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Diplomazia pontificia, un nuovo spirito di Helsinki per una conferenza di pace europea?

Il Cardinale Parolin invoca un nuovo spirito di Helsinki nell’impegno per la pace. La Santa Sede si scusa con la Russia per le parole del Papa

Cardinale Pietro Parolin | Il Cardinale Parolin durante la conferenza a Palazzo Borromeo del 13 dicembre 2022 | You Tube / Limes Cardinale Pietro Parolin | Il Cardinale Parolin durante la conferenza a Palazzo Borromeo del 13 dicembre 2022 | You Tube / Limes

Non è più il tempo di Helsinki, e i risultati che si sono raggiunti alla conferenza che diede vita a quello che sarebbe stato l’OSCE sono forse irripetibili. Ma è lo spirito di Helsinki che si deve cercare, quella volontà di trovare una soluzione negoziale che porti alla pace. È la via indicata dal Cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato vaticano, in un evento all’ambasciata di Italia presso la Santa Sede.

Sullo sfondo delle sue parole, facile da notare, c’è la guerra in Ucraina. E la notizia della settimana è che la Santa Sede avrebbe chiesto scusa per le parole del Papa su ceceni e buriati, che avevano fatto infuriare Mosca. La Santa Sede continua anche a proporsi come mediatore, anche se di fatto non sembrano esserci possibilità per ora.

E ancora, la preoccupazione degli ordinari di Terra Santa in vista delle festività natalizie e l’impegno della Chiesa nel dialogo di pace in Colombia.

                                           FOCUS UCRAINA

Ucraina, Parolin: “Stiamo facendo tutto il possibile per porre fine a questa tragedia?”

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Lo scorso 13 dicembre, si è tenuto all’Ambasciata di Italia presso la Santa Sede l’evento “L’Europa e la guerra. Dallo spirito di Helsinki alle prospettive di pace”. Co-organizzato dalla rivista Limes e dal Dicastero della Comunicazione della Santa Sede, l’evento avrebbe dovuto avere anche la partecipazione del presidente della Repubblica Italiana Sergio Mattarella, che però non è potuto essere presente per aver contratto il COVID.

Nella sua relazione, il Cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato vaticano, ha ricordato che, a due mesi dall’appello di Papa Francesco all’Angelus del 2 ottobre, siamo ancora di fronte “agli errori e agli orrori della guerra in Ucraina”, e lamentato che ormai non si fa quasi più caso alle notizie di guerra.

Allo stesso tempo, il Segretario di Stato vaticano ha notato che “nelle ultime settimane abbiamo registrato qualche spiraglio per una possibile riapertura del negoziato, ma anche chiusure e l’acuirsi dei bombardamenti”, e affermato che “terrorizza il fatto che si sia tornati a parlare dell’uso di ordigni nucleari e di guerra atomica come eventualità possibili. Preoccupa che in diversi Paesi del mondo si sia accelerata la corsa al riarmo, con ingenti investimenti di denaro che potrebbe essere impiegato per combattere la fame, creare lavoro, assicurare cure mediche adeguate a milioni di persone che non ne hanno mai avute”.

Il cardinale si è chiesto se “siamo veramente facendo di tutto, tutto il possibile, per porre fine a questa tragedia”, e ricordato che il Papa non si era rivolto solo al presidente della Federazione Russa e a quello dell’Ucraina, ma anche a “tutti i protagonisti della vita internazionale e ai responsabili politici delle Nazioni perché facciano tutto il possibile per porre fine alla guerra in corso, senza lasciarsi coinvolgere in pericolose escalation, e per promuovere e sostenere iniziative di dialogo”.

L’incontro parla di uno spirito di Helsinki, ovvero dello spirito della Conferenza che portò poi alla formazione dell’OSCE. Una conferenza cui la Santa Sede partecipò, portando sul tavolo il tema della liberà religiosa che poi fu inserito nel Trattato di Helsinki. La questione rappresentò un pungolo per i Paesi comunisti.

