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Quell’enciclica sulla pace che Benedetto XV non scrisse mai

Il progetto di un documento papale sugli effetti dei nuovi armamenti e sulla pace era in discussione nel 1918. La rivelazione in un libro di uno studioso maltese

Benedetto XV | Una immagine di repertorio di Benedetto XV | pd Benedetto XV | Una immagine di repertorio di Benedetto XV | pd

Benedetto XV aveva anche l’idea di scrivere una enciclica sulla pace, con un particolare focus sui nuovi armamenti. E l’idea fu discussa in una delle sedute della Congregazione per gli Affari Ecclesiastici Straordinari, l’organismo che ai tempi di Papa Dalla Chiesa fungeva da “ministero degli Esteri” vaticano.

La rivelazione, in un libro, “A politics of peace” (Edizioni Studium), scritto dallo studioso e sacerdote maltese Nicholas Joseph Doublet. Il libro è uno studio sul lavoro della Congregazione degli Affari Ecclesiastici Straordinari durante il pontificato di Benedetto XV, che va dal 1914 al 1922.

Sembra uno studio molto particolare e specialistico sul pontificato del Papa famoso per l’appello contro l’inutile strage. In realtà, proprio attraverso gli atti della Congregazione per gli Affari Ecclesiastici Straordinari si possono capire molte delle chiavi della diplomazia pontificia di oggi.

Anche perché il periodo di Benedetto XV fu un periodo straordinariamente difficile: la Prima Guerra Mondiale, la Rivoluzione Russa, quindi la dissoluzione degli imperi. Un periodo difficile anche per la situazione della Santa Sede, a quel tempo senza uno Stato. Una diplomazia senza territorio, che si trova a fronteggiare, con la guerra, anche la perdita di contatto con le controparti diplomatiche, perché gli ambasciatori di Germania e Austria sono accreditati in Italia, e non possono rimanere su un territorio in guerra con la loro patria.

È un tema oggetto di una delle ponenze della Congregazione. Durante le quali, all’inizio della guerra, si discute anche su come far valere il diritto diplomatico della Santa Sede, come specificare che la Santa Sede ha diritto di legazione attiva e passiva non in virtù della legge delle guarentigie.

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Nasce allora quella che sarà la decisione della Santa Sede di ammettere, sì, ambasciatori accreditati anche presso un altro Stato, a patto che quell’altro Stato non sia l’Italia. Ma nasce allora anche la diplomazia della Santa Sede moderna, così come la conosciamo.

Scorrendo le pagine del libro, si comprende perché Benedetto XV arrivi a decidere che la posizione della Santa Sede nella Grande Guerra è quella dell’imparzialità, e non quella della neutralità. Imparziale, perché la Santa Sede non ci pensa nemmeno ad essere considerata come un attore in guerra, si pone al di sopra delle parti, per il bene comune. La diplomazia della Santa Sede non è una diplomazia politica, ma una diplomazia per l’uomo.

E nasce in quei tempi anche l’opzione del modus vivendi per la Chiesa in Paesi difficili. Perché in un mondo che si va a disfare, come quello dei Grandi Imperi, la Santa Sede deve subito comprendere in che termini essere con le nuove nazioni. Decide di stabilire subito rapporti, e di fare concordati, riconoscendo le rivendicazioni dei popoli e allo stesso tempo impegnandosi perché la comunità cristiana fosse tutelata.

Non era, questo, un cedimento al nazionalismo. Benedetto XV era ben consapevole di come il nazionalismo portasse al conflitto, e lo testimoniavano fatti tremendi che erano in corso in quegli anni, come il genocidio degli armeni. Ma riconoscere gli Stati che si andavano formando era, per la Santa Sede, un modo di stare vicino alle popolazioni, di accettare la nuova situazione politica e di affrontarla con realismo.

È una Santa Sede che guarda al futuro, che non è proiettata sul presente. Ed è una diplomazia di successo. Tanto che Doublet conclude che “lo status diplomatico della Santa Sede migliorò durante la guerra e dopo la guerra, grazie all’aver portato avanti la diplomazia della pace e la diplomazia umanitaria”. Per questo “sempre più stati erano arrivati a riconoscerla come una autorità morale tra le nazioni, attribuendole un ruolo di mediazione”.

Grazie a Benedetto XV si era andati oltre all’isolamento diplomatico della Santa Sede, e la si era proiettata verso quello che solo in seguito sarà chiamato "nuovo ordine mondiale". E lo si era fatto a partire dal riconoscimento dell’universalità della Santa Sede, da quel legame con la città di Roma che era presente in tutti i membri della Congregazione degli Affari Ecclesiastici Straordinari. Il volume ricostruisce una ad una le biografie e gli studi dei cardinali membri, e per ciascuno il passaggio a Roma era stata parte di una formazione che aveva proiettato poi le loro scelte ad un livello più universale.

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