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Diplomazia Pontificia, un incontro tra Papa Francesco e Xi Jinping?

Molti i rumors di un incontro tra Papa Francesco e il presidente cinese in Kazakhstan. La situazione in Cina e con Taiwan. Le questioni aperte in Africa e America Latina

Papa Francesco, cattolici cinesi | Papa Francesco in una udienza degli anni passati saluta un gruppo di cattolici cinesi | Daniel Ibanez / ACI Group Papa Francesco, cattolici cinesi | Papa Francesco in una udienza degli anni passati saluta un gruppo di cattolici cinesi | Daniel Ibanez / ACI Group

C’è uno spazio, nel programma del viaggio di Papa Francesco in Kazakhstan, che dice che è destinato agli incontri personali con i leader religiosi. Si tratterà di tanti piccoli bilaterali, che coinvolgeranno, con tutte probabilità, il grande imam di al Azahr Ahmed al Tayyb, anche lui atteso a Nur Sultan, così come il metropolita Antonij del Patriarcato di Mosca.

Ci sarà spazio per un incontro con il presidente cinese, anche lui a Taiwan? Il direttore della Sala Stampa della Santa Sede, Matteo Bruni, nel briefing con i giornalisti sul viaggio si è limitato a sottolineare che gli incontri previsti sono con leader religiosi partecipanti all’Incontro Mondiale dei Leader delle Religioni del Mondo e Tradizionali. Ma nulla esclude un possibile fuori programma. O, perlomeno, si specula si quello.

Nella lente di ingrandimento in questa settimana anche il rifiuto della nuova costituzione del Cile; l’uscita dei vescovi del Ciad dal dialogo nazionale; gli interventi della Santa Sede nel multilaterale.

                                                FOCUS CINA

Papa Francesco e il presidente cinese Xi Jinping si incontreranno?

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La presenza del presidente cinese Xi Jinping in Kazakhstan nei giorni in cui Papa Francesco sarà nel Paese per partecipare all’incontro Mondiale dei Leader Religiosi ha subito dato il via a speculazioni su un possibile incontro tra il Papa e il presidente della Cina. Speculazioni che nascono anche dal fatto che una delegazione vaticana è stata in Cina dal 28 agosto al 2 settembre per discutere il rinnovo dell’accordo sino-vaticano sulla nomina dei vescovi, e in una intervista al Tg2 il Cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato vaticano, ha fatto capire che si sta andando verso un rinnovo dell’accordo.

Tutto sembrerebbe, insomma, portare a dei rapporti amichevoli, nonostante ci siano diverse questioni aperte, che riguardano la libertà religiosa in Cina e anche la situazione dei vescovi. Tuttavia, la recente nomina a presidente dell’Associazione Patriottica di un vescovo che ha avuto nel 2008 la doppia approvazione di Santa Sede e Pechino sembra andare nella direzione di un disgelo.

Sarebbero dunque maturi i tempi di un incontro tra il Papa e il presidente della Cina? Xi Jinping sarà a Nur Sultan il 14 settembre, dove incontrerà il presidente Kassym-Jomart Tokayert. Non andrà, ovviamente, a partecipare all’Incontro Mondiale delle Religioni dove sarà Papa Francesco, ma si potrebbe “teoreticamente” secondo delle fonti organizzare un saluto tra i due, considerando che il 14 settembre Papa Francesco ha in previsione anche dei brevi incontri personali con altri leader religiosi.

Se incontro ci sarà, sarà comunque informale e fuori dai canali ufficiali. Ma non sarebbe la prima volta che Xi Jinping e Papa Francesco vedono la possibilità di un incontro. Il presidente cinese era stato in Italia dal 21 al 24 marzo 2019, in una prima visita ufficiale, e si era pensato ad un colloquio faccia a faccia con Papa Francesco. Ma, anche lì, era solo una ipotesi, nata a seguito della firma nel 2018 dell’accordo sino-vaticano, e i empi non furono considerati maturi.

