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Nagorno Karabakh, appello dall’Europa: “Preservare l’eredità cristiana”

Nathalie Loiseau, che presiede il sottocomitato sulla Sicurezza e la Difesa al Parlamentto Europeo, ha lanciato un appello per preservare l’eredità cristiana in Nagorno Karabakh

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Non c’è tempo da perdere, e anche il Parlamento Europeo deve prendere una posizione sulla perdita del patrimonio cristiano nella regione del Nagorno Karabakh, in armeno Artsakh. Lo ha detto, in un recente intervento, Nathalie Loiseau, presidente del sotto-comitato sulla Sicurezza e la Difesa del Parlamento Europeo, in un articolato intervento pubblicato da La Croix International.

L’ultimo conflitto ha visto un cessate il fuoco “doloroso” per l’Armenia, con diversi monasteri e luoghi cruciali passati sotto il controllo dell’Azerbaijan.

Il Nagorno Karabakh è una regione che è stata assegnata all’Azerbaijan da Stalin negli Anni Venti. Il territorio aveva una forte presenza di popolazione armena, come testimoniano i molti reperti cristiani e monasteri nella regione, alcuni risalenti anche al IV secolo. Molti di questi reperti sono stati distrutti nel corso degli anni, tanto che alcuni studiosi hanno parlato di un vero e proprio “genocidio culturale” ad opera degli azeri, che sono musulmani.

Gli azeri, dal canto loro, rivendicano che la loro popolazione anche è presente da tempo nel territorio, dicono di avere un legame con gli albanesi del Caucaso, e denunciano che gli armeni hanno distrutto le loro moschee quando hanno rivendicato la sovranità del territorio.

Il fatto è che, alla dissoluzione dell’Unione Sovietica, fu dichiarata la nascita della Repubblica indipendente del Nagorno Karabakh, con successivo referendum. Gli azeri non lo accetatrono. Si arrivò ad un conflitto che terminò con il cessate il fuoco del 1994. Il Nagorno Karabakh rimase una regione contesa, una sorta di exclave armena in territorio azero. L’Armenia ha cercato di mantenere un equilibrio diplomatico.

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Nel corso degli anni, entrambe le parti hanno accusato gli altri di aver cominciato le ostilità, fino all’ultimo conflitto, che ha portato anche al bombardamento della cattedrale di Shushi, e che è terminato con un cessate il fuoco che in realtà non ha realizzato una vera pace. E la preoccupazione per l’eredità culturale armena è cresciuta sempre di più, enfatizzata anche da un recente reportage della BBC che parlava di una chiesa scomparsa. La chiesa effettivamente non c’è più, ma gli azeri sostengono che questa era stata costruita nel 2017 per l’esercito armeno. Dunque, nella loro logica, mezzo di occupazione, non parte di una eredità cristiana condivisa.

Nel suo intervento, Nathalie Loiseau ha parlato anche di questo. “Conoscete la chiesa di Santa Maria nella città di Jabrayil in Nagorno Karabakh? È improbabile che l’abbiate mai visitata. E non lo farete mai. Questo perché i militari di Azerbaijan hanno raso al suolo il villaggio e la sua chiesa armena in una offensiva lanciata nell’autunno del 2020”.

Loiseau ha parlato anche della città di Shushi, dove è stata distrutta la chiesa di San Giovanni Battista e la cattedrale del San Salvatore è stata danneggiata da bombe. Del monastero di Yegishe l’Apostolo, vandalizzato.

“Ogni giorno – ha denunciato Loiseau – una pietra di un cimitero cristiano armeno in Nagorno Karabakh o la statua di una chiesa viene demolita e rovinata. E c’è ogni ragione di temere che questa distruzione continui. Ricordiamo che nella Repubblica Autonoma di Nakhichevan (una exclave azera in Armenia) sono state distrutte circa 89 chiese armene. Più di 20 mila tombe e 5 mila lapidi sono state estirpate. Non dimentichiamo come il cimitero armeno nella città-repubblica di Julfa è stato completamente e metodicamente raso al suolo”.

Loiseau ha anche fatto riferimento alle dichiarazioni di ufficiali azeri, incluso il presidente Ilham Aliyev che “ha chiesto la rimozione delle iscrizioni armene dalle chiese, definendole false, e attribuendo gli edifici agli albanesi del Caucaso”.

La comunità internazionale, ha denunciato Loiseau, “sta semplicemente guardando dall’altra parte”, nonostante “attaccare l’eredità culturale di un popolo è parte di un deliberato sforzo di pulizia etnica”.

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Ammette Loiseau, sulla base del fatto che “nessun conflitto può essere risolto negando l’esistenza dell’altro”, che “è vero che 30 anni fa il mondo è stato a guardare la distruzione dell’eredità azera in Nagorno Karabakh”, oggi è compito dello stesso mondo “di non ripetere gli stessi sbagli e di imparare la lezione dell’inazione in quel tempo”, perché quell’inazione “ha solamente aperto ferite nella memoria dei popoli, alimentato un desiderio di vendetta e rinfocolato un conflitto che era congelato solo in apparenza ed è stato riesumato alla prima opportunità”.

