Russo nota che “non si tratta solo di funzionari competenti, ma di sacerdoti che hanno scelto di mettere la propria vocazione al servizio di questo ambito del ministero della Chiesa”.
FOCUS EUROPA
Ucraina, il Consiglio Pan-Ucraino per le Chiese chiede di fermare gli attacchi ai santuari
A seguito degli attacchi russi che hanno danneggiato anche la Basilica di Santa Sofia a Kyiv, il Consiglio Pan-Ucraino per le Chiese, che rappresenta il 95 per cento delle confessioni religiose in Ucraina, ha rilasciato una dichiarazione chiedendo che si fermino gli attacchi ai santuari.
Il Consiglio delle Chiese ha osservato che Santa Sofia di Kiev è l’edificio religioso più antico risalente all'epoca dell'antico stato di Kiev, la Rus'-Ucraina. La costruzione della Basilica iniziò nell’XI secolo, durante il regno di Vladimir il Grande, che battezzò la Rus’.
Si legge nella dichiarazione dei rappresentanti religiosi ucraini che “la chiesa di Santa Sofia di Kiev è inclusa nella Lista del Patrimonio Mondiale dell'UNESCO. Il tempio sopravvisse all'invasione mongolo-tatara del XIII secolo. Sotto Joseph Stalin, si voleva demolirlo. Il tempio ha attraversato la Seconda Guerra Mondiale ed è rimasto intatto. E solo i barbari moderni provenienti dalla Russia, che non hanno nulla di sacro, hanno inflitto il colpo che oggi affligge la chiesa di Santa Sofia di Kiev”.
Il Consiglio Pan-Ucraino delle Chiese ha osservato che questo non è l'unico caso di distruzione di santuari ucraini da parte dell'esercito russo. Dall'inizio dell'invasione su vasta scala, la Russia ha distrutto e danneggiato 670 chiese e luoghi di preghiera, uccidendo 60 sacerdoti di varie chiese e organizzazioni religiose. Molti sacerdoti e pastori sono stati arrestati illegalmente e tenuti prigionieri dai russi.
La dichiarazione sottolinea che “nei territori dell'Ucraina temporaneamente occupati dalla Russia, continua a verificarsi una brutale persecuzione religiosa, tra cui arresti illegali e imprigionamenti di ecclesiastici di varie confessioni, sequestro di edifici religiosi e loro utilizzo per le esigenze militari e amministrative degli occupanti russi, chiusura di chiese e luoghi di preghiera, controllo totale sulla vita religiosa e il suo orientamento a sostegno dell'occupazione".
I religiosi ricordano che il Consiglio si era già appellato alla comunità internazionale perché si impedissero bombardamenti criminali sulle città ucraine già in una dichiarazione dell’1 marzo 2022.
"Noi, capi delle Chiese e delle organizzazioni religiose ucraine, facciamo appello a tutto il mondo civile affinché adotti tutte le misure necessarie per fermare la barbarie commessa dalla Federazione Russa, lanciando attacchi missilistici e con droni contro santuari e templi secolari, catturando e perseguitando cristiani e altre figure religiose per le loro convinzioni e la loro fede", conclude il Consiglio.
FOCUS MULTILATERALE
L’arcivescovo Gallagher al Globsec
Come ormai ogni anno, l’arcivescovo Paul Richard Gallagher, ministro vaticano per i Rapporti con gli Stati, ha partecipato al Globsec, che si è tenuto a Praga dal 12 al 14 giugno.
Il viaggio di Gallagher nella capitale ceca è stata anche l’occasione di alcuni incontri bilaterali. In particolare, il ministro degli Esteri ceco Jan Lipavský ha sottolineato, in un post su X, che ha avuto un incontro con il suo omologo vaticano durante il quale hanno parlato “della relazione di Leone XIV con la Cechia, della ratifica dell’accordo bilaterale e degli sforzi della Santa Sede per la pace in Ucraina”.
Santa Sede e Repubblica Ceca hanno firmato lo scorso anno un accordo bilaterale.
Il Globsec è stato fondato 20 anni fa, e quest’anno ha visto la partecipazione di 1500 persone provenienti da più di 70 nazioni, includendo anche la seconda edizione del Prague Geotech Summit.
Alle radici del Globsec c’è la Slovak Atlantic Commission, fondata nel 1993 per facilitare l’integrazione della Slovacchia nella NATO e nell’UE.