Nel 2009, si parlò e si studiò anche la possibilità di un incontro tra Benedetto XVI e l’allora presidente cinese Hu Jintao, ma questo incontro non avvenne, anche perché il leader cinese dovete rientrare improvvisamente a causa delle rivolte scoppiate nello Xinjiang

Un eventuale incontro, che Papa Francesco vorrebbe, andrebbe comunque ben ponderato, perché la Santa Sede ha anche la necessità di evitare di essere percepita come un attore completamente sbilanciato a favore della Cina.

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Sarebbe, tra l’altro, una descrizione ingiusta. Non solo la Santa Sede è ben cosciente della situazione a Pechino e dintorni, ma il rapporto del Consiglio dei Diritti Umani dello scorso 1 settembre, che metteva in luce la situazione degli Uiguri, è stato considerato approfonditamente.

Papa Francesco saluta l’ex vicepresidente di Taiwan

Al termine della Messa per la beatificazione di Giovanni Paolo I, lo scorso 4 settembre, Chen Chien-jen, ex vicepresidente di Taiwan, ha potuto salutare brevemente il Papa. Chien-jen aveva partecipato alla celebrazione per rappresentare Taiwan, ha fatto sapere la presidente Tsai Ing-wen, e ha sottolineato di essere stato “accolto in maniera speciale dal Papa”, cui ha chiesto di pregare per Taiwan.

La Santa Sede è uno dei 14 Stati che mantengono ancora relazioni diplomatiche con la Repubblica di Cina, ovvero Taiwan. Sono Stati che non hanno relazioni diplomatiche con la Repubblica Popolare Cinese, che considera Taiwan una “provincia ribelle” e che collega ogni apertura di relazioni diplomatiche alla condizione di chiudere le relazioni con Taipei.

Joanne Ou, portavoce del ministero degli Esteri di Taipei, ha fatto sapere che il ministero “ha un canale di comunicazione agevolmente aperto con il Vaticano”, che Taiwan ha “mantenuto stretta cooperazione con la Santa Sede dallo stabilimento delle relazioni diplomatiche nel 1942. Ha anche aggiunto che “Taiwan ha sempre posto particolare attenzione ad ogni potenziale incontro tra i leader dei suoi alleati diplomatici e gli alti officiali cinesi”.

Verso il processo del Cardinale Zen

Nel frattempo, si va verso il processo del Cardinale Joseph Zen Ze-kiun, vescovo emerito di Hong Kong, arrestato negli scorsi mesi e poi rilasciato e chiamato a processo dal 19 al 23 settembre. Il Cardinale è stato arrestato con accuse riguardanti il suo ruolo in un fondo fiduciario pro-democratico.

Il caso del Cardinale Zen è entrato in maniera prorompente al Concistoro del 29-30 agosto, quando il Cardinale Gehrard Ludwig Mueller ha messo in luce la necessità di affrontare il caso, considerando che si trattava di un confratello che non poteva partecipare per motivi extraecclesiastici.

Parlando con Il Messaggero lo scorso 1 settembre, il Cardinale Mueller ha detto di “avere timore per il silenzio di questo concistoro sul caso Zen”, durante il quale non si è nemmeno proposta una preghiera collettiva per il vescovo emerito di Hong Kong.

“Ci sono ovviamente – ha detto il Cardinale – ragioni politiche da parte della Santa Sede che evita alcune iniziative”. Ma, ha aggiunto, la Chiesa dovrebbe forse “essere più libera e meno legata a una logica mondana, basata sul potere, e per questo più libera di intervenire, e, se necessario, di critici i politici che arrivano a sopprimere i diritti umani”.

Il Cardinale ha aggiunto che “Zen è un simbolo, ed è stato arrestato sulla base di un pretesto. Non ha fatto niente, è influente, coraggioso e una figura molto temuta dal governo. Ha più di 80 anni e lo abbiamo lasciato solo”.

