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Diplomazia pontificia, una “casa del Papa” in Armenia. E un filo rosso con la Russia

Nella settimana, aperta la nunziatura di Yerevan, capitale dell’Armenia. Filo rosso con la Russia, con l’arcivescovo Gallagher atteso a Mosca tra l’8 e il 10 novembre. Verso un viaggio del Papa in Kazakhstan?

Nunziatura di Yerevan | L'ingresso della nunziatura a Yerevan pronto per la cerimonia di inaugurazione | Nunziatura di Georgia e Armenia Nunziatura di Yerevan | L'ingresso della nunziatura a Yerevan pronto per la cerimonia di inaugurazione | Nunziatura di Georgia e Armenia

L’inaugurazione della nunziatura in Armenia segna un nuovo capitolo nelle relazioni tra la Santa Sede e il più antico Paese cristiano, e mostra una attenzione della Santa Sede verso le aree più periferiche o problematiche. C’è, tra l’altro, anche un dialogo aperto con la Russia, dove l’arcivescovo Gallagher sarà dall’8 al 10 novembre.

Si definisce anche l’agenda diplomatica del Papa per novembre, e si aspetta una visita in Vaticano del presidente palestinese Mahmoud Abbas il 4 novembre.

                                                FOCUS ARMENIA

Una “casa del Papa” in Armenia

È andato l’arcivescovo Edgar Pena Parra, sostituto della Segreteria di Stato, ad inaugurare la sede della nunziatura apostolica a Yerevan, la capitale dell’Armenia. E la sua presenza stava a segnalare l’importanza attribuita a questa nuova sede diplomatica. Perché fino ad ora, la nunziatura di Armenia aveva sede a Tbilisi, in Georgia, e c’era un solo “ambasciatore del Papa” per le due nazioni del Caucaso. E resterà un solo nunzio, l’attivo arcivescovo José Bettencourt, che però potrà contare su una sede con un incaricato d’affari residenziale in quello che è il più antico Paese cristiano, e che vanta grandi legami di amicizia con la Santa Sede.

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Il progetto per una “casa del Papa” nella capitale armena è nato diverso tempo fa, ed è diventato sempre più necessario se si considerano i conflitti nella regione. L’arcivescovo Bettencourt ha trovato una sede centrale e molto visibile, a North Avenue, e ha aperto l’edificio già dall’1 settembre, decorandolo con cura e con segni che raccontano il legame tra Santa Sede ed Armenia. Il sostituto della Segreteria di Stato ha poi ufficialmente benedetto l’ufficio il 27 ottobre, per poi visitare il 28 ottobre la Santa Sede di Echmiadzin, il “Vaticano” della Chiesa Apostolica Armena, in cui ha avuto un incontro con il Catholicos Karekin II, alla presenza anche dell’ambasciatore di Armenia presso la Santa Sede Garen Nazarian.

Nel suo discorso alla benedizione dell’edificio, l’arcivescovo Pena Parra ha sottolineato che “questa nuova Nunziatura apostolica è un chiaro segno della sollecitudine e della preoccupazione del Santo Padre per il popolo di questo nobile Paese”.

La nunziatura di Yerevan è un segno di reciprocità con l’Armenia, che da pochi anni ha un ambasciatore residenziale. Nel 2022 e nel 2023 si celebreranno rispettivamente i trenta anni dallo stabilimento delle relazioni diplomatiche e dalla nomina del primo nunzio. L’arcivescovo Pena Parra non ha mancato di notarlo, sottolineando che “le buone relazioni bilaterali tra la Repubblica d'Armenia e la Santa Sede sono dovute in gran parte al nostro reciproco apprezzamento per il ruolo positivo che la religione svolge nella società civile”.

Secondo il sostituto, “con una cultura così ricca e intrisa di tradizioni, per non parlare delle esperienze di dolore e sofferenza portate dalla discriminazione e dalla persecuzione, l’Armenia ha molte lezioni preziose da insegnare alla comunità internazionale a questo proposito”, e anche per questo “la Santa Sede guarda con grande attesa alla continua cooperazione bilaterale con l’Armenia su molte questioni, specialmente quelle riguardanti la libera espressione della religione e la dignità di ogni vita umana, in modo da imparare dalla storia ed evitare di ripetere alcuni dei suoi capitoli più bui”.

L’arcivescovo Pena Parra ha avuto anche un incontro con il Primo Ministro armeno Pashinyan, e ha insignito il 29 ottobre il presidente Armen Sarkissian del Gran Collare dell’Ordine Pontificio Pio IX.