Nel suo discorso, l’arcivescovo Gallagher ha sottolineato che “la pace non è solo un obiettivo politico. È una vocazione umana, un dono di Dio, e un compito affidato ad ogni generazione”.
Cambiare il discorso sulla libertà religiosa
Lo scorso 11 giugno, monsignor Daniel Pacho, sottosegretario vaticano per il multilaterale, ha partecipato al panel finale dell’incontro su “Cambiare il Discorso sulla Libertà religiosa”. Il panel si è tenuto presso la Villa Magistrale dell’Ordine di Malta, e ha concluso una giornata di studio che ha visto anche la presentazione di varie case histories. Base di lavoro era un rapporto dell’Atlantic Council, un paper in cui si propone di utilizzare il concetto di sviluppo umano integrale all’interno dei rapporti sulla libertà religiosa.
Nel suo discorso, monsignor Pacho ha notato che “l’orientamento della libertà nasce dal concetto di libertà cristiana. La libertà è spesso definita solo come una libertà negativa: la libertà dal peccato, dalle leggi, dalle nazioni, dai legami del passato, dalle interferenze e dalle costruzioni”.
Ma, nel concetto cristiano, la libertà include anche un approccio positivo, ovvero “la libertà di pensare, di parlare, di realizzare i propri scopi indipendentemente, e di credere che possiamo vivere la fede”.
Monsignor Pacho ha notato che “il modo cristiano di credere è unico”, e che la Chiesa “è sempre pronta per tutto per lavorare, è sempre a favore degli ultimi”, e per questo la Santa Sede “è una presenza che si impegna con le comunità religiose” e che ha una rete diplomatica che porta “una forza significativa in tutto il mondo”.
Riccardo Paternò di Montecupo, Gran Cancelliere dell’Ordine di Malta, ha notato che
“la libertà religiosa, come sottolinea il rapporto dell'Atlantic Council, è un potente strumento di motivazione per il progresso umano e per la coesione sociale. In una parola, è una forza motrice dello sviluppo umano integrale. Un concetto che l'Ordine di Malta mette in pratica ogni giorno, sul campo, in modo concreto. Ispirati dai nostri valori religiosi cristiani portiamo infatti servizi umanitari in tutto il mondo, a tutti coloro che ne hanno bisogno, indipendentemente dalla loro identità nazionale, culturale o religiosa".
Il “ministro degli Esteri” dell’Ordine di Malta ha anche raccontato che “qualche mese fa, durante una visita in Libano, sono rimasto colpito nel vedere un medico libanese di fede sciita che indossava il gilet dell'Ordine di Malta mentre prestava servizio quotidiano in una clinica mobile dell'Ordine, per assistere i rifugiati siriani nella valle della Bekaa. Allo stesso modo, all'ospedale della Sacra Famiglia, gestito dall'Ordine di Malta a Betlemme, la maggior parte dei medici, degli infermieri e dei pazienti sono musulmani. E a Gaza, lo scorso anno, l'Ordine ha fornito per diversi mesi cibo alla popolazione della città di Gaza attraverso la parrocchia cattolica, ma i beneficiari erano cristiani e musulmani senza alcuna distinzione".
Il cardinale Parolin su Religione e Democrazia
Lo scorso 5 giugno, il Cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato vaticano, è intervenuto al dibattito Religione e democrazia" presso l’Istituto Luigi Sturzo. Il dibattito era stato organizzato dall’ Associazione Amici di Luigi Vittorio Ferraris e Fondazione Hanns Seidel Italia/Vaticano e Istituto Luigi Sturzo.
Nel suo intervento, il Cardinale Parolin ha notato “il frangente critico” che si vive oggi, con sfide date da “accadimenti tragici”, ma anche “promesse di collaborazione che facilmente si confondono con atti di imperio e preclusione”.
Per questo, ha detto il Cardinale, “servono risposte precise e complete” e “abbiamo il compito di cercare strumenti per riedificare un ordine internazionale capace di parlare e far parlare di pace”.
Il cardinale ha notato che “il traguardo della pace come il suo valore lasciano spesso il posto a senso di impotenza che diventa angoscia di fronte a proliferare di conflitti o di fronte a situazioni che compromettono la stabilite”. Infatti, ha aggiunto, “sempre più la guerra si pone come un fatto costante, che percepiamo dall’informazione e vediamo presente nella condotta degli Stati”, e “non appartiene solo a Paesi che sono parti di conflitto”, ma anche a chi “prefigura la prevenzione attraverso il riarmo”, creando “fattori determinanti per le scelte che si compiono da parte politica e cultura”.