                                                FOCUS MULTILATERALE

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La Santa Sede a New York nella Giornata Internazionale contro i test nucleari

Lo scorso 7 settembre si è tenuto alle Nazioni Unite di New York un incontro plenario di alto livello per Commemorare e Promuover la Giornata Internazionale contro i Test Nucleari.

Assente l’arcivescovo Giordano Caccia, a Roma per l’incontro triennale dei nunzi, la Santa Sede è intervenuta con la voce dello chargé d’affaires, monsignor Robert Murphy, il quale ha messo in luce che lo scopo di questa giornata internazionale non è solo di accrescere la consapevolezza sulle conseguenze dei test nucleari, ma anche di ricordare quelli che hanno sofferto gli effetti delle esplosioni che colpiscono in maniera indiscriminata donne, ragazze e non nati.

Monsignor Murphy ha sottolineato che il Trattato sulla Proibizione delle Armi Nucleari porta speranza per quanti soffrono da questi effetti. Il trattato – che la Santa Sede ha appoggiato votando come stato membro durante la discussione – “richiede agli Stati parte di assistere le vittime e di riparare gli ambienti contaminati”.

La Santa Sede chiede anche agli Stati di firmare e ratificare il Trattato Globale per il Bando dei test nucleari, perché solo l’entrata in vigore di questo trattato che permetterà “una piena implementazione delle misure delle ispezioni sul luogo previste del trattato”, permettendo di raggiungere un bando universale e verificabile del test nucleare da parte di tutti, per sempre.

La Santa Sede al Forum Economico e Ambientale dell’OSCE

Si è tenuto a Praga, l’8 e il 9 settembre, il 30esimo Forum Economico e Ambientale dell’OSCE. La Santa Sede ha partecipato, e ha tenuto un discorso nella sessione di apertura, dedicata a “Promuovere la sicurezza e la stabilità nell’area dell’OSCE attraverso un recupero economico sostenibile dalla pandemia del COVID 19”.

Nel suo intervento, monsignor Urbanczyk, rappresentante permanente della Santa Sede all’OSCE, ha affrontato il tema della necessità di “una transizione verde per diminuire il carbone e verso risorse di energia pulita”, una questione affrontata lo scorso anno dal Consiglio Ministeriale di Stoccolma cui però non è stato dato seguito, dato che la situazione è “drammaticamente cambiata” con la guerra in Ucraina, e “i prezzi dell’energia sono cresciuti in maniera decisa, e c’è il rischio che i rifornimenti a case e industrie diventi instabile e impossibile da permettersi”.

La Santa Sede nota che c’è bisogno di “una strategia a lungo termine” per dare sicurezza energetica, cosa che richiede “la volontà genuina degli Stati di cooperare non solo a livello politico, ma anche a livello scientifico e tecnologico per incoraggiare percorsi neutrali del clima per uno sviluppo sostenibile”.

La Santa Sede sottolinea che il periodo in cui stiamo entrando sarà “di grande incertezza economica”, e che può sembrare logico per le nazioni “rispondere su base individuale, dando la priorità al benessere economico dei loro cittadini e nazioni”, ma che non si deve dimenticare “il bisogno di cooperazione, inclusa quella con le organizzazioni internazionali, per assicurare un recupero economico e ambientale sostenibile per tutti”.

Secondo la Santa Sede, sarebbe “un disservizio e una mancata opportunità se gli sforzi degli anni passati nell’affrontare il cambiamento climatico e l’ineguaglianza economica fossero dimenticati o messi da parte nel mezzo di questa crisi economica”.

La Santa Sede chiede dunque di dare la priorità a “un approccio bilanciato che promuove lo sviluppo economico di tutti gli Stati, assicurando la sicurezza per tutti”.

Il messaggio del Papa all’UNESCO

L’8 settembre, in occasione della Giornata Internazionale dell’Alfabetizzazione, il Cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato vaticano, ha inviato un messaggio all’UNESCO a nome del Papa.