Secondo un comunicato della presidenza armena, Sarkissian ha “sottolineato ancora una volta con soddisfazione il continuo sviluppo delle relazioni interstatali dell'Armenia”, e ha accettato l’onorificenza “come una valutazione del mio modesto lavoro, poiché riconosce il fatto che sono stato il primo ambasciatore dell'Armenia presso la Santa Sede. Ho sempre lavorato per il bene delle strette relazioni tra l'Armenia e il Vaticano. Quindi accetto questo, promettendo di fare di più”. Il presidente Sarkissian è il primo nella regione a ricevere questa onorificenza.

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                                    FOCUS AGENDA DIPLOMATICA

L’agenda di Papa Francesco per novembre

Il prossimo 6 novembre, Mäulen Äşimbaev, presidente del Senato del Kazakhstan, sarà in Vaticano, dove porterà anche un invito per Papa Francesco per visitare il Paese.

Di un possibile viaggio in Kazakhstan di Papa Francesco ha parlato invece Alibek Bakayev, ambasciatore dello Stato dell’Asia Centrale presso la Santa Sede, che ha presentato le sue lettere credenziali a Papa Francesco il 4 dicembre 2020.

Il 15 ottobre 2020 Il Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso e il Centro kazako per lo Sviluppo del Dialogo Interconfessionale e Inter-civile ‘Nursultan Nazarbayev’ (NJSC) hanno firmato un Memorandum d’intesa che “aprirà nuove opportunità e modi più promettenti per attuare progetti comuni, per promuovere il rispetto e la conoscenza tra i rappresentanti delle diverse religioni”.

Tra i vari impegni del Kazakhstan sul fronte del dialogo, c’è l’appuntamento annuale del Congresso dei Leader del Mondo e delle Religioni Tradizionali. Il settimo congresso si sarebbe dovuto tenere nel 2021, ma è stato posticipato a causa della pandemia.

Il Congresso potrebbe anche essere l’occasione per un secondo incontro tra Papa Francesco e il Patriarca di Mosca Kirill, che è stato anche lui invitato al Congresso e sembra lo abbia messo in agenda. In fondo, anche il metropolita Hilarion, capo del Dipartimento di relazioni Estere del Patriarcato di Mosca, ha detto che è ormai ora per un secondo incontro tra Papa Francesco e il Patriarca.

In effetti, i contatti con la Russia sono moltissimi. Il ministro degli Esteri russo Lavrov è giunto a Roma per il G20 e sarebbe previsto (ma ancora non ufficializzato) anche un suo passaggio in Vaticano per l’inizio della settimana. Ad ogni modo, è ufficiale che l’arcivescovo Paul Richard Gallagher, segretario vaticano per i Rapporti con gli Stati, sarà in Russia dall’8 al 10 novembre, ed avrà un bilaterale con Lavrov il 9 dicembre, come annunciato negli scorsi giorni dalla portavoce del ministero degli Esteri Maria Zakharova.

Alcuni rumors non confermati parlano anche di una possibile visita del presidente russo Vladimir Putin in Vaticano tra dicembre e gennaio.

Di certo, quella tra Russia e Santa Sede è una linea calda. Come lo è quella con la Serbia, altra nazione ortodossa. Dopo la visita del ministro degli Esteri serbo la scorsa settimana, l’arcivescovo Gallagher è atteso nel Paese dal 21 al 23 novembre, per una visita ufficiale che potrebbe anche essere il preludio o la preparazione ad una visita di Papa Francesco.

Tornando all’agenda del Papa, il 4 novembre, il presidente palestinese Mahmoud Abbas farà visita a Papa Francesco in Vaticano. Mahmoud Abbas, meglio conosciuto con il nome di battaglia Abu Mazen, è stato in Vaticano nel 2014 insieme all’allora presidente israeliano Shimon Peres per la preghiera per la pace nei Giardini Vaticani, poi ha di nuovo incontrato il Papa nel 2015, nel 2017 e nel 2018. Questo sarà dunque il quarto incontro tra il Papa e Mahmoud Abbas.

L’11 ottobre di quest’anno, i due hanno anche avuto una conversazione telefonica in cui si è parlato del conflitto israelo-palestinese, che sarà sicuramente il tema principale in agenda.

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Il 15 novembre è invece prevista la visita in Vaticano di Zoran Milanovic, presidente di Croazia, per il suo primo incontro con il Papa dalla sua elezione a presidente nel 2020. Molti i possibili temi di discussione, inclusa la situazione dei croati nei Balcani e nella Bosnia Erzegovina.

