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Diplomazia pontificia, verso un inviato speciale per la libertà religiosa in Italia?

Nella settimana diplomatica, anche un intervento dell’arcivescovo Gallagher alla Fondazione Centesimus Annus Pro Pontifice. La visita del ministro degli Esteri serbo in Vaticano

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Potrebbe anche presto esserci un inviato speciale per la libertà religiosa in Italia. La richiesta, avanzata da tempo da Aiuto alla Chiesa che Soffre, è stata sostenuta da tre parlamentari italiani, ed è ora in discussione alla Farnesina.

L’arcivescovo Paul Richard Gallagher, segretario vaticano per i rapporti con gli Stati, ha parlato degli effetti della pandemia alla Conferenza Annuale della Fondazione Centesimus Annus Pro Pontifice, mentre sono da segnalare alcune attività di diplomazia umanitaria di Slovacchia e Taiwan. La prossima settimana, ci sarà il G20. Papa Francesco incontrerà il 25 ottobre il presidente tedesco Steinmeier e il 29 ottobre il presidente coreano Moon e il presidente USA Joe Biden

                                                FOCUS LIBERTÀ RELIGIOSA

Il governo italiano valuta la nomina di un inviato speciale per la libertà religiosa

Il governo italiano sta valutando la nomina di un inviato speciale per la libertà religiosa. L’annuncio è venuto da un comunicato di Aiuto alla Chiesa che Soffre – Italia, diffuso lo scorso 22 ottobre.

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Il comunicato sottolinea che sono stati gli onorevoli Paolo Formentini, Eugenio Zoffili e Vito Comencini a lanciare l’iniziativa con una interrogazione a risposta immediata in Commissione Affari Esteri della Camera il 21 ottobre.

Nell’interrogazione, i deputati hanno chiesto al ministro degli Esteri Luigi Di Maio se il governo abbia intenzione di istituire la carica di inviato speciale per la tutela della libertà religiosa, che “avrebbe lo scopo di confermare che il diritto di professare liberamente la fede religiosa, riconosciuto dall’articolo 19 della Costituzione Italiana, non è valido solo a livello nazionale, ma deve essere promosso in ogni sede internazionale quale diritto inviolabile di ciascuno”.

L’Italia si aggiungerebbe alla lista di Paesi che hanno già nominato un inviato speciale alla libertà religiosa, anche se la nuova ondata elettorale da tempo ha messo in secondo piano il tema. L’Unione Europea aveva stabilito l’incarico nel 2016, dopo il conferimento del Premio Carlo Magno a Papa Francesco, e aveva poi rinnovato l’incarico nel 2021, dopo diverso tempo di vacanza all’insediamento della nuova commissione europea. Alla fine l’inviato Styliades, che era succeduto a Jan Figel nell’incarico, ha preso un incarico per il governo greco, si dice anche frustrato dalla mancanza di fondi e di supporto della commissione. Il posto, che in passato ha avuto notevoli successi diplomatici, tra cui quello del trasferimento di Asia Bibi dal Pakistan, è attualmente vacante.

Dopo l’esperienza di Sam Brownback nel corso dell’amministrazione Trump, il presidente Biden negli USA ha nominato Rashad Hussain come ambassador-at-large per la libertà religiosa, mentre da tempo il Canada aveva abolito la posizione. Ce lo ha invece la Slovacchia, che lo ha nominato poco prima dell’arrivo di Papa Francesco in visita lo scorso settembre nella persona di Anna Zaborska, mostrando una particolare sensibilità al tema.

Secondo Aiuto Alla Chiesa che Soffre, “l’atto parlamentare è particolarmente opportuno, perché l’istituzione o la riattivazione della carica di ambasciatore per la libertà religiosa è ormai una realtà in un numero crescente di nazioni, quali Danimarca, Paesi Bassi, Stati Uniti, Norvegia, Finlandia, Polonia e Regno Unito. In Germania è stato nominato un Commissario per la libertà religiosa nel mondo”.

Aiuto alla Chiesa che Soffre aveva già avanzato la richiesta al governo, come ha ricordato il sottosegretario Manlio Di Stefano, che ha poi fatto sapere che la proposta è “attualmente al vaglio della Farnesina”.