Il cardinale ha affermato che “probabilmente qualcuno dirà che conflitti e guerre non sono mai mancate nella famiglia umana”, e ha stigmatizzato la visione di chi crede che si giunge alla pace solo “dopo un confronto estremo e quando il nemico è annientato”.
Parolin ha denunciato che si vive in una “profonda incertezza riguardo il modo di intendere e realizzare i rapporti tra le persone”, e che siamo “di fronte ad un abbandono dei modelli di convivenza con i sistemi di regole che ci sono stati”, perché “certe azioni negano i principi del diritto internazionale umanitario”.
Il cardinale ha notato che alla questione del mantenimento della pace si affiancano altri temi: lo sviluppo integrale e sostenibile, la proprietà intellettuale e la sua condivisione, la protezione dei diritti fondamentali della persona.
Secondo Parolin, non funziona il criterio che la pace si regga “sull’equilibrio degli armamenti”, mentre è assente il principio che “la vera pace si può costruire solo sulla reciproca fiducia”. E per questo, “è il momento di dare alla parola unità il suo significato autentico, di ricchezza comune”.
Così – ha chiosato il Cardinale – “non parleremo di pace come obiettivo irraggiungibile, vedremo piuttosto la pace come la conclusione di un processo che per essere realizzato domanda volontà capacità e formazione”.
La volontà di pace, ha aggiunto il Segretario di Stato, si manifesta “nel proporre serie alternative di ricorso alla forza”, e la volontà di pace “deve manifestarsi senza ambiguità, perché la verità non può mai essere disgiunta dalla carità”.
Il cardinale ha affermato che “nessuna pace è possibile senza un vero disarmo”, e che formarsi alla pace significa “acquisire gli elementi individuando i fatti vicini”, e avere “formazione e capacità di leggere le carenze”, attraverso un dialogo che “non è una tendenza che si sviluppa nel tempo, ma una tendenza di atti concreti”.
Parolin ha ricordato il 50esimo anniversario dell’Atto di Hensinki, e sottolinea che “solo la pace è un modo di superare le divergenze”. Eppure, “la speranza sembra venir meno e insieme ad essa anche prospettive di pace si trasformano in deterrenza”, mentre i “responsabili delle nazioni che fanno della guerra il solo strumento” e “la proporzionalità dell’intervento militare lascia il posto all’arbitrio”.
Ma “siamo chiamati a sperare, che “per il credente significa abbandono attivo e laborioso alla misericordia di Dio”.
FOCUS NUNZIATURE
L’arcivescovo Bianco saluta l’Uganda. Rappresenterà il Papa in Slovenia
Lo scorso 6 giugno, l’arcivescovo Luigi Bianco ha salutato l’Uganda al termine del suo lavoro come nunzio apostolico nel Paese. L’arcivescovo si è potuto congedare dal Paese in una telefonata di saluto del Ministro degli Affari Esteri di Kampala Henry Okello Orvem.
L’arcivescovo Bianco ha detto che lascia l’Uganda con “profonda gratitudine e belle menorie della gentilezza estesa verso di me durante tutta la missione”, sottolineando che “la nazione ha uno spirito speciale, e a me mancherà davvero l’Uganda.
Bianco ha rappresentato la Santa Sede a Kampala dal 2019, e il 20 giugno prenderà il suo nuovo incarico come nunzio in Slovenia e delegato apostolico in Kosovo. L’arcivescovo ha ringraziato in particolare il presidente Yoweri Museveni e il ministro per gli Affari Esteri per il loro continuo supporto, e ha ringraziato il governo ugandese per il messaggio di condoglianze speciale inviato a seguito della scomparsa di Papa Francesco.
Il ministro Orvem, da parte sua, ha detto che “dire addio ai membri del corpo diplomatico non è mai facile. Formiamo legami genuini e amicizia nel tempo, e Sua Eccellenza è stato davvero un amico epr noi”.
L’arcivescovo Bianco ha anche annunciato che Padre Georges Kwami Kouwonou gestirà temporaneamente gli affari della Nunziatura Apostolica finché non viene nominato un nuovo nunzio pontificio.