                                                FOCUS EUROPA

La COMECE scrive ai leader del COP26

Il Cardinale Jean-Claude Hollerich, presidente della COMECE, ha scritto una lettera aperta ai leader dell’Unione Europea che parteciperanno al COP26, che si terrà a Glasgow dalla prossima domenica. Capo delegazione della Santa Sede – come ai precedenti COP, a partire dal COP 21 di Parigi – sarà il Cardinale Pietro Parolin, che porterà anche un messaggio di Papa Francesco.

Nella lettera, il Cardinale Hollerich ha ricordato che la pandemia di Covid ha portato alla luce, nel modo più crudo, il fatto che tutto è interconnesso e interdipendente e che la nostra salute è indissolubilmente legata alla salute dell'ambiente in cui viviamo.”

Riprendendo brani della Laudato Si, il presidente della COMECE sottolinea che “la Terra grida e queste grida hanno preso la forma di un'impennata delle temperature con record battuti in molte regioni; di inondazioni mortali e incendi che devastano le comunità in tutta Europa e nel mondo; di perdite materiali aggravate da traumi sociali e psicologici".

Secondo il Cardinale Hollerich, ci stiamo avvicinando alla soglia globale del riscaldamento di 1,5 ° C e dunque “siamo al limite”, e i leader UE sono chiamati anche portare nuove soluzioni, fissando traguardi più ambiziosi, perché “è nostra responsabilità collettiva cambiare radicalmente i nostri stili di vita, porre fine al consumismo insensato e allo sfruttamento predatorio delle risorse e vivere in armonia entro i confini del pianeta”.

Secondo il Cardinale, è necessaria “la fine immediata di nuovi investimenti in infrastrutture per i combustibili fossili” e l’eliminazione dei sussidi “che prolungano la dipendenza delle comunità dai combustibili fossili e dall'agricoltura industriale distruttiva per l'ambiente”, mentre si deve anche dare una speciale attenzione “alle industrie aeree e marittime, estremamente inquinanti, il cui contributo alla lotta contro il cambiamento climatico è del tutto inadeguato”.

Il Cardinale rimprovera anche l’Europa, citando esempi di attività UE “che danneggiano le società e l'ambiente nel Sud globale” come gli sforzi “per sfruttare nuove riserve di combustibile fossile a Vaca Muerta in Argentina, e per costruire nuove infrastrutture di combustibile fossile in Africa orientale”, decisioni che contraddicono gli impegni presi nei riguardi della crisi ecologica.

Insomma – sostiene il Cardinale Hollerich - “l’Europa può e deve svolgere un ruolo di primo piano a livello internazionale in questi prossimi forum” perché si raggiungano risposte coraggiose all'emergenza climatica”.

Come ambasciatore della European Laudato Si' Alliance, ELSiA, (l'Alleanza europea per la Laudato si' costituita da sei istituzioni e organizzazioni cattoliche che si ispirano all’enciclica di Francesco) il cardinale chiede ai leader europei di “mantenere le promesse garantendo la realizzazione degli impegni finanziari esistenti e stabilendo nuovi obiettivi per sostenere l'adattamento, la mitigazione, le perdite e i danni nei Paesi in via di sviluppo”, ma anche di orientarsi verso l’energia rinnovabile.

L’arcivescovo Gallagher alla Farnesina: “La Santa Sede per la dignità umana”

Il 28 ottobre, si è tenuta al Ministero degli Esteri Italiano la prima conferenza sui Missionari Italiani nel Mondo, che ha visto la partecipazione dell’arcivescovo Paul Richard Gallagher, ministro vaticano per i Rapporti con gli Stati. Italia e Santa Sede, da tempo, hanno anche incontri bilaterali regolari a livello del ministero degli Esteri, e in un caso ci fu anche una conferenza stampa congiunta con l’arcivescovo Gallagher e l’allora ministro degli Esteri Paolo Gentiloni.

La conferenza del 28 ottobre è stata anche l’occasione, per la Santa Sede, di ringraziare l’Italia per la liberazione di Suor Gloria Cecilia Narvaez Argoti, rapita nel 2017 a Karangasso, nel Sud del Mali.

Nel suo intervento alla conferenza, l’arcivescovo Gallagher ha descritto i missionari come “i periti della missione”, e ha sottolineato che “il servizio diplomatico della Santa Sede ha molto in comune con la vita missionaria”, perché anche nel servizio diplomatico “si lascia la propria terra, ci si mette a servizio di nuove realtà, si fa di tutto per entrare nei modi e nelle culture delle Nazioni cui si è inviati”.