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ACS – si legge nel comunicato – “auspica un esito positivo delle valutazioni in corso affinché l’Italia possa fornire quanto prima un segnale politico e istituzionale chiaro e inequivoco a tutela di questo diritto fondamentale attualmente violato in 62 dei 196 Paesi sovrani del mondo

                                                FOCUS SEGRETERIA DI STATO

Speranza e fraternità, le vie della Santa Sede per uscire dalla pandemia

L’arcivescovo Paul Richard Gallagher, segretario vaticano per i Rapporti con gli Stati, è intervenuto il 22 ottobre alla conferenza annuale della Fondazione Centesimus Annus pro Pontifice. Parlando delle strategie della Santa Sede, specialmente in tempo di pandemia, il “ministro degli Esteri” vaticano ha prima di tutto voluto sottolineare che i diplomatici della Santa Sede sono in maggioranza sacerdoti, e questo è significativo perché prima che diplomatici, sono educati a pensare e ad agire da preti.

“La Santa Sede – ha detto l’arcivescovo Gallagher - è prima di tutto preoccupata della fine soprannaturale dell’uomo, difendendo che ogni uomo e donna è fatta a immagine e somiglianza di Dio”.

L’arcivescovo ha notato che “riguardo la comunità delle nazioni, la Santa Sede è cittadina e straniera. Cittadina perché ha tute le caratteristiche delle nazioni. Ma, per via delle sue particolari funzioni, la santa Sede non ha interessi altri che difendere l’indipendenza del Santo Padre e dunque può cercare il bene dell’essere umano”.

Il dialogo è la prima strategia della Santa Sede, e la fraternità non può essere nascosta. In fondo, “la Chiesa è madre di ogni essere umano, mentre la Santa Sede è sorella delle nazioni”.

L’arcivescovo Gallagher ha poi dipanato le cinque crisi derivate dalla pandemia messe in luce da Papa Francesco nel suo discorso di inizio anno al Corpo diplomatico. Per quanto riguarda la crisi della salute, ha notato come questa debba essere superata con la solidarietà, difendendo il diritto alla salute per tutti. L’arcivescovo ha poi notato che “la pandemia ha portato nuovi aspetti delle crisi ambientali, diretti e indiretti”, mentre la crisi economica ha mostrato risposte diverse da nazione a nazione.

“Le crisi attuale – ha detto l’arcivescovo - deve essere una opportunità per ripensare le relazioni di individui ed economia”. Questi ha poi denunciato la crisi politica, che “si manifesta nella crescente inabilità di essere d’accordo. C’è un crescente sospetto dell’abilità delle organizzazioni internazionali di raggiungere i loro obiettivi”.

Infine, c’è la crisi delle relazioni umane, che “nasce dall’isolamento e solitudine espresso dalla pandemia. La carità è morta, il padre non ha visitato il figlio”.

Per rispondere a queste crisi, l’arcivescovo Gallagher nota che il Papa propone fraternità e speranza, ricorda che “i vescovi non hanno strategia”, ma in fondo propongono la verità del Vangelo, e che la fraternità significa non vedere nell’altro “solo un eguale e un amico” e questo è stato sviluppato dalla Santa Sede e da Papa Francesco in molteplici incontri.

Infine, la speranza, che permette di “identificare ciò che è buono”.

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Quello che la Santa Sede difende nel consesso internazionale è questa profonda dignità umana. La Santa Sede controlla che la dimensione religiosa di ogni uomo sia preservata”, ha concluso l’arcivescovo Gallagher.

La visita in Segreteria di Stato del ministro degli Esteri serbo Selakovic

Il ministro degli Esteri serbo, Nikola Selaković, ha compiuto una visita ufficiale in Vaticano, dove ha avuto colloqui separati con il Cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato vaticano, e con l’arcivescovo Paul Richard Gallagher, segretario vaticano per i rapporti con gli Stati.

Secondo un comunicato ufficiale del ministero, Santa Sede e Serbia concordano sull’idea di intensificare i rapporti. Il ministro ha detto che i colloqui in Segreteria di Stato “si sono svolti in un clima molto aperto e costruttivo e che è stato concordato che le consultazioni tra i due ministeri degli Esteri continueranno dall'inizio del prossimo anno”.

Primo passo di questa intensificata collaborazione, una visita dell’arcivescovo Gallagher in Serbia, prevista per la fine di novembre. L’arcivescovo Gallagher potrà così incontrare i vertici del nostro Paese, oltre che con i rappresentanti della Chiesa ortodossa serba, al fine di continuare il dialogo che esiste tra le due Chiese.