Senza illusioni, il Cardinale Parolin ha sottolineato che “oggi non ci sono le condizioni perché si ripeta quanto accaduto ad Helsinki”, ma ci sono le condizioni “per far rivivere lo spirito di Helsinki, adoperandoci con creatività”.

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Servono – ha detto il Cardinale Parolin – “strumenti nuovi”, mettendo da parte “vecchi schemi, vecchie alleanze militari e colonizzazioni ideologiche ed economiche”.

Piuttosto, si deve costruire “un nuovo concetto di pace e di solidarietà internazionale, ricordandoci che tanti Paesi e tanti popoli chiedono di essere ascoltati e rappresentati”, si devono definire “nuove regole per i rapporti internazionali”, ormai troppo “liquidi”; e soprattutto si deve avere il coraggio di “scommettere sulla pace”.

Il Cardinale ha ricordato anche che la Conferenza di Helsinki “vide la proposizione di molte idee provenienti da movimenti pacifisti”, e che sebbene questo porti con sé un “rischio ideologico”, a maggior ragione si deve portare avanti un “maggiore coinvolgimento, organizzato e preordinato, della società civile europea, dei movimenti per la pace, delle think-tank e delle organizzazioni che a tutti i livelli operano per educare alla pace e al dialogo”.

In questo modo, si potrebbero “rinfrescare e ringiovanire quei concetti di pace e solidarietà che vengono richiamati”, ma dei quali “pochi sembrano prendersi effettivamente cura”.

Abbiamo bisogno di coraggio, di scommettere sulla pace e non sull’ineluttabilità della guerra… Perché non lavorare insieme per realizzare una nuova grande conferenza europea dedicata alla pace?”, ha detto il Cardinale.

Il Cardinale Parolin ha anche richiamato la Pacem in Terris di Giovanni XXIII, con la sua richiesta di messa al bando delle armi nucleari e del disarmo. Quest’ultimo, afferma il Cardinale, è “l’unica risposta adeguata e risolutiva se vogliamo costruire un futuro di pace”, e per questo si deve “muovere qualche passo concreto in questa direzione”.

Nella Fratelli Tutti, poi, Papa Francesco ha messo in luce che “tutte le guerre negli ultimi decenni hanno preteso di avere una giustificazione”, e che “nessuno nega il diritto a difendersi se si viene attaccati”, ma che “non possiamo però nasconderci che lo sviluppo delle armi nucleari, chimiche e biologiche, unite alle possibilità offerte dalle nuove tecnologie, impensabili fino a pochi decenni fa, hanno dato alla guerra un potere distruttivo incontrollabile, che colpisce purtroppo molti civili innocenti”. 

Il Segretario di Stato Vaticano ha chiesto ancora una volta di recuperare lo “spirito di Helsinki”, e in particolare quei principi che si trovavano nella dichiarazione finale, in un decalogo che prevedeva “eguaglianza sovrana, rispetto dei diritti inerenti alla sovranità; non ricorso alla minaccia o all’uso della forza; inviolabilità delle frontiere; integrità territoriale degli Stati; risoluzione pacifica delle controversie; non intervento negli affari interni; rispetto dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, inclusa la libertà di pensiero, coscienza, religione o credo; eguaglianza dei diritti ed autodeterminazione dei popoli; cooperazione fra gli Stati; adempimento in buona fede degli obblighi di diritto internazionale”.

Se questi principi sono stati più volte violati, si è comunque ancora in tempo per applicargli, ha detto il Cardinale Parolin, sottolineando che “la Santa Sede è pronta a fare tutto il possibile per favorire questo percorso”.

La Russia risponde no a mediazione della Santa Sede . Che si scusa

Il Cremlino ha rifiutato la proposta del Cardinale Parolin che un dialogo tra Mosca e Kyiv possa avere luogo nel territorio neutrale della Città del Vaticano.

