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Romania, dove nessun dialogo fu possibile

Nonostante un concordato siglato nel 1927, la Romania fu quasi impermeabile al dialogo con la Santa Sede. Eppure la Chiesa è ancora viva e presente

Papa Francesco a Blaj | Papa Francesco mentre celebra la beatificazione di sette vescovi greco cattolici a Blaj, in Romania, il 2 giugno 2019. In primo piano, l'icona che raffigura i martiri | Vatican Media / ACI Group Papa Francesco a Blaj | Papa Francesco mentre celebra la beatificazione di sette vescovi greco cattolici a Blaj, in Romania, il 2 giugno 2019. In primo piano, l'icona che raffigura i martiri | Vatican Media / ACI Group

La beatificazione di sette vescovi greco-cattolici celebrata in Romania da Papa Francesco lo scorso 2 giugno era molto più di una Messa. Era il riscatto di un popolo, di una Chiesa che era rimasta ai margini e che doveva essere annientata. E proprio la Chiesa Greco-Cattolica era la prima vittima designata. Piccola, legata a Roma, simile alla Chiesa ortodossa per il rito, ma non legata allo Stato totalitario.

In realtà, la Chiesa cattolica in Romania aveva avuto il suo impatto, nonostante la popolazione fosse a maggioranza ortodossa, e questo già dal XIX secolo, quando lo Stato cominciava ad emergere. Quando poi, dopo la Prima Guerra Mondiale, si giunse alla Grande Romania, con territorio ingrandito di un terzo, la Santa Sede cercò subito un concordato con il nuovo Stato, e lo andò a stabilire nel 1927.

Dopo la Seconda Guerra Mondiale, comincia la persecuzione. E colpisce soprattutto il mondo greco-cattolico. Il Concordato viene spesso disatteso dal governo di Petru Groza, con la scusa che la Santa Sede volesse convertire la popolazione ortodossa.

Nel 1946, il governo Groza dichiarò il nunzio Andrea Cassulo persona non grata, con l’accusa di aver collaborato con Ion Antonescu, dittatore romeno durante la guerra. La Santa Sede sostituì il nunzio Casulo con il nunzio Gerald O’Hara, statunitense, Anche lui fu accusato di spiare per gli Alleati. O’Hara continuò a ordinare vescovi e amministratori, mantenendo vivo il clero.

Il 17 luglio 1948, il governo romeno denunciò unilateralmente il concordato del 1927, e già a dicembre la Chiesa Greco Cattolica fu smembrata e il suo patrimonio trasferito alla Chiesa ortodossa. Furono definite nuove leggi statali per abolire l’autorità papale sui cattolici in Romania, mentre il Dipartimento dei Culti non approvò l’organigramma della Chiesa Cattolica, rendendola di fatto priva di qualunque “ombrello giuridico”.

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Il regime intimidì i sacerdoti stranieri, la nunziatura apostolica fu chiusa nel 1950 su ordine governativo, e a partire da quell’anno la Romania tagliò ogni contatto diplomatico con la Santa Sede. In tutto il territorio romeno, c’erano solo due diocesi: quella di Bucarest, e quella di Alba Iulia. Le diocesi che erano state bandite continuarono a funzionare in semi clandestinità: i loro vescovi erano ordinati in clandestinità e non formalmente riconosciuti dal governo. I comunisti, piuttosto, cercarono di convincere i cattolici ad organizzarsi in una Chiesa nazionale, sotto il controllo dello Stato, e di cessare ogni contatto con la Santa Sede.

La Chiesa non accetta. Sono centinaia i cattolici che vengono detenuti in prigioni comuniste dal 1947 e fino al 1950. Tra questo, Anton Durcovici e Aron Marton, nonché monsignor Ghika e il prete gesuita Cornel Chira. Nel 1949, vennero bandi in Romania 15 istituti religiosi, mentre gli altri dovettero ridurre le loro attività.

Nel 1960 ci fu una relativa liberalizzazione, e la Santa Sede poté riprendere sporadici colloqui sullo status delle proprie della Chiesa Greco Cattolica. Non ci furono risultati.

La Romania divenne una provincia gesuita nel 1974, con otto sacerdoti e 5 religiosi. Dopo la Rivoluzione Romena del 1989 la situazione si normalizzò, e nel 1990 la Romania divenne la quarta nazione precedentemente appartenente al blocco oltre Cortina a riprendere relazioni diplomatiche con la Sana Sede. Tutte e sei le diocesi furono riconosciute dallo Stato romeno nel 1990, e Alba Iulia divenne arcidiocesi nel 1991, mentre gli istituti religiosi furono permessi. Anche le attività dei Gesuiti poterono tornare a fiorire dopo la visita dell’allora superiore provinciale Peter Hans Kolvenbach.

La Chiesa cattolica romena aveva comunque già cominciato una sua apertura, prendendo parte a molti incontri internazionali per promuovere l’ecumenismo. In particolare, prese parte all’incontro di Patmos del 1980, quello di Monaco di Baviera nel 1982, di Creta e Bari nel 1984, di Vienna e Frisinga nel 1990 e del monastero di Balamand nel 1993, da dove scaturì la famosa dichiarazione che mette da parte la metodologia dell’uniatismo.

Nessun dialogo fu dunque possibile, o ci fu scarso risultato. Eppure la Romania non fu completamente impermeabile al mondo. La Chiesa cattolica romena, sebbene martoriata, sopravvisse. Ebbe anche una minima apertura al mondo. Papa Francesco, beatificando i sette vescovi, ha reso omaggio a quella storia.

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