Il ministro Selaković ha sottolineato che il sostegno di principio che la Santa Sede ha per quanto riguarda la conservazione dell'integrità territoriale e della sovranità della Serbia è qualcosa che rende inoltre importanti le relazioni tra i due Paesi.

"Ho usato entrambi gli incontri come un'opportunità per far conoscere ai miei interlocutori gli ultimi sviluppi in Kosovo e Metohija e per riaffermare il nostro impegno al dialogo, come unico mezzo diplomaticamente possibile per risolvere il nodo Kosovo-Metohija", ha affermato il ministro Selaković.

Negli incontri sono stati discussi anche altri temi di comune interesse nella regione.

"Abbiamo parlato della necessità dell'inizio storico di una nuova fase di cooperazione tra serbi e croati, come qualcosa che la Santa Sede è molto favorevole e sostiene, soprattutto sottolineando il fatto che le questioni irrisolte del passato gravano attualmente sulla nostra cooperazione per il futuro, e questo non può certo portare alcun beneficio a nessuno", ha affermato il ministro Selaković.

Questi ha poi aggiunto che “per noi, ha sottolineato il capo della diplomazia serba, è importante prestare particolare attenzione a uno Stato che non ha riconosciuto l'indipendenza dichiarata unilateralmente del Kosovo, che sostiene il nostro Stato, anche se è sottoposto a pressioni per cambiare quella posizione, dobbiamo cooperare con esso e intensificare varie altre forme di cooperazione”.

Il ministro Selaković ha detto che durante la sua permanenza in Vaticano e nei preparativi per la visita, ha visto quanti suoi colleghi di altri Paesi a maggioranza ortodossa hanno visitato la Santa Sede e quanti di loro hanno un intenso dialogo strutturale.

"Questo tipo di dialogo strutturale, che si è svolto nel nostro Paese solo una volta nel maggio 2019 e mai più, è praticato dal Ministero degli Esteri russo due volte l'anno, e la cooperazione tra la Santa Sede e altri Paesi ortodossi, come l'amica Cipro e la Grecia, ed è qualcosa che sta venendo intensificato. Poi ti chiedi dove sia la Serbia in tutto questo. È qualcosa con cui dovremo affrontare molto di più in futuro, è per questo che sono venuto qui", ha sottolineato il ministro Selaković .

Secondo lui, questo tipo di cooperazione, dialogo e comunicazione è per noi molto importante, in alcuni casi di vitale importanza, nei luoghi in cui i serbi ortodossi condividono lo stesso spazio vitale con i cattolici.

"E' importante per il nostro Stato avere una cooperazione buona, costruttiva ed essenziale con quello che era lo Stato Pontificio, e che oggi è la Santa Sede, cioè il Vaticano", ha concluso il Ministro Selaković

                                                FOCUS MEDIO ORIENTE

Iraq, polemiche sull’assegnazione dei seggi cristiani

Il sistema elettorale iracheno destina 5 seggi parlamentari a candidai cristiani. Ma, come era prevedibile, dopo le elezioni del 10 ottobre c’è stata una serie di polemiche riguardo l’assegnazione dei seggi, riportate dall’agenzia Fides della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli.

L’ex parlamentare cristiano Joseph Sliwa, in una intervista diffusa dal network curdo Rudaw, ha affermato che i cinque parlamentari eletti non rappresentano i cristiani iracheni, perché, secondo lui, il 90 per ceno dei voti espressi a loro favore non sarebbero arrivati da elettori cristiani.

Non è una accusa nuova, perché fu avanzata già nel 2018. Secondo Sliwa, formazioni politiche di matrice sciita e curda, più grandi, hanno dirottato parte dei loro voti a candidati allineati alle loro strategie politiche. Sliwa ha anche ribadito che i politici appartenenti a comunità cristiane locali – siri, caldei e assiri – non avrebbero dovuto farsi coinvolgere nei conflitti che contrappongono partiti sciiti a partiti sciiti e sigle curde ad altre sigle politiche curde.