L’arcivescovo Gallagher è partito dal tema del messaggio di Papa Francesco per la Giornata Missionaria Mondiale (“Non possiamo tacere quello che abbiamo visto e ascoltato”) e ha sottolineato che questa frase “potrebbe essere un grido che anela alla giustizia in ogni parte del mondo”, ma ricorda piuttosto “ciò che ha mosso gli apostoli i primi cristiani tra le genti”.

Il “ministro degli Esteri” vaticano ha ricordato che la loro testimonianza, “ricorda che il mondo può crescere e continuare il proprio cammino solo se viviamo con un cuore largo, vasto, che non si preoccupa solo dell’ipseità ma si apre all’altro”.

Chi è il missionario? È “colui che non ha timore dei cambiamenti, perché sa che la missione non è fatta per gente che si aggrappa alle proprie sicurezze e consuetudini, anzi, la missione necessità del coraggio capace di abbattere tutti gli ostacoli che impediscono di incontrare l’umanità”.

E ancora: “Il missionario non è una persona perfetta, ma una persona entusiasta, perché vive nella certezza dell’amore di Dio, e della fiducia in Dio e negli altri”.

L’arcivescovo Gallagher ricorda che una risoluzione ONU del 9 settembre 2009 aveva riconosciuto “che lo stesso ruolo specifico della Santa Sede risiede nel richiamare la Comunità Internazionale sui principi fondamentali inderogabili che governano le decisioni e l’agire dell’intero ordinamento, e affermava, allo stesso tempo, il motivo che sostiene ogni azione e dichiarazione della Santa Sede, identificandolo come: «Jesus’ emphasis».”

Per questo, l’azione della Santa Sede – ha detto il segretario vaticano per i Rapporti con gli Stati – è “spesso un segno di contraddizione”, in quanto la Santa Sede “non cessa di levare la sua voce in difesa della dignità di ogni persona e della sacralità di ogni vita umana, soprattutto quella più debole, per rivendicare il fondamentale diritto alla libertà religiosa e per promuovere rapporti fra uomini e popoli fondati sulla giustizia e sulla solidarietà”.

Gallagher ricorda che già all’inizio del Novecento, con Charles de Foucauld, la missione si configurava sempre più come “presenza” e “testimonianza” di vita tra le persone, e così “se tradizionalmente la missione cattolica era intesa come un’attività della Chiesa affidata dalla Santa Sede a personale specializzato nei confronti di paesi in cui il Vangelo non era stato ancora promulgato e la Chiesa non ancora impiantata, ora viene pensata più radicalmente come l’ingresso di Dio nel mondo per farsi prossimo ad ogni uomo, un’azione cui la Chiesa è a servizio attraverso le pratiche dell’inculturazione, dell’impegno per la giustizia e del dialogo interreligioso”.

È così che la missione è diventata “il senso di tuta l’azione integrale”, ed è per questo che il tema della Giornata Missionaria Mondiale di quest’anno va inteso come “un invito a ciascuno a ‘farsi carico’, e nel ricordare che ci sono periferie che si trovano vicino a noi, nel centro di una città, o nella propria famiglia”.

L’arcivescovo Gallagher ha infine ricordato che il Papa ha voluto che nel percorso di formazione dei futuri diplomatici ci fosse un anno di esperienza missionaria, e questa è una prova di più dell’affinità tra il servizio diplomatico e i missionari.

Strasburgo, una conferenza della FAFCE per ricordare la complementarietà tra uomo e donna

Nell’ambito delle iniziative per il quinto anniversario dell’enciclica Laudato Si, la Federazione delle Associazioni Famigliari Cattoliche in Europa (FAFCE) ha organizzato con l’Unione Mondiale delle Organizzazioni di Donne Cattoliche una conferenza a Strasburgo lo scorso 25 ottobre, focalizzando l’attenzione sulla reciprocità tra uomo e donna nel costruire il futuro della nostra casa comune.

Durante la conferenza, è intervenuto monsignor Marco Ganci, Osservatore permanente della Santa Sede a Strasburgo, che ha anche conferito l’Ordine di San Gregorio il Grande ad Antoine Renard, presidente onorario della FAFCE che ha diretto per dieci anni. L’onorificenza doveva essere consegnata da tempo, ma la cerimonia era stata rinviata a causa della pandemia.

Nel suo intervento alla conferenza, monsignor Ganci ha invece sottolineato che “la famiglia è al cuore del piano di Dio per l’uomo e la donna”, e che quando si parla di famiglia “si fa riferimento solamente all’unione stabile, duratura, fedele, irreversibile tra un uomo e una donna, aperta alla generazione. Senza questa convinzione, la famiglia diventa una istituzione umana, giuridica, contrattuale, limitata nel tempo, dipendente dal libero arbitrio dell’uomo e della donna”.

