’Italia, hanno organizzato un evento in Vaticano, che ha riunito scienziati di alto livello e leader religiosi in rappresentanza delle principali religioni del mondo per chiedere alla comunità internazionale di elevare le proprie ambizioni e intensificare l’azione climatica, in vista della Cop26 sul clima, tenutasi poi a Glasgow, un mese più tardi. Circa 40 leader religiosi hanno firmato un appello congiunto, che è stato presentato da Papa Francesco al presidente designato della Cop26, Rt. Hon Alok Sharma”. Un evento preparato da sette incontri mensili online tra leader religiosi e scienziati e “tutti hanno avvertito in questi incontri uno spirito di umiltà, di rispetto reciproco e di responsabilità per convergere su un dovere morale comune verso il modo in cui siamo chiamati a curare la nostra casa comune. La diversità dei partecipanti e il loro coinvolgimento attivo hanno reso questo momento un segno altamente significativo, da cui trarre ampie speranze per il futuro”.

Di Giovanni ha anche sottolineato che “la diplomazia pontificia ha l’incessante impegno di essere imparziale, perché la Santa Sede non ha altri interessi nel suo lavoro diplomatico se non quello di accompagnare le nazioni nella costruzione della pace, nella giustizia e nella reciproca collaborazione per il bene comune, nel rispetto della dignità e dei diritti di ciascuna persona, verso una fraternità vissuta non solo tra i singoli, ma anche tra i popoli”.

Per quanto riguarda il ruolo delle donne, Di Giovanni ha notato che “sempre più donne svolgono, anche in modo più discreto e nascosto, un ruolo decisivo nella vita politica, internazionale e nei processi di pace: uno spazio che speriamo crescente occupato dalle donne, che Papa Francesco incoraggia e sostiene”.