Evan Faeq Yakoub Jabro, ex ministra per i rifugiati e le migrazioni nel governo uscente guidato da Mustafa al Kadhimi, ha invece difeso la trasparenza del processo elettorale in un’altra intervista. Eletta con 11 mila preferenze al nuovo Parlamento nelle file del Movimento Babilonia, Jabro ha voluto sottolineare che nella distribuzione dei seggi riservata ai cristiani si è registrata una eloquente affermazione delle candidate donne (due su cinque), segno che “la nostra società ha iniziato a fare passi avanti verso una certa apertura intellettuale”. Secondo Jabro, le accuse di manipolazione elettorale espresse da Sliwa e da esponenti politici cristiani come reazione comprensibile di sigle politiche uscite sconfitte dal confronto elettorale.
Il “Movimento Babilonia” ha ottenuto ben 4 dei 5 seggi riservati a candidati cristiani dal sistema elettorale nazionale. Il quinto seggio, assegnato nel distretto di Erbil, è stato assegnato al candidato indipendente Farouk Hanna Atto.
Spiega l’agenzia Fides che “il Movimento Babilonia è nato come proiezione politica delle cosiddette “Brigate Babilonia”, milizia armata formatasi nel contesto delle operazioni militari contro i jihadisti dello Stato Islamico (Daesh) che portarono alla riconquista delle aree nord-irachene cadute nelle mani jihadiste nel 2014. Guidate da Ryan al Kildani (Ryan “il caldeo”), le “Brigate Babilonia” avevano sempre rivendicato la propria etichetta di milizia composta da cristiani, anche se risultava documentato il loro collegamento con milizie sciite filo-iraniane come le Unità di Protezione popolare (Hashd al Shaabi)”.

Non solo: il Movimento Babilonia è considerato anche vicino all’Organizzazione Badr, confluito alle ultime elezioni nell’Alleanza Fatah, cartello che raggruppava nove sigle e organizzazioni sciite di orientamento filo iraniano.

Alle elezioni è cresciuto anche il Partito Sadrista, guidato dal leader sciita Muqtada al Sadr che nel Parlamento precedente controllava 58 seggi e siederà come prima forza nella nuova assemblea parlamentare, avendo conquistato 73 dei 329 seggi del Parlamento. Al Sadr si è reso anche promotore di una campagna per la restituzione delle proprietà dei cristiani.       

                                                FOCUS AMERICA LATINA

Nicaragua – Santa Sede, una delle peggiori crisi

Nell’ultima settimana, le tensioni tra il governo del Nicaragua e la Chiesa cattolica sono cresciute, in una escalation che coincide con l’avvicinarsi delle elezioni generali. Il presidente Daniel Ortega e i suoi seguaci hanno ribadito accuse alla Chiesa dopo che la Conferenza Episcopale del Nicaragua ha chiesto allo Stato trasparenza nei prossimi comizi elettorali.

Ortega ha accusato i vescovi di essere “complici di un colpo di Stato contro di lui”, ha definito i vescovi come “terroristi” che in altri Paesi “sarebbero già a processo”.

A partire dal 2018, le relazioni tra i vescovi e il governo del Nicaragua si sono molto deteriorate. Dopo le prime proteste a seguito della contestata riforma delle pensioni, il governo ha chiesto alla Chiesa di fare da mediatore, salvo poi accusarla di complotto ai suoi danni. Ci sono stati anche attacchi alle chiese e ai sacerdoti. Quindi, il lavoro del nunzio Sommertag ha permesso un clima di distensione, con la liberazione di alcuni prigionieri politici. La situazione, però, non è cambiata, e ora l’avvicinarsi del nuovo appuntamento elettorale genera ulteriori tensioni.

Alla voce di Ortega, si è unita quella della moglie e vicepresidente Rosario Murillo, che ha detto chiaramente che i leader religiosi non hanno diritto a levare la loro voce in Nicaragua.

La risposta dei vescovi non si è fatta attendere. Il vescovo Rolando Alvarez, di Matagalpa, ha denunciato che i sacerdoti sono stati vitime di calunnie e false accuse, mentre Humberto Belli, ex ministro dell’Educazione ma vicino alla Chiesa cattolica, ha sostenuto che i sacerdoti non cederanno di fronte alle pressioni esercitate dal governo sandinista.

Inoltre, la Commissione Giustizia e Pace dell’arcidiocesi della capitale Managua si è rammaricata, in un comunicato diffuso negli scorsi giorni, per la “manipolazione, la politicizzazione e la gestione” della pandemia.