Monsignor Ganci ha ricordato che la famiglia “non è solo gravemente in crisi”, ma che deve anche affrontare “un uragano distruttore”, perché l’uomo di oggi vive senza “alcune relazione con Dio, e agendo così gli esseri umani si credono liberi, evoluti e moderni”.

Monsignor Ganci ha aggiunto che la famiglia è “il primo luogo per vivere ed apprendere a vivere le relazioni secondo giustizia”. L’Osservatore della Santa Sede al Consiglio d’Europa ha poi ricordato che l’enciclica Laudato Si sottolinea che “tuto è legato”, e che per questo “l’ecologia della famiglia è un problema globale, universale e non riguardane solo la famiglia stessa”.

È una “economia dell’indissolubilità, di sviluppo integrale, che permette a tutte le altre economie di vivere, compresa l’economia materiale”. Se questa economia dell’indissolubilità viene distrutta, “la famiglia non esiste più, e di conseguenza le altre economia non potrebbero più sussistere”.

Monsignor Ganci ha affermato che è importante anche riferirsi al dono della vita, perché “sappiamo che oggi la famiglia e il dono della vita sono cose ben separate e distinte” secondo un processo che va avanti dagli anni Settanta, quando si è cominciato a pretendere non solo di volere “l’amore senza il bambino, ma anche il bambino senza l’amore”.

Ma la famiglia – ha notato monsignor Ganci – non è “un insieme giustapposto di cellule, tutte viventi in maniera autonoma”, ma si tratta piutoso di una comunità, e la Chiesa ha il compito di “aiutare già la famiglia nella sua costituzione”, sostenendo anche politiche famigliari che sappiano guardare avanti.

Turchia, l’ambasciatore Göktaş: “Con la Santa Sede, convergenza su molti temi”

In un discorso tenuto al ricevimento per la Festa della Repubblica Turca lo scorso 27 ottobre, Lütfullah Göktaş, ambasciatore di Turchia presso la Santa Sede, ha sottolineato come Santa Sede e Turchia abbiano convergenza su molti temi.

La Repubblica Turca fu proclamata il 29 ottobre 1923. L’ambasciatore ha rimarcato che il popolo turco è parte di “una tradizione che considera le differenze culturali, etniche e religiose come una fonte di ricchezza”, e che “questa tradizione si è conservata anche in epoca repubblicana: in linea con il principio di laicità, le libertà religiose sono sempre state costituzionalmente garantite”.

Apprezzando l’attenzione data dalla Santa Sede ai temi della conoscenza del rafforzamento reciproco, l’ambasciatore Göktaş ha messo in luce le convergenze con la Santa Sede. “Condividiamo – ha detto l’ambasciatore - le stesse sensibilità su temi come la pace nel mondo, la protezione dell'ambiente, il cambiamento climatico, l'immigrazione e la libertà religiosa. Ci opponiamo a tutte le forme di discriminazione così come controbattiamo a tutte le forme di violenza. Ribadiamo che sia inaccettabile opprimere le persone per la loro fede o ritenerle nemici per le loro identità religiose”.

Ancora, l’ambasciatore ha affermato che “poiché siamo contro l'antisemitismo e la cristianofobia, consideriamo fenomeni preoccupanti anche l'islamofobia e l’ostilità verso l’Islam”. Inoltre, “vogliamo che un clima di pace prevalga in tutto il mondo, specialmente in Medio Oriente. Crediamo che gli approcci conflittuali dovrebbero essere evitati non solo tra paesi e popoli, ma anche tra culture e religioni”.

Infine – ha concluso l’ambasciatore – “sia la Turchia che la Santa Sede sostengono che tutti i paesi adottino un approccio orientato alle persone per un mondo più giusto e chiedono una riforma radicale dell'Organizzazione delle Nazioni Unite”.

L’ambasciatore ha poi affermato di voler ulteriormente rafforzare le relazioni bilaterali con la Santa Sede, attive da 61 anni, e ricordato che la Turchia è stata visitata da tutti i Papi a partire da Paolo VI, e ricordato la visita in Vaticano che il

presidente Recep Tayyip Erdoğan ha tenuto tre anni fa, nonché le conversazioni telefoniche con Papa Francesco, definendole una “opportunità per rafforzare ulteriormente le relazioni bilaterali”, e “un segno concreto di fiducia e sincerità reciproca”.