Insomma, conclude, “il fato del territorio non può essere lasciato solamente nelle mani di Azerbaijan, Russia e Turchia”, che non hanno mostrato di cercare “una pacifica e bilanciata soluzione al conflitto”, mentre è tempo che “il Gruppo di Minsk dell’OSCE agisca con più grande determinazione perché si ripristinino, e abbiano successo, veri negoziati”.

L’appello politico è rivolto all’UNESCO, all’Alleanza Internazionale per la Protezione delle Eredità Culturali nella Zona di Conflitto, ma anche all’Unione Europea per fare pressioni a Baku per avere garanzie che l’eredità culturale armena sia preservata.

La situazione in Nagorno Karabakh è stata descritta anche dal rapporto dello Human Rights Watch pubblicato a dicembre dello scorso anno, in cui veniva confermato che l’attacco con i missili alla cattedrale di Shushi era intenzionale, mentre la stessa cattedrale è stata vandalizzata qualche giorno dopo la fine delle ostilità, in tempo di pace, denuncia Garen Nazarian, ambasciatore di Armenia presso la Santa Sede.

In una articolata dichiarazione ad ACI Stampa, Nazarian ricorda che già “nel 1920 le sei chiese di Shushi erano state vandalizzate durante il massacro durante il quale 20 mila armeni erano stati macellati dall’esercito azero e 7 mila strutture furono distrutte”.

Come Loiseau, anche Nazarian nota la violazione del Secondo Protocollo della Convezione dell’Aja per la Protezione della Proprietà Culturale in Caso di Conflitto Armato, e mette in luce che c’è anche preoccupazione per “dei danneggiamenti a Tigranakert, un significativo sito armeno ed ellenistico di una antica città fondata da Tigrani il Grande tra il 95 e il 55 avanti Cristo”, perché è stata “una area di intensa attività di guerra, bombardata diverse volte”. Anche la chiesa di San Giovanni Battista a Shushi è stata duramente danneggiata, come hanno dimostrato video circolati nei social media poco dopo l’occupazione di Shushi.

Mentre – denuncia Nazarian – “il fuoco costante delle forze armate azere su insediamenti civili ha reso impossibile a musei e professionisti dell’eredità culturale di prendersi cura della sicurezza delle collezioni e assicurare la loro protezione”, e questo include “8 musei di Stato e gallerie d’arte, nonché due musei privati”, la maggior parte dei quali fondati dopo il cessate il fuoco del 1994.

L’ambasciatore Nazarian ha anche denunciato che l’eredità culturale dei siti viene mistificata, che l’eredità culturale armena in Nagorno Karabakh viene definita come “Albanese Caucasica”, e sottolinea come “la distorsione dell’eredità armena è un tentativo di saccheggio culturale, nonché una violazione dei più rilevanti strumenti legali internazionali”.

In particolare, l’ambasciatore Nazarian descrive “il controverso restauro delle chiese nella città di Nij nella regione di Gabala operata dalle autorità azere”. Il restauro è avvenuto nel Dicembre 2004, e in quel caso “le iscrizioni in armeno sulla chiesa sono state cancellate, e in conseguenza di ciò ambasciatori esteri accreditati in Azerbaijan rifiutarono di prendere parte alla cerimonia di riapertura della Chiesa”.

Secondo l’ambasciatore, l’Azerbaijan deve rifiutare l’eredità culturale e religiosa armena in Nagorno Karabakh perché questa mette a rischio le sue pretese di indigeneità nella regione, e questo si è visto sia con l’espulsione di tutta la popolazione armena dall’Azerbaijan nel 1989-1990, sia con gli sforzi di cancellare le tracce del passato, tanto che durante il conflitto del 1992-1994, “non meno di 167 chiese armene, 8 complessi monastici armeni e più di 120 cimiteri armeni sono stati distrutti dalle autorità azere”, senza contare la distruzione di centinaia di miglia di khachkar, e in particolare quelle nel cimitero di Old Jugha in Nakhichevan tra il 1997 e il 2006, dove si calcola siano state distrutte 89 chiese mediali, 5840 croci di pietra e 22 mila lapidi.

L’ambasciatore armeno lamenta che si rischia una situazione simile alla distruzione di Palmira e Nimrod ad opera dell’ISIS, ricorda che gli stessi armeni hanno restaurato la Moschea di Gohar Agha in Sushi nel 2019.

Da parte loro, gli azeri lamentano la distruzione delle moschee da parte armena, una distruzione di cui ha parlato anche Loiseau. Tuttavia, oggi si nota una resistenza dell’Azerbaijan ad ogni interazione internazionale sul tema dell’eredità culturale. L’UNESCO si è trovata, infatti, diverse difficoltà davanti quando ha tentato di spedire una missione di assistenza tecnica in Nagorno Karabakh e nei distretti adiacenti, denuncia Nazarian.

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