Citando il Catechismo (n.2237b) sul tema dei diritti politici, che “non possono essere sospesi dall'autorità senza una ragione legittima e proporzionata", il comunicato sottolinea: “abbiamo perso una preziosa opportunità per correggere la direzione della nostra patria e dare soluzione ai problemi sociali, politici ed economici”.
Il presidente argentino Fernandez non incontrerà Papa Francesco

Ci sarà anche il presidente argentino Fernandez a Roma per il G20, ed indiscrezioni arrivate dall’Argentina fanno sapere che gli sia stato sconsigliato dalle autorità della Santa Sede di chiedere una udienza con il Papa, come hanno fatto il presidente coreano Moon e il presidente USA Joe Biden, i quali saranno entrambi ricevuti da Papa Francesco il 29 ottobre.

Questo perché si vorrebbe evitare di coinvolgere il Papa in un anno elettorale. Il presidente comunque, viene fatto sapere, non ha atteso segnali dal Vaticano, né ha fatto richiesta. Anche perché si fa filtrare che il Papa sarebbe infastidito.

Motivo del contendere, la legge sull’aborto, che il presidente Fernandez vuole approvare e che ha visto anche una forte opposizione dei vescovi locali. Il presidente avrebbe sperato in un appoggio del Papa, che non è mai arrivato, anche perché il Papa non ha apprezzato, tra le altre cose, che la legge è stata promossa in tempi in cui era necessario prima di tutto pianificare una risposta economica e la pandemia.

Al di là di tutto, il presidente argentino ha comunque già avuto due udienze con il Papa, e già allora si era fatto menzione dei vari temi di discussione.

                                    FOCUS DIPLOMAZIA UMANITARIA

Slovacchia, un dono umanitario da parte della presidente Čaputová

Lo scorso 21 ottobre, l’ambasciata di Slovacchia presso la Santa Sede ha consegnato in Vaticano il dono umanitario regalato dalla presidente Čaputová a Papa Francesco quando quest’ultimo ha visitato la Slovacchia lo scorso settembre. Si tratta di varie forniture mediche di produzione slovacca, tra cui un ventilatore polmonare, più di 100.000 mascherine a tre strati, vari tipi di lampade germicide e disinfettanti.

Si tratta di equipaggiamenti che possono essere utilizzati per aiutare i più deboli, i poveri e i malati nelle strutture sanitarie e di assistenza sociale sotto il patrocinio della Santa Sede. In tale occasione, l'Ambasciatore della Repubblica Slovacca presso la Santa Sede Marek Lisánsky ha incontrato il Segretario di Stato della Santa Sede, il Cardinale Pietro Parolin, che ha molto apprezzato il gesto della presidenteČaputova e l’interesse della Slovacchia per i più deboli ed emarginati. 

Nel corso della settimana, l’ambasciatore Lisanski ha anche incontro l’arcivescovo Vergez, governatore dello Stato di Città del Vaticano.

Il dono dell’ambasciata di Taiwan presso la Santa Sede alla Caritas

Il 19 ottobre, l’ambasciata di Taiwan presso la Santa Sede ha consegnato a monsignor Francesco Soddu, direttore della Caritas, 300 sacchi a pelo multifunzione di alta qualità fabbricati a Taipei. La consegna è stata effettuata dall’ambasciatore Mathew Lee nella cancelleria dell’ambasciata. Padre Fabio Baggio, Sottosegretario della Sezione Migranti e Rifugiati del Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale, è intervenuto alla cerimonia.

“Grazie a questo gesto, speriamo vivamente di rievocare lo spirito che anima Fratelli tutti, l’ultima enciclica di Papa Francesco, per esprimere i valori più importanti abbracciati da Taiwan: fraternità, solidarietà e pace, che riflettono l’impegno di Taiwan ad assistere i bisognosi ovunque nel mondo, proprio come il nostro nuovo slogan Friendly Taiwan – Fratelli tutti”, ha affermato l’Ambasciatore Lee.

Lee ha anche affermato che “ogni donazione ci avvicina all’obiettivo di offrire sostegno, calore umano e di infondere speranza ai nostri fratelli e sorelle in difficoltà durante la fredda stagione invernale”.

                                    FOCUS MULTILATERALE

La Santa Sede all’OSCE, l’impegno anti-corruzione

Lo scorso 18 ottobre, la Santa Sede ha preso la parola all’Incontro dell’OSCE sulla Implementazione della Dimensione Economica e Ambientale. La prima sessione parlava in particolare dell’impegno OSCE nel campo dell’anti-corruzione e della buona governance.