Verso una ambasciata residenziale della Svizzera presso la Santa Sede

La Svizzera è tra i Paesi che non hanno un ambasciatore residente presso la Santa Sede. Ma questo potrebbe presto cambiare. Il progetto di aprire una ambasciata in Vaticano è stato avviato, ed un altro passo avanti è stato fatto lo scorso 27 ottobre, quando la Commissione per la Politica Estera del Consiglio nazionale svizzero ha approvato il progetto di stabilire l’ambasciata con 13 voti favorevoli, 3 contrari e 8 astensioni.

In generale, la maggioranza del gruppo dei deputati ha ritenuto interesse della Svizzera consolidare le relazioni diplomatiche con la Santa Sede, in particolare al fine di promuovere la Guardia Svizzera Pontificia e di intensificare la collaborazione nel campo della promozione della pace.

Il Consiglio Federale aveva deciso di stabilire l’ambasciata l’1 ottobre 2021. Fino ad ora, era accreditato presso la Santa Sede l’ambasciatore di Svizzera presso la Slovenia. Il parere del gruppo dei parlamentari è solo consultivo, e il progetto dovrà essere votato dal Consiglio Federale. Si attende anche l’opinione del Consiglio degli Stati. In Svizzera, sono soprattutto gli ambienti protestanti ad opporsi allo stabilimento di una ambasciata residenziale presso la Santa Sede.

Il Cardinale Parolin riceve la Legione d’Onore

Lo scorso 19 ottobre, il Cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato vaticano, ha ricevuto la Legione d’Onore del governo francese. L’onorIficenza è stata conferita al capo della diplomazia vaticana nell’ambito delle celebrazioni per il centenario del ristabilimento delle relazioni diplomatiche tra Francia e Santa Sede, avvenuto nel 1921.

L’onorificenza è stata consegnata a Villa Bonaparte, sede dell’ambasciata di Francia presso la Santa Sede, dalle mani del premier francese Jean Castex che in mattinata era stato ricevuto da papa Francesco.

Il Cardinale Parolin ha detto che si stava vivendo un capitolo di “una storia molto lunga”, e che dal 1921 “un clima di cordialità” caratterizza le relazioni tra Santa Sede e Repubblica Francese.

Il Segretario di Stato vaticano ha anche fatto cenno all’approccio della Chiesa di Francia ne confronti dello Stato della sua laicità, e ha rilevato le tante e fruttuose “conseguenze delle relazioni” tra Francia e Santa Sede: dal rispetto dei diritti umani alla promozione della pace e della stabilità, dalla protezione delle minoranze religiose al dialogo interreligioso, senza dimenticare il tema dell’ambiente, con la Cop21 di Parigi del 2015 alla quale l’enciclica Laudato si’ ha dato forte impulso.

Il dialogo si è soffermato sul Medio Oriente dove la collaborazione tra la diplomazia vaticana e quella francese registra una forte sintonia, con il “desiderio” da entrambe le parti di “contribuire alla pace e alla stabilità in un Medio Oriente multi-fede, rispettoso delle libertà religiose e dei diritti umani fondamentali”.

Oggi, ha detto il segretario di Stato vaticano, “ognuno di noi, operando nel proprio campo di competenza, vuole dare il proprio contributo alla ricostruzione dei Paesi della regione, duramente provati dalla guerra e dalla violenza, dove diverse comunità religiose convivono da secoli”.
Ed è in particolare la situazione del Libano a destare maggiore preoccupazione. “Fondamentalmente – ha aggiunto il porporato – la Francia e la Santa Sede condividono responsabilità globali nel mondo, anche se le esercitiamo con mezzi diversi e con obiettivi diversi”.

FOCUS AMERICA LATINA

Vaticano, l’incontro di Papa Francesco e la vicepresidente colombiana Ramirez

Lo scorso 23 ottobre, Papa Francesco ha ricevuto in udienza la vicepresidente e ministro degli Esteri di Colombia Marta Lucia Ramirez. Ramirez ha anche avuto un colloquio con la suora colombiana Gloria Cecilia Narvaez, sequestrata da un gruppo jihadista in Mali nel febbraio del 2017 e recentemente rilasciata.

Durante il colloquio, Ramirez e Francesco – ha fatto sapere la vicepresidente conversando con la satmpa – hanno conversato su come il coronavirus ha aumentato la povertà nel Paese e di quanto la Colombia ha sofferto per il narcotrtaffico.

Parlando di suor Narvaez, Ramirez ha ricordato che la suore “è una persona che in cinque anni è stata in queste circostanze così dolorose, eppure non ha parole di amarezza e di dolore, ma al contrario è molto serena, piena di fede, di rassegnazione ed è per questo una donna che ispira tutti noi nel mondo a vedere cosa si può ottenere dalle difficoltà”.