Il Cardinale ha ricordato che il Papa parla di “una metamorfosi non solamente culturale, ma anche antropologica che assume nuovi linguaggi e rigetta, senza discernimento, i paradigmi che ci sono stati offerti dalla storia”. Invece, è necessario per ogni cambiamento “un percorso educativo che coinvolge tutto il mondo”, considerando che è necessario costruire un “villaggio dell’educazione”, che nella diversità si impegni a “creare un ambiente di relazioni umane e aperte”.

Nella lettera, il Cardinale rilancia il Patto Educativo voluto da Papa Francesco, ricorda che il Papa “ci esorta a trovare una convergenza mondiale in vista di una educazione portatrice di una alleanza di tutte le componenti della persona; mette in luce che ci vuole anche una alleanza tra “gli abitanti della terra e la casa comune”, e una “alleanza generatrice di pace, di giustizia e di accoglienza tra i popoli della famiglia umana affinché ci sia dialogo tra le religioni”.

Inoltre, il Segretario di Stato nota che alcuni studi sull’impatto del COVID sull’apprendimento degli adulti e sull’alfabetizzazione “sembrano confermare che, in molti Paesi, gli educatori provengono spesso da settori diversi dall'istruzione scolastica e sono insegnanti di comunità o volontari, con situazioni contrattuali precarie, il che contribuisce a rendere poco attraente questo settore, soprattutto per i giovani che vogliono diventare insegnanti”.

                                               FOCUS AMERICA LATINA

Il nunzio cacciato del Nicaragua destinato alla nunziatura del Senegal

L’arcivescovo Waldemar Sommertag, nunzio in Nicaragua espulso dal governo negli scorsi mesi, è stato riassegnato alla nunziatura di Senegal, Capo Verde, Guinea Bissau e Mauritania. La nomina è avvenuta il 6 settembre 2022.

L’arcivescovo Sommertag è stato espulso dal governo di Managua nel mezzo di una forte tensione tra il regime di Daniel Ortega e la Chiesa, dopo che lo stesso governo aveva abolito la figura del decano del Corpo Diplomatico. Nel corso di questi mesi, durante i quali la nunziatura è rimasta vacante, il governo ha chiuso diverse radio e mezzi di comunicazione diocesani e ha persino arrestato un vescovo. Sommertag era stato molto attivo nel dialogo con il governo, ed era anche riuscito a stabilire un dialogo che aveva portato alla liberazione di alcuni prigionieri politici.

Polacco, sacerdote dal 1993 e nel servizio diplomatico della Santa Sede dal 2000, l’arcivescovo Sommertag ha servito nelle rappresentanze pontificie di Tanzania, Nicaragua, Bosnia – Erzegovina, Israele e nella sezione per le Relazioni con gli Stati della Segreteria di Stato vaticana.

Era nunzio in Nicaragua dal 15 febbraio 2018, arrivando già nel mezzo di una forte crisi nata con le proteste contro la riforma delle pensioni del 2018.

Era stato espulso dal Nicaragua nel marzo 2022, con una misura che la Santa Sede aveva definito come “apparentemente incomprensibile”.

Il Cile rifiuta la nuova costituzione

Dopo due anni di processo per chiedere il cambiamento della Costituzione, la popolazione del Cile lo scorso 4 settembre ha rifiutato in un plebiscito il nuovo testo Costituzionale, preferendo tenere il vecchio testo costituzionale.

Diversi i motivi del rifiuto. Prima di tutto – come avevano fatto notare i vescovi cileni – il fatto che nella nuova Costituzione includeva una norma sull’aborto libero.

Quando a luglio fu poi resa nota la proposta della nuova costituzione, la Conferenza Episcopale cilena notò “gran parte delle proposte riguardo come organizzare la casa comune rientrano in questioni opinabili, di fronte le quali c’è una legittima pluralità di opzioni”.