Monsignor Januszk Urbanczyk, rappresentante permanente della Santa Sede all’OSCE, ha rilevato che la Santa Sede ritiene la lotta alla corruzione come un “focus cenrtale”, e ricordato che gli Stati partecipanti alla Carta per la Sicurezza Europea del 1999 hanno riconosciuto che “la corruzione pone una grande minaccia ai valori condivisi dell’OSCE. Genera instabilità e colpisce in profondità molti aspetti della dimensione di sicurezza, economica ed umana”.

Secondo la Santa Sede, la corruzione non è un “tema che può essere risolto solo dai governi”, ma anche con il contribuo delle organizzazioni di socieà civile, aziende, organizzazioni di ispirazione religiosa e istituti di ricerca.

La Santa Sede “riconosce che ci sono ancora significative ragioni per cui l’OSCE debba mantenere la questione della lotta alla corruzione in agenda”.

La Santa Sede a New York, il principio della giurisdizione universale

Lo scorso 22 ottobre, si è tenuto alle Nazioni Unite di New York un dibattito del Sesto Comitato su “Scopo e Applicazione del Principio di Giurisdizione Universale”.

L’arcivescovo Gabriele Giordano Caccia, osservatore della Santa Sede presso le Nazioni Unite, ha sottolineato che è necessario lavorare sui dettagli dello scopo e l’applicazione del principio di giurisdizione universale al fine di “assicurarsi che quanti commettono atroci crimini possano essere assicurati alla giustizia”.

Per la Santa Sede, eliminare l’impunità deve essere fatto consistentemente con i principi alla base della legge internazionale, in particolare il principio di sussidiarietà, l’eguaglianza della sovranità tra gli Stati e l’immunità funzionale degli ufficiali pubblici. Allo stesso tempo, la Santa Sede chiede di garantire che l’immunità non sia invocata per crimini atroci.

La Santa Sede sottolinea anche la necessità di processi trasparenti, inclusa la presunzione di innocenza, il principio di legalità e il diritto al dovuto processo, nonché la chiarificazione delle circostanze in cui questo può essere utilizzato.

Per la Santa Sede, una giurisdizione internazionale deve essere ristretta a genocidio, crimini contro l’umanità e crimini di guerra.

L’arcivescovo Caccia ha dunque incoraggiato il Sesto Comitato a perseverare nella collegialità nel cercare un equilibrio tra la necessaria accountability e le preoccupazioni di sovranità.

La Santa Sede all’Onu di New York, le misure del disarmo

Il 18 ottobre, si è tenuto alle Nazioni Unite di New York un dibattito sul Primo Comitato dell’Assemblea Generale, dedicato ad “Altre Misure di Disarmo, Sicurezza Internazionale, Disarmo Regionale e Macchinari di Sicurezza e Disarmo”.

Nel suo intervento, la Santa Sede ha sottolineato che “il funzionamento efficace dei macchinari del disarmo è necessario affinché la comunità internazionale si affidi di meno alla forza per risolvere i conflitti”.

La Santa Sede ha auspicato che la Commissione Disarmo delle Nazioni Unite si possa riunire in persona nella prossima primavera, supportata da tutti gli Stati membri, perché è inaccettabile e contradditorio per gli Stati di accrescere materiale fissile per scopi di armamento. La Santa Sede ha chiesto l’impegno di tutti gli Stati di portare avanti i negoziati che portino ad un bando delle armi radiologiche.

Parlando d cybersicurezza, l’arcivescovo Caccia ha detto che c’era un bisogno urgente di affrontare l’uso di tecnologie di informazione e comunicazione allo scopo di distruggere il commercio e mettere a rischio la pace, la sicurezza, la cooperazione e la fiducia.

Secondo la Santa Sede, “uno strumento cyber può non sembrare una pistola o una bomba, ma il suo uso malizioso può essere ancora più distruttivo per i civili”. La Santa Sede ha anche chiesto di fare attenzione all’abilita di hackerare e controllare sistemi di armamenti, che potrebbe persino rendere possibile il lancio o la detonazione di armi nucleari.

La Santa Sede ha anche affrontato la questione del Piano di Azione Globale e Congiunto con l’Iran. La Santa Sede ha rilanciato, chiedendo di arrivare a definire una “Zona Libera da Armi Nucleari del Medio Oriente”, e dicendosi speranzosa che ci siano novità diplomatiche riguardo il programma nucleare della Repubblica Democratica Popolare di Corea.