Il Segretario di Stato vaticano aveva ribadito la sua disponibilità il 12 dicembre, a margine di un evento sul Servo di Dio Giorgio La Pira, affermando che “il Vaticano è un terreno ben equipaggiato”, e che “abbiamo provato di offrire possibilità di incontro con tutti, e di mantenere un equilibrio. Offriamo uno spazio in cui le parti possono incontrarsi e cominciare un dialogo. Le parti possono determinare il metodo di lavoro e il contenuto”.

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Qualche ora dopo, Maria Zakharova, portavoce del ministero degli Esteri, aveva comunicato di temere “che i fratelli ceceni e i buriati, e anche me stessa, non lo apprezzeremmo”. E – ha aggiunto – “per quanto ricordi, non ci sono state parole di scuse da parte del Vaticano”.

Il riferimento indiretto di Zakharaova è all’intervista del Papa alla rivista dei gesuiti statunitense America, in cui il Papa attribuiva le maggiori crudeltà a ceceni e buriati nel tentativo di togliere responsabilità dalla parte russa. Una affermazione che aveva scatenato le reazioni di protesta del ministro degli Esteri russo Lavrov, ma anche del presidente della Cecenia Kadyrov e della comunità buddista dei buriati.

Zakharova, però, ha fatto rientrare il caso già nei giorni successivi, sottolineando che

"la Segreteria di Stato si scusa con la parte russa. La Santa Sede nutre un profondo rispetto per tutti i popoli della Russia, per la loro dignità, fede e cultura".

Il 15 dicembre Matteo Bruni, direttore della Sala Stampa della Santa Sede, ha confermato che ci sono stati contatti diplomatici vaticani nei confronti della Russia per cercare di ricucire lo strappo.

Già a metà novembre, Papa Francesco aveva fatto sapere che il Vaticano era pronto a fare tutto il possibile per mediare e porre fine alla guerra, e il Cremlino aveva risposto poco dopo che apprezzava lo sforzo vaticano, ma che la posizione dell’Ucraina lo rendeva possibile.

Lo stesso cardinale Parolin ha detto che “oggi non ci sono molte condizioni per il dialogo, aggiungendo però che “una pace che arriverà da una vittoria avrà un prezzo enorme”, e che la Santa Sede vorrebbe che fosse “una pace in cui fioriscano diritti e giustizia”.

                                                FOCUS AMERICA LATINA

Colombia, la Chiesa accompagna i negoziati di pace in forma permanente

In una lettera pubblicata domenica 11 dicembre, la Conferenza Episcopale Colombiana ha reso noto di aver accettato di diventare un “accompagnatore permanente” dei colloqui di pace, la cui prima fase si è conclusa a inizio dicembre.

In questo modo, la Chiesa Cattolica diventa un interlocutore chiave negli sforzi di pacificazione del Paese.

La lettera era firmata dall’arcivescovo Luis José Rueda, di Bogotà, presidente della Conferenza Episcopale Colombiana. Al momento, il negoziato sta avendo luogo con l’Ejercito de Liberacion Nacional (ELN), l’ultima sigla che sta svolgendo guerriglia nel Paese dopo la pace con le FARC.

La Chiesa sarà rappresentata da monsignor Héctor Fabio Henao, che di recente è stato nominato delegato dell’organismo per la relazioni con gli Stati.

Era stato il presidente Gustavo Petro, il 7 agosto, a una settimana dalla sua presa di possesso, a invitare la Chiesa a lavorare per la pace, e la Chiesa accettò rapidamente questo invito.

La Santa Sede ha lavorato, sin dagli anni Novanta, a facilitare i negoziati sia del processo di pace che della liberazione dei prigionieri.

Petro, che è il primo presidente di sinistra di Colombia, si affida all’istituzione ecclesiastica perché questa ha un peso importante in Colombia ed è presente in tutto il Paese, anche nelle zone più remote”.

Nicaragua, il vescovo Alvarez ancora sotto arresto

Dopo quattro mesi di carcere, il vescovo di Matagalpa Rolando Alvarez, che fu prelevato insieme ad altri nove religiosi, sarà portato a processo con le gravissime accuse di "cospirazione contro la nazione e anche per diffusione di notizie false che danneggiano la sicurezza del Paese".