Ramirez ha detto che l’operazione per liberare la suora ha impiegato “molto tempo” e ha coinvolto i servizi di intelligence di molti Paesi, mostrando una “fondamentale collaborazione internazionale”.

FOCUS MEDIO ORIENTE

Il nunzio in Israele presenta le credenziali

Lo scorso 14 ottobre, l’arcivescovo Adolfo Tito Yllana, delegato apostolico a Gerusalemme e in Palesttina, ha consegnato la lettera di presentazione al presidente palestinese Mahmoud Abbas. Firmata dal Cardinale Parolin, la lettera indica l’arcivescovo Yllana come delegato apostolico a Gerusalemme e in Palestina.

Accompagnato da Monsignor Tomasz Grysa e da Don Natale Albino, diplomatici della nunziatura, il Nunzio Apostolico è andato al complesso residenziale del Presidente (Muqata’a), a Ramallah, per raggiungere il Palazzo Presidenziale dove è stato accolto dal Khaled al-Saadi, capo del protocollo.

Libano, il Cardinale Rai chiede “una soluzione isituzionale”

Dopo che lo scorso 14 ottobre sono stati uccisi a Beirut sette manifestanti sciiti da cecchini appostati sui tetti del quartiere cristiano di Tayyouneh-Ain al Remmaneh, il Cardinale Bechara Rai, patriarca dei maroniti, ha chiesto “una soluzione istituzionale” politico e giuridico per uscire dalla nuova crisi del Libano.

Il Cardinale ha fatto la sua proposta il 26 ottobre, parlando sia con il presidente Michel Aoun (cristiano maronita), con il premier Najib Mikati (musulmano sunnita) e con il presidente del Parlamento Nabih Berri (musulmano sciita). I tre interlocutori hanno mostrato interesse per le proposte del Cardinale. Il quale, rispondendo ai giornalisti dopo gli incontri, ha definito – senza entrare nei dettagli – la sua proposta come “di ordine costituzionale e giuridico”.

Il Patriarca ha anche sottolineato che i problemi “non si risolvono nella strada, e abbiamo visto cosa succede quando si arriva in strada. I problemi vanno affrontati e risolti politicamente”.

Secondo i media libanesi, la proposta del Patriarca sarebbe quella di una commissione di inchiesta formata da parlamentari che poi giudichi il lavoro dei politici ora indagati dal giudice Tarek Bitar per le presunte responsabilità penali avvenute nel porto di Beirut il 4 agosto 2020.

Il Patriarca avrebbe anche proposto di fermare i tentativi di perseguire per via giudiziaria il militante cristiano Sami Geagea come responsabile politico-morale della strage di militanti sciiti avvenuta il 14 ottobre. Per quella strage sono state citate in giudizio 68 persone, accusate di assassinio, tentato omicidio, distruzione dei beni pubblici e diffusione di odio confessionale, e 18 di quegli imputati sono in Stato di arresto. Il partito guidato da Geagea è stato fortemente indicato come responsabile morale dal partito sciita di Hezbollah.

Domenica 24 ottobre, durante l’omelia pronunciata nel corso della liturgia eucaristica domenicale, il Patriarca Raï aveva chiesto che le indagini sulla strage fossero svolte senza mettere in atto "intimidazioni", e senza criminalizzare “una singola parte, come se fosse responsabile esclusiva degli incidenti".

                                                FOCUS MULTILATERALE

La missione della Santa Sede alle Nazioni Unite compie 70 anni

Da settanta anni, la Santa Sede ha una missione permanente presso le Nazioni Unite di New York. E l’arcivescovo Gabriele Giordano Caccia la ha celebrata in una lunga intervista con l’agenzia SIR della Conferenza Episcopale Italiana.

Nell’intervista, l’arcivescovo Caccia qualifica la diplomazia della Santa Sede come una “diplomazia di prossimità”, e nel lockdown della prima fase della pandemia ha esercitato quella che chiama “la diplomazia virtuale dell’incontro”.

Durante il suo periodo a New York, ha detto di aver notato che “ognuno promuove la visione e le priorità del Paese che rappresenta, ma in tutti c’è la forte convinzione che si è qui per qualcosa di più grande e si lavora per il bene di tutta l’umanità”.

La Santa Sede ha spesso parlato di una riforma delle Nazioni Unite (lo fece anche Benedetto XVI nella Caritas in Veritate del 2009). Per l’arcivescovo Caccia, “la pandemia ha fatto toccare con mano e contemporaneamente in tutto il mondo che problemi globali possono avere solo soluzioni globali, e che se non si lavora insieme spesso si fatica invano”.