Allo stesso tempo, però, i vescovi davano valutazione negativa delle “norme che permettono l’interruzione di gravidanza, che lasciano aperta la possibilità dell’eutanasia, che sfigurano la comprensione della famiglia, che restringono la libertà dei genitori sugli insegnamenti dei figli, che pongono alcune limitazioni al diritto dell’educazione e della libertà religiosa”.

In particolare, i vescovi criticavano con forza l’introduzione di un diritto all’aborto, da praticare “liberi da interferenze da parte di terzi”, mentre la proposta costituzionale andava a “esprimere preoccupazione per gli animali come essere senzienti, però non riconosce alcuna dignità e alcun diritto a un essere umano nel ventre materno”.

Altro motivo di preoccupazione era il diritto “ad una morte degna” (un modo di introdurre l’eutanasia), all’ampliamento del concetto di famiglia portato fino al parlare di “famiglie nelle loro diverse forme, espressioni e modi di vita”, alla questione educativa, perché la proposta costituzionale non rendeva chiaro l’espressione del diritto dei genitori a decidere dell’educazione dei figli.

Cruciale anche la questione della libertà religiosa, perché per i vescovi “questa proposta non riconosce nessun elemento essenziale, come l’autonomia interna delle confessioni, il riconoscimento della loro norme proprie e la possibilità di celebrare in modo da assicurare la piena libertà e attenzione dei membri delle confessioni religiose, specialmente in situazioni di vulnerabilità”.

Alla fine, i cileni hanno deciso, con una maggioranza schiacciante, che non desiderano una costituzione che rompa drasticamente con la tradizione politica, culturale e valoriale del Paese. Si tratterà ora di vedere se si cambierà di nuovo il testo, o se si stabilirà un meccanismo per proporre un nuovo testo.

                                                FOCUS AFRICA

Ciad, i vescovi si autosospendono dal dialogo nazionale

I vescovi del Ciad si sono autosospesi dal partecipare al Dialogo Nazionale promosso dalla giunta militare che ha preso il potere del Paese nell’aprile 2021, denunciando che “non c’è stato alcun dialogo. Per noi il dialogo si basa sull’ascolto reciproco. Abbiamo l’impressione di assistere a una campagna elettorale con da un lato chi sostiene il cambiamento e un rinnovamento della classe politica, e dall'altro, chi vuole continuare a gestire una macchina abilmente orchestrata”.

Per i vescovi, anche i diversi gruppi che partecipano ai colloqui iniziati a Ndjamena lo scorso 20 agosto vivono “una crisi di fiducia”; e che per questo si sono sentiti in dovere di sospendere la loro partecipazione, pur dichiarandosi “disponibili” a continuare a offrire i propri servizi in tutte le successive fasi di riconciliazione, se queste saranno sincere”

La sospensione della partecipazione della rappresentanza della Conferenza Episcopale al dialogo nazionale segue le dure critiche espresse a fine agosto dai leader delle associazioni e dei movimenti cattolici (Union des cadres chrétiens catholiques du Tchad- Ucct; Union des femmes chrétiennes catholiques du Tchad -Ufcct); Réseau des anciens Jécistes d’Afrique au Tchad -Raja-T). Tra le questioni messe sul tavolo, la mancanza di inclusività e l’esercizio di una certa egemonia da parte di alcuni gruppi.

Lanciato nel 2021, ma rinviato più volte, il Dialogo Nazionale Inclusivo e Sovrano era stato boicottato dalla maggioranza dell’opposizione e da due dei più potenti movimenti ribelli armati.

Dopo tre giorni di assedio alla sede del partito di opposizione Les Transformateur, l’assedio è stato tolto il 4 febbraio

Il generale Mahamat Idriss Déby Itno, autoproclamato Capo di Stato a capo di un Consiglio militare di 15 generali nell'aprile 2021 alla morte del padre presidente Idriss Déby Itno, aveva subito promesso un Dialogo Nazionale (DNIS) inclusivo e sovrano a elezioni "libere e democratiche" entro 18 mesi. Queste ultime non ci sono ancora state.