Lo scorso 19 agosto, Alvarez è stato trasferito da Matagalpa a Managua, in una casa dove resterà durante il processo. Le condizioni di salute del vescovo, un diabetico on problemi cardiaci, sono preoccupanti.

Il Cardinale Leopoldo Brenes, arcivescovo di Managua, è rientrato nel Paese dopo un tour in Vaticano, e ha ribadito che “la Chiesa non è di nessun partito o di una determinata ideologia, noi continuiamo a fare il nostro lavoro che è un lavoro pastorale, accompagnando la nostra gente, o la mentalità di professare la speranza”.

                                                FOCUS EUROPA

La Bulgaria sanzionata dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo

Lo scorso 13 dicembre, la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha condannato il governo bulgaro per aver violato il diritto alla libertà religiosa dei cristiani evangelici nella nazione.

La sentenza si riferiva ad una campagna portata avanti nel 2008 da officiali governativi perché mettessero in guardia bambini e famiglie delle chiese Protestanti. La campagna è stata considerata una violazione dei diritti umani.

Considerato il linguaggio “peggiorativo e ostile” usato dalle autorità, la Corte ha stabilito che il governo ha “infranto in maniera sproporzianata” la libertà religiosa dei suoi pastori e delle sue scelte.

                                                FOCUS MEDIO ORIENTE

Preoccupazione Terrasanta

Il 12 dicembre 2022, sulla soglia delle festività natalizie, l’Assemblea degli Ordinari cattolici di Terra Santa (i vescovi e i responsabili delle maggiori comunità religiose, come la Custodia francescana) ha reso pubblica una presa di posizione che si rifà alle categorie di giustizia e pace ed esprime preoccupazione per l’attuale contesto sociale e politico.

I presuli sottolineano la loro “preoccupazione per il contesto politico e per il graduale deteriorarsi della più generale situazione politica e sociale in Terra Santa”.

I vescovi hanno puntato il dito su “alcune di dichiarazioni fatte da membri della coalizione governativa israeliana,” definite “divisive” e che favoriscono “coloro che in questo Paese vogliono la divisione”.

Per questo i presuli si augurano “che, sotto questo governo, l’attenzione delle autorità civili del Paese venga restituita con equità alle diverse comunità che compongono la società israeliana, evitando discriminazioni o preferenze”. In particolare, mostrano preoccupazione “per la violenza e la mancanza di sicurezza all’interno della comunità araba in Israele, ferita da continui incidenti e da una criminalità diffusa. Questi rendono la vita delle famiglie sempre più fragile. È necessario prestare maggiore attenzione alle comunità arabe in Israele e curare meglio lo sviluppo delle città arabe”.

La lettera affronta anche il tema dell’istruzione, considerata prioritaria, a fronte di una crisi delle scuole cristiane, colpite anche da tagli ai finanziamenti governativi.

I presuli hanno anche voluto sottolineare che “i lavoratori stranieri, i richiedenti asilo e i loro figli fanno parte della vita della Chiesa. Ancora una volta siamo chiamati a dare voce a molti che vivono in una sorta di limbo giuridico, senza adeguate garanzie e senza chiare prospettive per il loro futuro”.

Preoccupazione viene espressa per quello che succede “in Palestina e nei territori occupati”, considerando che “la violenza dei coloni negli insediamenti è sempre più in aumento. Lo spazio vitale a disposizione della popolazione palestinese continua a ridursi, a causa della crescita a ritmo sostenuto degli insediamenti. Assistiamo anche ad attacchi alla popolazione ebraica. La violenza non è mai giustificata e deve essere sempre condannata, indipendentemente dalla sua provenienza. Nessuno dovrebbe morire perché è ebreo o perché è arabo”.

I vescovi chiedono anche di rispettare i minori, di rilanciare il processo di pace, di alzare la voce per poveri e deboli.

La lettera include anche aspetti positivi come il ritorno dei pellegrini, ma anche aspetti che riguardano la vita ecclesiale del Paese.