L’Osservatore della Santa Sede ha aggiunto che “una organizzazione intergovernativa riesce ad essere efficace nella misura in cui i membri (cioè gli Stati) sono disposi in modo condiviso a impegnarsi per dei fini comuni”, e che “se manca tale volontà multilaterale, ben poco si riesce a raggiungere a livello internazionale”.

Tema vaccini e brevetti. L’arcivescovo Caccia parla di diverse iniziative che puntavano ad avere un vaccino per tutti, e che le tematiche sono anche state toccate anche dalla Commissione Vaticana Covid 19.

L’arcivescovo Caccia ha anche sottolineato il contributo che possono dare i valori evangelici alle Nazioni Unite, e sottolineato “la grande libertà della Santa Sede”, perché questa “non è legata a nessuna coalizione o gruppo, ma si propone come la voce dei valori profondi dell’umanità e in particolare di quanti non hanno spesso voce e sono tra i più dimenticati o addirittura scartati, come ci ricorda spesso il Santo Padre”.

La Santa Sede all’ONU di New York, verso il COP26

Il 26 ottobre, si è tenuto alle Nazioni Unite un dibattito tematico di Alto Livello su “Distribuire l’Azione Climatica – Per la gente, il pianeta e la fraternità”. La Santa Sede, nel suo intervento, ha ricordato l’Appello Congiunto firmato dal Papa in Vaticano all’inizio di ottobre, in cui scienziati e leader religiosi sottolineavo la necessità di urgenza e cooperazione, di una nuova mentalità economica e di sviluppo, energia pulita, sostenibile uso della terra, sistemi di alimentazione sostenibili per l’ambiente e una speciale preoccupazione per le nazioni povere per poter raggiungere gli obiettivi globali del clima.

La Santa Sede ha anche richiamato l’attenzione al bisogno di una ecologia integrale per combattere contro una cultura dello scarto.

La Santa Sede all’ONU di New York, sugli effetti del nucleare

Il 25 ottobre, si è discusso di diversi temi al dibattito del Quarto Comitato dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite: dall’uso pacifico dello spazio, agli effetti delle radiazioni atomiche, alla situazione dei rifugiati nel vicino Oriente, nonché di tutte le operazioni di mantenimento della pace.

Riguardo l’uso pacifico dello spazio, la Santa Sede ha sottolineato come lo spazio su “un bene comune globale” e per questo la comunità internazionale è chiamata ad assicurare che i satelliti non siano danneggiati da detriti.

Per quanto riguarda la situazione nel vicino Oriente, la Santa Sede ha messo in luce che la questione dei rifugiati palestinesi non è solo un tema in agenda, ma piuttosto una questione di vita per quelli che sono nei campi rifugiati, specialmente i bambini, e per questo servono fondi affidabili e sostenibili. La Santa Sede ha anche chiesto alla comunità internazionale di mantenere il focus sul bisogno di far ripartire i negoziati verso una soluzione politica tra israeliani e palestinesi.

La Santa Sede ha invece chiesto “attenzione speciale” alla protezione dei civili nelle transizioni delle operazioni di pace e maggiore collaborazione con i gruppi di società civile, specialmente quelli di ispirazione religiosa.

                                                FOCUS AFRICA

Appello di Ouagadougou, celebrato il 41 esimo anniversario

Quarantuno anni fa, Giovanni Paolo II lanciava l’appello di Ouagadougou. Lo scorso 22 ottobre, proprio a Ougadougou, si è tenuta una cerimonia per ricordare quell’appello e celebrare oltre quattro decenni di impegno per i marginalizzati del Sahel.

Dopo quell’appello, fu stabilita la Fondazione Giovanni Paolo II per il Sahel. Giovanni Paolo II disse nell’appello: "Da qui, da Ouagadougou, dal centro di uno di questi paesi che possiamo chiamare i paesi della sete, permetti rivolgere a tutti, in Africa e oltre questo continente, un solenne appello a non chiudere gli occhi su quanto è accaduto e su quanto sta accadendo nella regione del Sahel”.

In occasione dell’anniversario, il Cardinale Philippe Ouedraogo, arcivescovo di Ouagadougou, è intervenuto alla cerimonia, e sottolineato che “commemorare un evento di così grande importanza richiede una profonda retrospettiva per comprendere meglio l’impatto dei progetti finanziati dall’istituzione comune che è alla base delle popolazioni del Sahel”.

Il cardinale Ouedraogo ha anche affrontato la questione della sicurezza nel Sahel, ha sottolineato che la Chiesa è preoccupata per le tragedie umane che si consumano nella regione, e ha sottolineato che “è urgente trovare vie e mezzi per alleviare le sofferenze delle popolazioni attraverso azioni urgenti”.